Tempio di via Eupili – Milano
La Parashà di Terumà è la prima che tratta della costruzione del Mishkan che accompagnerà gli ebrei durante i loro vagabondaggi nel deserto e sarà successivamente costruito a Shilo, dopo l’ingresso e la conquista della Terra d’Israele. Sia qui che in Parashat Tetzavè, D-o istruisce Moshe su come costruire il Mishkan, i suoi utensili e gli indumenti indossati dai Kohanim, tutti realizzati con i doni ricevuti dal popolo di Israele, argento, oro, pietre preziose, tessuti costosi e pelli di animali, olii ed erbe profumate. È interessante notare che la Parashà inizia con una chiamata generale ad offrire doni e, solo in seguito, ci viene detto per cosa verranno effettivamente utilizzate queste donazioni. Questo rappresenta un invertimento dell’ordine con cui vengono fatte le cose in quanto generalmente al donatore viene prima detto perché sia necessaria una donazione, quali sono i piani, quale progetto necessita di finanziamenti e solo una volta divulgati i dati si procede alla richiesta di donazione.
La ragione di ciò è che la Torà desidera trasmettere il messaggio che quello che è centrale qui è il Popolo di Israele e il suo desiderio di aderire alle parole di D-o e connettersi con Lui e il Mishkan è il mezzo per rafforzare questa connessione. Questa nozione è chiaramente espressa nel versetto seguente: “E lascia che Mi facciano un santuario (Mishkan) affinché Io possa dimorare in mezzo a loro” (Shemot 25, 8). Per mezzo di questo Mishkan, D-o dimorerà in mezzo al Popolo di Israele.
Più avanti nella Parashà, vengono date le istruzioni per la costruzione del Mishkan stesso. Il Mishkan era costruito con travi di legno, che costituivano la struttura centrale, e questa, a sua volta, era coperta da dieci tende di stoffa, cucite l’una all’altra. Per essere più precisi, le dieci tende di stoffa erano inizialmente divise in due gruppi di cinque tende, ognuna delle quali era cucita l’una all’altra. I teli più grandi, formati ciascuno da cinque teli di stoffa, venivano poi legati tra loro per mezzo di lacci, in modo tale da formare un tendaggio molto grande. Il modo in cui questi teli erano attaccati è descritto nel modo seguente: “Cinque teli saranno uniti l’uno all’altro; e le altre cinque tende saranno unite l’una all’altra” (Shemot 26, 3). Curiosa è la locuzione usata dalla Torà per esprimere “gli uni agli altri” – isha el achota [letteralmente: “una donna a sua sorella”]. Nella Parashà di Vayakhel, quando viene raccontata la costruzione del Mishkan, la Torà fa una scelta di parole diversa: “E unì cinque tende achat el achat [“l’una all’altra”]; e le altre cinque tende unì achat el achat [“l’una all’altra”]. In questa occorrenza, la frase “gli uni verso gli altri” assume la forma ebraica comune di achat el achat (Shemot 36, 10). Questa differenza di espressione sembra essere strana. Nella Parashà di Terumà, dove viene usata questa espressione inusuale, Onkelos traduce il termine con “chada im chada” in aramaico, che è l’equivalente letterale di achat el achat.I Chachamim, si domandano il perché dell’uso di questa espressione e cosa ci possa indicare questo legame tra una donna e sua sorella.
Lo Sforno spiega che su ogni tenda vi erano spezzoni di immagini. Ogni tenda doveva essere legata a quella successiva con grande precisione in modo che le illustrazioni si collegassero senza soluzione di continuità e producessero l’illustrazione decorativa completa. In linea con lo Sforno, il Netziv di Volozhin spiega nel suo libro Ha’amek Davar che l’espressione usata per descrivere come le tende di stoffa separate erano unite insieme ci insegna che le tende si fronteggiavano come due sorelle. Ogni pezzo di tenda in qualche modo si limitava e lasciava un po’ di spazio per il bene dell’altro, proprio come due sorelle, ognuna delle quali cerca di occupare meno spazio in modo che sua sorella ne abbia di più.
L’espressione “isha el achota” appare solo in un altro punto della Torà – nel libro di Vayikra, dove si parla del divieto di sposare due sorelle: “Non prenderai una donna a sua sorella [ve’isha el achota lo tikach], per scoprirne la nudità, mentre l’altra è ancora in vita facendo soffrire una rispetto all’altra” (Vayikra 18, 18). Il Ribash [Rabi Yitzhak ben Sheshet] in accordo con il Ramban, spiega che il motivo per il quale non è permesso sposare due sorelle è perché le sorelle si amano e sono legate l’una all’altra, e se sposano lo stesso uomo potrebbe portare all’animosità e all’odio tra di loro.
Dai commenti dei Chachamim si evince che la locuzione “isha el achota” descrive due donne, due sorelle, estremamente vicine e affettuose l’una verso l’altra. Entrambe le donne descritte attraverso questa espressione sono in armonia e in sintonia tra loro e sanno perfettamente come formare un flusso senza soluzione di continuità tra di loro, dando all’altra lo spazio necessario alla propria crescita. Questo rappresenta uno dei tratti e dei valori più adatti per la dimora di D-o stesso: il Mishkan.
Il Mishkan e il Bet haMikdash sono entrambi espressione della presenza divina all’interno del popolo di Israele. D-o può dimorare in un posto sacro, un posto in cui ci siano valori positivi, morali, giusti e di amore incondizionato. Per rappresentare questi valori viene scelta come archetipo la relazione tra due sorelle. Come due sorelle, tutti noi siamo diversi per carattere, peculiarità ed indole. Queste caratteristiche devono essere una spinta per completarci, per valorizzare le nostre peculiarità per il bene di tutti, attraverso l’osservare le mitzvot, attraverso atti di chesed e attraverso il riconoscere quando dobbiamo lasciare spazio all’altro. In questo modo potremo creare un Mishkan, un luogo adatto alla dimora di D-o.