Emanuele Calò
Karl Marx era antisemita? Poiché se ne riparla, torna utile un vecchio articolo di Michele Prospero su Il Riformista del 29 Dicembre 2021. Costui scrive che “Marx in un articolo del 1859 denunciava l’allegria viennese con cui «i nostri prodi buontemponi anticiparono le loro imprese future con un repentino assalto contro i poveri israeliti. Sfasciarono alcune vetrine, picchiarono alcuni ebrei, a molti tagliarono la barba, e un poveretto fu addirittura buttato dentro un barile di catrame…. (Marx, Opere complete, vol. XVI, cit., p. 332)”. Indi, viene citato Marx, laddove riferisce della triste condizione degli ebrei in Palestina, dove “le loro sinagoghe: sono oggetto costante dell’oppressione e dell’intolleranza dei musulmani, sono insultati dai greci, perseguitati dai latini e vivono solo delle scarse elemosine inviate dai loro fratelli europei”.
Purtroppo, la famigerata “Questione Ebraica” di Marx contiene questi passaggi: “Qual è il fondamento mondano del giudaismo? Il bisogno pratico, l’egoismo. Qual è il culto mondano dell’ebreo? Il traffico. Qual è il suo Dio mondano? Il denaro. Ebbene. L’emancipazione dal traffico e dal denaro, dunque dal giudaismo pratico, reale, sarebbe l’autoemancipazione del nostro tempo. Un’organizzazione della società che eliminasse i presupposti del traffico, dunque la possibilità del traffico, renderebbe impossibile l’ebreo. La sua coscienza religiosa si dissolverebbe come un vapore inconsistente nella vitale atmosfera reale della società. D’altro lato: se l’ebreo riconosce come non valida questa sua essenza pratica e lavora per la sua eliminazione, egli si svincola dal suo sviluppo passato verso l’emancipazione umana senz’altro, e si volge contro la più alta espressione pratica dell’autoestraneazione umana.
Noi riconosciamo dunque nel giudaismo un universale elemento attuale antisociale, il quale, attraverso lo sviluppo storico, cui gli ebrei per questo lato cattivo hanno collaborato con zelo, venne sospinto fino al sua presente vertice, un vertice sul quale deve necessariamente dissolversi. L’emancipazione degli ebrei nel suo significato ultimo è la emancipazione dell’umanità dal giudaismo”. Paul Johnson (Storia degli Ebrei), dal canto suo, considera Marx un antisemita integrale, che usava espressioni sprezzanti nei riguardi degli ebrei coi quali si trovava a polemizzare. Alessandra Tarquini (La sinistra italiana e gli ebrei) scrive che ” il giovane Marx non fu mai un razzista, ma un radicale assimilazionista, capace di utilizzare espressioni dichiaratamente antisemite nella sua riflessione sulla questione ebraica”.
Poiché Marx era nipote di Rabbini, non poteva ignorare che il libriccino dove si profondeva nei suoi giudizi sugli ebrei avrebbe dovuto contenere una postilla che chiarisse “queste amenità sugli ebrei non si applicano ai miei nonni”. Non è che le sue successive preoccupazioni per gli ebrei possano essere inserite in un libro mastro con tanto di partita doppia, dove poi il saldo non è così reciso (e negativo).
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