La parashà si apre con le parole di Yehudà a Yosef. Yehudà aveva garantito al padre che avrebbe fatto tornare a casa Binyamin. Ora invece Binyamin stava per essere condannato alla schiavitù per via della falsa accusa che aveva rubato la coppa di Yosef. R. Joseph Hertz (Slovacchia, 1872-1946, Londra), citò Walter Scott che definì il discorso di Yehudà “il modello più completo di genuina eloquenza naturale esistente in qualsiasi lingua” (The Pentateuch and Haftorahs, p. 169).
Nella parashà è scritto: “Allora Yehudà, avvicinandosi a lui, disse: mio signore, permetti che il tuo servo diriga qualche parola al mio signore, senza che il tuo sdegno si accenda contro il tuo servo; poiché tu sei come il faraone. Il mio signore ha chiesto ai suoi servi, con dire: Avete voi padre, o fratello? E noi dicemmo al signore: Abbiamo un padre vecchio, con un figlio giovine natogli nella sua vecchiaia; il quale, essendo morto suo fratello, rimase unico di sua madre, e suo padre lo predilige. E tu dicesti ai tuoi servi: Conducetelo a me, che io gli dia un’occhiata. Dicemmo allora al signore: Il giovinetto non può abbandonare suo padre; e se egli abbandonasse suo padre, questi ne morrebbe (Bereshìt, 44:18-22). […] Or dunque permetti che il tuo servo stia qui schiavo del mio signore in cambio del giovine ed il giovinetto riparta con i suoi fratelli. Poiché come potrei recarmi presso mio padre, senza aver il giovinetto con me?” (ibid.: 33-34).
R. Shemuel Eidels ( Polonia, 1555-1631, Ucraina) detto Maharsha, nel suo commento alla aggadòt della ghemarà, scrive che fino a questo momento Yosef si era servito di un interprete. Ora che Yosef veniva a giudicare Binyamin, Yehudà chiese di parlare direttamente senza interprete perché un interprete non è in grado di perorare una causa come il difensore di un imputato. Inoltre Yehudà intendeva anche dire che certamente Yosef capiva la lingua degli ebrei perché negli statuti dell’Egitto era scritto che il re e così pure il viceré dovevano conoscere tutte le lingue.
R. Ya’akov ben Asher (Colonia, 1269-1343, Toledo), autore dei Turìm aggiunge che quando Yehudà disse “tu sei come il faraone” intendeva dire che egli si rivolgeva a Yosef con lo stesso timore e rispetto reverenziale con il quale si sarebbe rivolto al re. Oppure che sperava che Yosef mantenesse la sua parola come fa il re, quando disse che egli voleva solo “dare un’occhiata” a Binyamin. Alla fine del discorso di Yehudà, Yosef scoppiò in pianto e disse “Io sono Yosef. Mio padre è ancora vivo? Ma i suoi fratelli non gli poterono rispondere, poiché rimasero sbalorditi al suo cospetto”(ibid., 45:3).
R. Eliyahu Benamozegh (Livorno, 1823-1900) nel suo commento Panìm La-Torà fa notare come fino a questo momento i fratelli avevano mostrato coraggio e resilienza. Solo ora rimasero senza parola. Dov’era finito il coraggio di Yehudà? Il motivo di questo atteggiamento è che i fratelli per via della confusione interpretarono in modo sbagliato le parole di Yosef. Quando Yosef disse di fare uscire tutti i presenti poiché era troppo commosso, non riuscì a specificare che solo gli egiziani avrebbero dovuto uscire. Così anche i fratelli si allontanarono. E quando Yosef disse loro “Io sono Yosef” rimasero sbigottiti, e credettero che Yosef volesse vendicarsi di loro, anche perché Yosef non disse “sono Yosef vostro fratello”. Anche questo derivò dalla commozione di Yosef. E infine essi interpretarono in modo sbagliato le parole di Yosef che chiese “Mio padre è ancora vivo?” nonostante che più di una volta essi avevano ricordato il padre. Essi sospettarono che Yosef voleva sapere se il padre era morto per potersi vendicare di loro così come aveva detto Esau di Ya’akov : “Si stanno avvicinando i giorni del lutto di mio padre, ed (allora) ucciderò Ya’akov mio fratello (ibid, 27:41). Yosef a questo punto si rese conto dell’equivoco e disse ai fratelli di avvicinarsi e disse loro che era Yosef loro fratello, e che non si crucciassero. I fratelli non capirono la situazione neppure quando Yosef scoppiò in pianto. Infatti doveva essere evidente che un pianto di questo genere era risultato del suo amore fraterno per loro.