Nella parashà sono elencate le mitzvòt del nazireo (nazìr). Il nazìr faceva voto di astenersi dal vino per un mese. E non doveva astenersi solo dal vino. Nella Torà è scritto: “Si astenga dal vino giovane e dal vino invecchiato; non beva aceto di vino giovane e aceto di vino invecchiato, non beva infuso d’uva né mangi uva fresca o secca. Per tutta la durata del suo nazireato non mangi alcun derivato della vite, dai chicchi alle bucce” (Bemidbàr, 6: 3-4).
R. Mordekhai Hakohen (Safed, 1523-1598, Aleppo) nel suo commento Siftè Kohèn a questa parashà, scrive che quando la Torà comanda di astenersi dai derivati della vite (ghèfen) vi è un’allusione alla donna estranea. Questa allusione è presa dal libro dei Tehillìm (Salmo 128:2) dove è scritto che la donna è come una vite: “Tua moglie è come una vite fruttifera (ghèfen poriyà)”. E questo è anche il motivo per cui nella Torà il passo che tratta della sotà, la moglie sospettata di aver tradito il marito, è vicina il passo che tratta del nazireo.
R. Hakohen cita il Midràsh (Shemòt Rabbà, 16:2) dove è detto: “Nella Torà troviamo due passi l’uno vicino all’altro: quello del nazìr e quello della sotà. Il nazìr fa voto di non bere vino. Il Santo Benedetto gli disse: poiché hai fatto voto di non bere vino per allontanarti dal peccato, non dire: mangio uva e sono senza peccato. Poiché hai fatto voto di astenerti dal vino ti insegno come non cadere nel peccato. E disse a Moshè: insegna a Israele le regole del nazireato.
“La donna è come una vite”. Disse il Santo Benedetto: non dire poiché è proibito avere relazioni sessuali illecite con una donna, non commetto un peccato se la prendo in mano, se la abbraccio o se la bacio. Disse il Santo Benedetto: come a un nazìr, che ha fatto voto di non bere vino, è proibito mangiare uva fresca e uva secca, infuso di vino e ogni derivato, così pure non ti è permesso toccare una donna che non è tua. E infatti re Shelomò scrive in Mishlè (Proverbi, 6: 27-28) “Si può portare il fuoco sul petto senza bruciarsi le vesti o camminare sulla brace senza scottarsi i piedi? Così chi si accosta alla donna altrui, chi la tocca, non resterà impunito”. Questo è il motivo per cui l’Eterno ha accostato il passo della Torà in cui si parla del nazìr a quello della sotà.
R. Moshe Chayim Luzzatto (Padova, 1707-1746, Acco) nell’undicesimo capitolo della sua opera Mesillàt Yesharìm (Il percorso in salita degli uomini retti) cita il midràsh riportato da r. Mordekhai Hakohen e aggiunge: “Pensa a come sono meravigliose le parole di questo passo. La proibizione [di toccare la donna altrui] è paragonata al [le proibizioni del] nazìr. Per il nazìr la principale proibizione è solo quella di bere il vino. E la Torà gli ha proibito anche tutto quello che ha deriva dal vino. In questo modo la Torà ha insegnato ai maestri il metodo da usare per fare un argine (seyàg) attorno alla Torà, facendo uso dell’autorità a loro conferita per dare forza alle leggi della Torà. Usando il caso del nazìr come prototipo per tutte le mitzvòt, la Torà insegna ai maestri di proibire anche tutto quello che assomiglia alle proibizioni […]. ln questo modo si può imparare quello che è implicito da quello che è esplicito. I maestri hanno proibito tutto quello che si avvicina alle relazioni sessuali illecite in tutti modi: con l’azione, con la visione, con la parola, con l’udito e anche con il pensiero.
Ed è proprio che traendo spunto dalla parashà del nazìr che nei Pirkè Avòt (Massime dei padri, 1:1) i maestri hanno insegnato: “Fate un argine alla Torà”.
Il professor Yoseph Colombo, che tradusse i Pirkè Avòt in italiano, aggiunse un commento a questa prima mishnà: “Queste parole si può dire che siano state e siano tuttora il compendio dell’opera di tutti i Maestri che sono sorti in Israele i quali, nell’intento di garantire l’osservanza della parte essenziale della Legge, l’han sempre circondata di infinite minute prescrizioni […]”.