La recensione di Transatlantic: un gruppo di giovani americani (e non solo) aiutarono tanti ebrei e intellettuali ad espatriare oltreoceano durante la Seconda Guerra Mondiale. Una storia vera forse poco conosciuta quella della nuova serie Netflix dal 7 aprile sulla piattaforma.
Se Prime Video con Hunters aveva il suo gruppo di ebrei a caccia di nazisti, nel segno dell’action e del pulp, Netflixrisponde con un period drama ispirato ad una storia vera e al romanzo omonimo che la racconta, Transatlantic, che dal titolo può far pensare a qualcosa ambientato su una nave più fortunata del Titanic. Invece si tratta dell’attraversamento dall’Europa al Nuovo Mondo, che un gruppo generoso e altruista di americani insieme agli Alleati mise in piedi per provare a salvare quanti più Ebrei possibili dalle deportazioni, trasferendoli in segreto e in massa oltreoceano, con gli Stati Uniti neutrali nella Seconda Guerra Mondiale. Parleremo del diverso approccio, più storico e votato al melò e alla filosofia piuttosto che all’azione e al colpo di scena nella recensione di Transatlantic, dal 7 aprile sulla piattaforma.
Tutto inizia da un atto di pura generosità
Ambientata nella Marsiglia degli anni ’40, Transatlantic è la storia del salvataggio di un gruppo di persone, invisibili agli occhi dei più, scomodi a quelli dei nazisti, che possono contare sul coraggio e sull’intraprendenza e iniziativa di un gruppo di giovani americani. Gli autori Anna Winger (co-creatrice di Unorthodox) e Daniel Hendler si sono basati sul romanzo The Flight Portfolio di Julie Orringer per raccontare questa storia vera, a partire da alcuni personaggi realmente esistiti, come il giornalista Varian Fry (un sempre bravo Cory Michael Smith, ottimo il suo Enigmista in Gotham) e dell’ereditiera Mary Jayne Gold (Gillian Jacobs che porta la sua irriverenza da Community e Love), che uniscono le proprie forze – i contatti di lui, il denaro di lei – per provare a salvare quante più persone possibili in un puro atto di generosità. Un messaggio di fondo e un meccanismo narrativo che sembra quasi d’altri tempi, visto il periodo storico estremamente cinico in cui viviamo, e che nella serie Netflix viene trasposto anche attraverso l’uso di una fotografia dai toni tenui, insieme a costumi e ricostruzioni scenografiche che ricalchino la sobrietà dell’epoca. Le guerre mondiali sono stati tra i periodi storici più difficili e turbolenti a livello internazionale, e questo show prova a mostrarne tutti i lati.
Storie (stra)ordinarie
Nel farlo, Transatlantic prova a raccontare anche le storie private di alcuni personaggi, che si intersecano con quelle degli artisti ed intellettuali realmente esistiti – pittori, scrittori, filosofi e così via – che diverranno parte di quel nucleo di persone salvate miracolosamente dallo sterminio nazista. Mary Jayne Gold deve affrontare il matrimonio con un qualsiasi ricco imprenditore di Chicago che tutti si aspettano da lei, compreso il terribile console americano a Marsiglia (un ritrovato Corey Stoll), che preferisce nascondersi dietro la burocrazia pur di non aiutare i rifugiati e richiedenti asilo, e il padre che minaccia di tagliarle i viveri se non rientrerà immediatamente su suolo statunitense. Eppure la giovane donna si ritrova ad innamorarsi proprio di una delle persone che dovrebbe aiutare ad andare via. Varian Fry, a capo dell’Emergency Rescue Committee, invece deve fare i conti con la moglie che lo aspetta oltreoceano e con la relazione clandestina con un uomo su suolo francese. I due insieme ad altri coraggiosi volontari – come il concierge africano dell’Hotel Splendide dove alloggiano inizialmente – proveranno vari stratagemmi ed escamotage per far uscire i rifugiati dal Paese, passando attraverso la Spagna e il Portogallo.
Amore e sentimento
Il valore storico della miniserieè indubbio e gli autori hanno provato a mescolare la storia con la S maiuscola alle storie d’amore dei protagonisti, alle ideologie filosofiche che pervadono gli intellettuali e i rifugiati, allo scontro burocratico costante cui andavano incontro attraverso le ambasciate coloro che volevano fuggire e non erano tutelati, con le leggi che cambiavano da un momento all’altro, provando addirittura ad aggiungere un pizzico di umorismo e una spruzzata di spy story attraverso il misterioso personaggio di Margaux. Il risultato però è purtroppo confuso e con poco appeal: non riesce mai a colpire davvero nel segno perché non sceglie quale anima tra le tante far prevalere. Le interpretazioni sono sentite ma devono scontrarsi con una storia inedita eppure già vista, mentre a livello di ritmo narrativo il racconto avrebbe prediletto più azione, meno romance e filosofia. Nonostante le tematiche portate alla luce come quella LGBT, l’uso di più lingue per far capire l’internazionalità del racconto e alcune chicche del cast come Grégory Montel, il Gabriel di Call My Agent qui integerrimo e represso capo della gendarmeria francese, in combutta col personaggio di Stoll), l’insieme dei tanti elementi non basta a dar vita a qualcosa di coeso e avvincente. Una storia necessaria e magari poco conosciuta che però avrebbe meritato un mix più riuscito e accattivante per il pubblico oramai onnivoro della piattaforma.
CONCLUSIONI
Concludiamo la recensione di Transatlantic confermando come non sempre le buone idee e i buoni intenti risultino poi buoni prodotti. Poiché un cast indovinato e una storia vera ed importante se non vengono messi in scena in modo accattivante e con un mix equilibrato di generi, elementi e tematiche, si perdono per strada, rimanendo solamente uno specchio da osservare senza farsi coinvolgere troppo.
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