Flavia Fioentino
Kaftani, patchouli, collane di perline che venivano a cercare anche Elio Fiorucci e Ottavio Missoni. Stella, 38 anni, figlia di Albert, il commerciante iraniano arrivato in Italia con 7 fratelli, racconta quell’epoca irripetibile
«A una cert’ ora del pomeriggio, soprattutto il sabato, mia madre chiudeva i cancelli di Palazzo Serlupi, dove c’era il negozio di via del Seminario, perché la fila arrivava fino al Pantheon». Stella Molayem, 38 anni, figlia di Albert, arrivato con la famiglia dall’Iran negli anni Sessanta e creatore di quell’enorme bazar, avvolto in un intenso profumo di patchouli, stracolmo di oggetti e vestiti provenienti da tutto il mondo, oggi disegna gioielli legati a simbologie antiche. Il ricordo per i boomer romani che hanno vissuto l’esordio del movimento hippie e lo stupore davanti a quelle merci misteriose e sconosciute è ancora vivo: «Quando in una cena o in qualche evento viene fuori il mio cognome – spiega Stella – mi chiedono sempre se sono… quella Molayem là…» .
Il ricordo sui social
E ancora oggi tanti ex giovani ricordano quel periodo sui social: «Nella prima metà degli anni Settanta, Molayem in via del Seminario, dietro al Pantheon – scrive Claudio – era senza dubbio la più fornita powerhouse per iniziare a vivere, attraverso l’abbigliamento e i profumi, in un mondo alternativo e sognatore che in quel momento doveva convivere con la realtà di una crisi economica, sociale e politica». L’infanzia di Stella è scandita dai viaggi del padre in India, in Turchia, in Iran e dai suoi rientri a casa con bauli pieni di meraviglie: sari, orecchini, kaftani, statuette, sandali e le prime collane con perline colorate che agli occhi di due bambine, lei e la sorella Diana, apparivano il tesoro delle fiabe: «Papà partiva con degli aerei cargo per rientrare con centinaia di migliaia di prodotti e se trovava qualche tempio che gli piaceva lo faceva smontare e lo ricostruiva qui, nell’emporio: una parte di un santuario lo conserva ancora mia sorella nella sua galleria d’arte in via Belsiana…».
Tra i clienti anche registi, attori, designer
In quel luogo così allegro e colorato, tra una canzone di Janis Joplin e la musica di Jim Morrison, venivano a curiosare e a rinfrescarsi il guardaroba anche Elio Fiorucci, Gilberto Benetton, Ottavio Missoni e tanti attori, registi e persino personaggi politici. E se all’inizio Albert importava soltanto, fu poi il primo a far produrre in India, con le loro magnifiche tele, modelli adatti ai gusti occidentali arrivando a vendere, dello stesso modello, un milione di camicie con collo alla coreana e ricamo frontale. «I miei genitori avevano una decina di dipendenti nel negozio, ma il pomeriggio arrivavano anche gli studenti, quelli del Visconti, che stava proprio lì dietro, ma anche del Croce o del Tasso: si offrivano di aiutare gratis, perché si divertivano a stare lì, in un luogo per loro esotico».
Il declino
Il periodo segnato dai «figli dei fiori» e suggestioni orientali alla fine degli anni Settanta tramonta velocemente e i Molayem rilanciano con «Babylonia», uno store in via del Corso (dove oggi ha sede l’Apple Store) dallo stile più punk-streetwear. E poi Dakota (nell’ex antiquario Attanasio), una rivendita di modernariato di ricerca vicino a piazza del Popolo con tanto di elicottero in vetrina . Ma da quel momento, siamo a metà degli anni Ottanta, inizia il declino: «Papà era il figlio più grande di sette fratelli ed era stato lui, nonostante avesse poco più di 20 anni, a costruire un patrimonio miliardario – racconta ancora Stella – ma quando i fratelli sono cresciuti, coccolati nel benessere, hanno cominciato a reclamare ruoli decisionali nel business familiare. Forse papà era un po’ accentratore, ma dopo infinite riunioni familiari ha deciso di uscire dalla società e ha fatto entrare tutti i fratelli che, senza esperienza ma capaci di spese folli, come l’acquisto di una villa sull’Appia con 20 cavalli, attici e auto sportive, in poco tempo hanno perso tutto».
Lo studio delle gemme antiche
Intanto Albert si tiene la sua collezione di antiche gemme preziose e nel 1985 apre una galleria in via Bocca di Leone, diventa consulente dell’Accademia dei Lincei e scrive il libro Archeo-gemmologia con un docente della Sapienza. «Quel posto era diventato un luogo d’incontro di artisti e studiosi: si riunivano a parlare per ore di sassi o pezzi di marmo – conclude Stella -. Lui era felice, ma credo che non avesse elaborato la separazione dai fratelli. E vederli perdere tutto lo ha fatto ammalare: a 40 anni ha avuto un tumore e poi, a 53, nel 1998, ci ha lasciato».