Alberto Legnaioli
Intellettuali in fuga dall’Italia fascista – © Firenze University Press 2019
Insieme a suo padre, fu una delle figure più dinamiche che contribuirono in misura determinante all’ebraismo italiano in Italia e in Israele. Tra i tanti giovani ebrei costretti a lasciare il paese che li aveva rinnegati, seguendo le orme del padre da fervente sionista scelse Israele, dove fu tra i principali propulsori della comunità degli ’italkim. Dopo la guerra si spese moltissimo per la ricostituzione della vita spirituale ebraica nel «bel paese», attraverso l’attività rabbinica e didattica.
L’infanzia e gli studi (rabbinici e non)
Emanuele Menachem Artom era nato a Torino il 29 agosto 1916. Secondo figlio di Elia Samuele Artom (15 giugno 1887 – 25 febbraio 1965) e Giulia Cassuto (16 agosto 1887 – 11 gennaio 1936), sorella di Umberto Cassuto, trascorse buona parte della propria infanzia e giovinezza tra l’Italia, la Libia e la Palestina mandataria a seguito della famiglia, che per l’attività rabbinica e didattica del padre si era dovuta trasferire frequentemente. Da entrambi i genitori ricevette un amore profondo ed inesauribile per la tradizione avita, ma soprattutto per la sua trasmissione. Artom seguì le orme paterne nell’intraprendere la carriera rabbinica e anche quelle della madre nella scelta dell’insegnamento[1].
L’infanzia di Emanuele era stata sconvolta dalla perdita della sorella maggiore, Devorà. La famiglia si era trasferita a Tripoli, in Libia, due anni prima, quando Elia Samuele vi era stato chiamato a ricoprire la cattedra rabbinica[2]. La sera del 14 maggio 1922, mentre il padre si trovava in sinagoga, «la bimba si spense dolcemente e serenamente»[3]. Gli Artom erano rientrati in Italia l’anno seguente. Di lì a poco il padre era stato chiamato a Firenze come rabbino capo ed il giovane Emanuele aveva potuto intraprendere gli studi presso il Collegio rabbinico, qui trasferito da Samuel Hirsch Margulies (1858-1922) all’inizio del secolo, nel quale, peraltro, insegnavano sia il padre Elia sia lo zio Umberto Cassuto. Nel 1933 Emanuele aveva conseguito il titolo di Maskil a compimento del primo ciclo di studi[4]. Nell’autunno del medesimo anno aveva seguito nuovamente il padre, chiamato dal ministero degli Esteri ad insegnare italiano nelle scuole medie ebraiche della Palestina mandataria. Si era imbarcato a Trieste nell’ottobre 1933[5] e, una volta giunto a Tel Aviv, vi aveva proseguito gli studi, frequentando, tra le altre, le lezioni di Simcha Assaf (1889-1953), docente e membro della Commissione esecutiva della Hebrew University – poi rettore dal 1948 al 1950 e membro della Corte suprema dello Stato d’Israele[6]. Emanuele era tornato in Italia nell’estate del 1934. L’anno successivo Elia era stato richiamato a Roma ad insegnare presso il Collegio rabbinico italiano, lì trasferito da Firenze già dalla fine del 1933[7]. Emanuele, così, aveva potuto riprendere gli studi rabbinici, intraprendendo il corso superiore che gli era valso il conseguimento della laurea rabbinica con il titolo di Chakham ha Shalem nel 1937. Contestualmente aveva ottenuto anche la laurea in Lettere[8].
Una carriera promettente… altrove
Appena laureato, Artom era stato chiamato a ricoprire la carica di rabbino di Perugia dal 6 dicembre 1937, sezione la cui gestione era affidata alla Comunità ebraica di Roma. Vi rimase un anno, poi la scure della legislazione razziale si abbatté sul paese e la vita del poco più che ventenne Emanuele mutò radicalmente direzione[9]. La progressiva e rapida chiusura degli orizzonti sociali e civili andava ad aggiungersi ad un’ulteriore tragedia familiare: due anni prima, infatti, l’11 gennaio 1936 la madre Giulia era venuta a mancare[10].
Il padre Elia decise di fare ‘aliyyà, secondo quell’ideale sionista ricevuto dal maestro Margulies e condiviso con la moglie, che entrambi i genitori avevano saputo trasmettere al figlio Emanuele[11]. Che la scelta di Eretz Israel non fosse casuale né dettata dalle circostanze è ben chiarito da Elia stesso anni più tardi in una lettera che inviò al presidente della Comunità ebraica di Firenze, Alfredo Orvieto:
[…] debbo premettere che quando, dieci anni or sono, lasciai il mio ufficio di insegnante nel Collegio Rabbinico Italiano e l’Italia, feci questo con la ferma intenzione di stabilirmi definitivamente in Erez Israel, e non con quella di sfuggire alle difficoltà del momento per fare poi eventualmente ritorno, a tempo più opportuno, nel paese dove ero nato e dove avevo svolto la maggior parte della mia attività.
Questa intenzione si è confermata e rafforzata negli ultimi anni, tanto più che oggi anche là io esercito, come insegnante nelle scuole medie superiori ebraiche, una funzione non del tutto inutile, e là risiede quel poco della mia famiglia che, dopo le mie tante sventure a Lei ben note, mi è rimasto[12].
Peraltro, già in occasione della missione a Tel Aviv del 1933-1934 gli Artom avevano avuto l’opportunità di intessere una rete di contatti che in tali circostanze si rivelò fondamentale[13].
Elia e il piccolo Ruben partirono e giunsero a Haifa il 13 settembre 1939. David era già in Palestina dall’anno prima: lavorava come agricoltore nel kibbutz di Rodges, nei pressi di Petah Tikvah. Meir restò nella hakhsharà di Cevoli, presso Villa Racah, in attesa di ricevere il certificato d’immigrazione[14].
Emanuele si trattenne in Italia dove restavano da organizzare il trasferimento e il trasporto dei beni familiari[15]. Nel frattempo, il padre Elia era riuscito a procurargli un certificato attraverso la Hebrew University. Il 26 ottobre 1939 l’università lo informava, infatti, che «il certificato d’immigrazione [te‘udat ha‘aliyyà] n. 125403 è stato spedito alla sua destinazione tre settimane fa, per il Sig. Emanuele Artom». Con quel documento Emanuele poté raggiungere la famiglia il 14 dicembre[16].
Mesi difficili…
Al suo arrivo trovò una terra prostrata. Trovare un impiego non era cosa semplice e la competizione era asperrima. Per breve tempo lavorò come agricoltore nella Moshavà Magdiel, poi cercò un impiego in ambito educativo. Nel giugno 1940, infatti, Emanuele presentò «domanda ufficiale al misrad ha mefakkechim [l’Ufficio della Sovrintendenza] a Tel Aviv per avere un posto d’insegnante nelle scuole del va‘ad le’umi [Jewish National Council] per l’anno prossimo»[17]. Nel 1942 si trasferì a Magdiel per insegnarvi latino e greco, mentre nel 1944 era alla scuola superiore Mizrachi di ‘Afula[18].
A rendere ancor più ardue le circostanze furono le vicende familiari: poche settimane prima dell’arrivo di Emanuele in Palestina il fratello David era stato colto da meningite ad appena 21 anni ed era morto il 23 novembre 1939. Con Meir impossibilitato a partire per lo scoppio delle ostilità tra Italia e Regno Unito, restavano solo Elia ed Emanuele a poter garantire il sostentamento della famiglia, in particolare del piccolo Ruben che era iscritto alla scuola di agraria Mikveh Israel[19].
Sfortunatamente, le sofferenze non poterono dirsi concluse. Dopo gli anni di guerra trascorsi dal padre nel costante quanto infruttuoso tentativo di aver notizie del figlio, costretto a nascondersi per eludere la persecuzione fascista e nazista, e di ricongiungerlo con il resto della famiglia, Meir riuscì a finalmente ad imbarcarsi a Taranto il 22 marzo 1945 con la futura moglie, Miriam Campagnano. I due si sposarono il 6 giugno 1947 a Gerusalemme. Tuttavia, non erano trascorsi che pochi mesi, quando Meir si ammalò e morì a 26 anni: era il 21 ottobre 1947.
Appena 5 mesi più tardi il giovane Ruben cadde a vent’anni sul campo di battaglia presso Motza, durante la guerra d’indipendenza.
Gli ’italkim ed il tempio di rito italiano a Gerusalemme
Tra il 1938 e il 1939 l’immigrazione ebraica italiana nella Palestina mandataria aveva visto un notevole incremento. Fu così che si costituì il nucleo della futura comunità italiana in Eretz Israel. Tale comunità decise di organizzarsi nell’Irgun ‘Olè Italia, che dal 19 marzo 1939 si dedicò ad assistere gli ebrei che giungevano dal «bel paese» a Tel Aviv[20].
L’organizzazione non incontrò il favore della parte più ortodossa – guidata da Alfonso Pacifici – che tentò di creare un nuovo centro di aggregazione a Gerusalemme. Tra questi vi erano anche gli Artom e fu proprio Emanuele, insieme a Giorgio Pirani (in seguito Moshè ha-Cohen Pirani), ad indire le prime preghiere officiate secondo il rito italiano nel settembre 1940. Il rito ebbe successo a tal punto che Elia S. Artom, Pacifici e Renato Jarach proposero subito di ripetere le preghiere ogni sabato e nei giorni festivi. Nacque così la comunità italiana gerosolimitana, la cui guida spirituale fu ufficialmente affidata al padre Elia dal 1942, quando fu nominato rabbino del tempio italiano, posizione che ricoprì fino al 1952, anno in cui fu chiamato alla scuola «Samuel H. Margulies» di Torino[21].
Per parte sua, Emanuele fu il principale propulsore con Giorgio Pirani dell’istituzione della Hevrat Yehudè Italia lif‘ulà ruchanit (Associazione degli ebrei italiani per l’attività spirituale), che doveva occuparsi di animare e promuovere la vita culturale della comunità italiana a Gerusalemme. Una prima riunione programmatica si tenne l’11 dicembre 1944. L’associazione si dotò, poi, di uno statuto nel 1946[22].
L’attività rabbinica in Italia
Dal 1945 al 1973 ottenne un impiego come responsabile e redattore delle pubblicazioni emanate dalla Direzione generale del personale dello Stato israeliano. Negli anni Cinquanta fece parte della missione in Italia per il Dipartimento culturale della Federazione sionistica[23]. Ma i suoi contatti con la terra d’origine erano destinati a rafforzarsi e portarono Artom a risiedere per lunghi periodi in Italia.
Nel 1973 fu chiamato alla cattedra rabbinica di Venezia, ruolo che ricoprì per i successivi tre anni. Contestualmente fu lettore di ebraico moderno presso l’Università Ca’ Foscari. In seguito, succedette a Sergio Sierra alla guida della Comunità ebraica di Torino tra il 1985 e il 1987, dove profuse le proprie energie a favore della Scuola «Samuel H. Margulies». Inoltre, durante i lunghi soggiorni italiani svolse attività didattica anche presso il Collegio rabbinico italiano a Roma[24].
Il contributo di Emanuele Artom fu fondamentale tanto per la formazione della comunità degli ‘italkim a Gerusalemme quanto per la rinascita spirituale dell’ebraismo in Italia. Negli ultimi anni della sua vita tornò in Israele, dove si spense il 19 luglio 1992. Lasciava la moglie Elena Lea Rossi, che aveva sposato il 30 giugno 1942, e i loro quattro figli[25].
Pubblicazioni principali
Geografia dello Stato d’Israele. Appunti, Roma, Federazione sionistica italiana, 1957.
Vocabolario ebraico-italiano. In appendice: vocabolario aramaico biblico italiano, Roma, Fondazione per la gioventù ebraica, 1965.
Con Dario Disegni, Alfredo Toaff, Ermanno Friedenthal (a cura di), La Bibbia ebraica, vol. 4, Agiografi, Torino, Mariotti, 1967.
Corso pratico di morfologia ebraica con elementi di fonetica e di sintassi ed esercizi, Roma, Unione delle Comunità israelitiche italiane, 1975. Il libro del popolo. Introduzione alla lettura della Bibbia, Roma, Carucci, 1980.
Mosé Maimonide, Il libro dei precetti, introduzione, traduzione dall’ebraico, note di Menachem Emanuele Artom, Roma, Carucci, 1980. Machazor di rito italiano secondo gli usi di tutte le Comunità, testo riveduto tradotto e annotato da Menachem Emanuele Artom, Roma, Carucci, 1990-1992, 3 voll.
Umberto Fortis, Elena Rossi Artom, Ariel Viterbo (a cura di), Vita di Jehudà. Autobiografia di Leon Modena rabbino veneziano del XVII secolo, traduzione di Emanuele Menachem Artom, Torino, Silvio Zamorani, 2000 [postumo].
Fonti archivistiche
CAHJP, Archivio della famiglia Artom, P171.
Bibliografia
Elena Rossi Artom, Gli Artom. Storia di una famiglia della Comunità ebraica di Asti attraverso le sue generazioni (XVI-XX secolo), Torino, Zamorani, 1997.
Riccardo Di Segni, I programmi di studio della scuola rabbinica italiana (1829-1999), «La Rassegna mensile di Israel», 65, 3, 1999, pp. 15-40.
Angelo Mordekhai Piattelli, Repertorio biografico dei Rabbini d’Italia dal 1861 al 2015, 2a ed. rivista e aggiornata (1a ed. 2010) <http://www.archivio- torah.it>.
Id., La sinagoga di rito italiano e la Hevrat Yehudè Italia lif‘ulà ruhanit a Gerusalemme (1940-1952), «La Rassegna mensile di Israel» 80, 2-3, 2014, pp. 115-140.
Gabriele Rigano, Note sui rabbini in Italia dalle leggi razziste alla liberazione, «Zakhor. Rivista di storia degli ebrei in Italia», IX, 2006, pp. 143-182.
Sergio Josef Sierra, Menachem Emanuele Artom, «La Rassegna mensile di Israel», 59, 1-2, 1993, pp. 1-13.
Cita come:
Alberto Legnaioli, Emanuele Menachem Artom (2022), in Patrizia Guarnieri, Intellettuali in fuga dall’Italia fascista. Migranti, esuli e rifugiati per motivi politici e razziali, Firenze, Firenze University Press, 2019-
<http://intellettualinfuga.fupress.com> e-ISBN: 978-88-6453-872-3 © 2019- Author(s)
Articolo pubblicato in Open Access con licenza CC-BY-NC-ND 4.0. Data di pubblicazione: 20 marzo 2022.
[1] Elena Rossi Artom, Gli Artom, Storia di una famiglia della Comunità ebraica di Asti attraverso le sue generazioni (XVI-XX secolo), Torino, Zamorani, 1997, pp. 203 e 209. Riguardo ad Elia Samuele Artom si veda inoltre nel portale la voce di Alberto Legnaioli, Elia Samuele Artom. Giulia Cassuto fu molto attiva nel campo dell’editoria per l’infanzia, pubblicando tra gli altri Primavera ebraica, Firenze, Casa Editrice Israel, 1931, «libro di lettura» destinato «ai nostri piccoli lettori» come introduzione alla cultura e tradizione ebraiche. Fu, inoltre, membro del comitato direttivo dell’Opera pro-infanzia israelitica di Firenze. Si veda Juri Meda, Cassuto Artom Giulia, in Dizionario biografico dell’educazione 1800-2000 <http://dbe.editricebibliografica.it> (accesso 8 marzo 2022).
[2] L’11 agosto 1920. CAHJP, Archivio della famiglia Artom, P171, b. 23, «Notizie sull’operosità scientifica e la carriera didattica di Elia Samuel Artom», Alessandria, 20 aprile 1926, documento che Elia allegò alla sua domanda per l’abilitazione alla libera docenza.
[3] Così scriveva la madre Giulia Cassuto, citata in E. Rossi Artom, Gli Artom, cit., p. 203.
[4] Angelo M. Piattelli, Artom, Menachem Emanuele, in Id., Repertorio biografico dei rabbini italiani dal 1861 al 2015, 2aed. rivista e aggiornata (1a ed. 2010) <http://www.archivio-torah.it> (accesso 12 marzo 2022); Riccardo Di Segni, I programmi di studio della scuola rabbinica italiana (1829-1999), «La Rassegna mensile di Israel», 65, 3, 1999, p. 16 n. 2 e p. 23.
[5] Discorso di congedo del Rabbino Capo, «Israel», XIX, 2, 4 ottobre 1933, p. 8; A. Legnaioli, Elia Samuele Artom, cit., p. 5.
[6] CAHJP, Archivio della famiglia Artom, P171, b. 25, minuta di lettera di Elia S. Artom a Simcha Assaf, s.l., s.d. (in ebraico). Su Assaf si veda Moshe Nahum Zobel, Assaf (Osofsky), Simcha, in F. Skolnik, M. Berenbaum (eds.), Encyclopaedia Judaica, 2ª ed., vol. 2, Detroit, MacMillan Reference USA, Keter Publishing House, 2007, pp. 594-595.
[7] A. Legnaioli, Elia Samuele Artom, cit., p. 6.
[8] A.M. Piattelli, Artom, Menachem Emanuele, cit.; R. Di Segni, I programmi, cit., p. 16 n. 2; E. Rossi Artom, Gli Artom, cit., p. 209.
[9] Ibid.; A.M. Piattelli, Artom, Menachem Emanuele, cit.; Sergio Josef Sierra, Menachem Emanuele Artom, «La Rassegna mensile di Israel», 59, 1-2, 1993, p. 2.
[10] CAHJP, Archivio della famiglia Artom, P171, b. 25, lettera di E.S. Artom all’Aliyya Department della Jewish Agency, s.l., 14 gennaio 1944 (in ebraico); E. Rossi Artom, Gli Artom, cit., p. 209.
[11] Su Margulies si veda Lionella Viterbo, Cronache dal passato fiorentino: la difficile successione del rabbino Margulies (1920- 1926), «La Rassegna mensile di Israel» 60, 3, 1994, pp. 148-178. Nel suo Primavera ebraica, cit., pp. 53-61, Giulia Cassuto dedicò una sezione specifica al movimento sionista e al suo fondatore, Theodor Herzl.
[12] CAHJP, Archivio della famiglia Artom, P171, b. 50, minuta di lettera di E.S. Artom a A. Orvieto, Torino, 20 luglio 1949.
[13] A. Legnaioli, Elia Samuele Artom, cit., pp. 5 e 9-11. Ad Emanuele lo stesso Simcha Assaf si era interessato, probabilmente riguardo al reperimento del certificato d’immigrazione, che la Hebrew University poi gli spedì: cfr. CAHJP, Archivio della famiglia Artom, P171, b. 25, minuta di lettera di E.S. Artom a Simcha Assaf, cit. (in ebraico); si veda, inoltre, infra, p. 9 e nota 16.
[14] CAHU, f. «Yo’el Rakach» [Giulio Racah], Israel’s «Father of Nuclear Physics». Joel Racah Turns Fifty, s.l., s.d., ma non prima del 1959. Su Meir Artom, CAHJP, Archivio della famiglia Artom, P171, b. 25, minuta di lettera di E.S. Artom all’Irgun ‘Ole Italia, s.l., 12 febbraio 1940.
[15] Ivi, Certificate of Origin and Interest, Firenze, 5 dicembre 1939. Il successivo trasferimento da Tel Aviv a Gerusalemme fu reso possibile dall’assistenza prestata dall’Irgun ‘Olè Italia; cfr. ivi, lettera dell’Irgun ‘Ole Italia a E.S. Artom, Tel Aviv, 10 gennaio 1940.
[16] Ivi, cartolina della Hebrew University, segreteria didattica a E.S. Artom, Gerusalemme, 26 ottobre 1939 (in ebraico); lettera di E.S. Artom all’Aliyya Department della Jewish Agency, s.l., 14 gennaio 1944 (in ebraico); E. Rossi Artom, Gli Artom, cit., p. 209.
[17] CAHJP, Archivio della famiglia Artom, P171, b. 25, lettera di E.S. Artom a David Prato, s.l., 24 giugno 1940.
[18] Ivi, lettera di E.S. Artom all’Aliyya Department della Jewish Agency, s.l., 14 gennaio 1944 (in ebraico).
[19] Ibidem.
[20] A.M. Piattelli, La sinagoga di rito italiano e la Hevrat Yehudè Italia lif’ulà ruhanit a Gerusalemme (1940-1952), «La Rassegna mensile di Israel», 80, 2-3, 2014, pp. 115-116.
[21] Ivi, pp. 117-123.
[22] Ivi, pp. 126-128; CAHJP, Archivio della famiglia Artom, P171, b. 56, «B. h. k. kefi minhag bene romi; chevrat yehude ’italia lif‘ula ruchanit» [Il tempio di rito italiano; Associazione degli ebrei italiani per l’ attività spirituale].
[23] Ivi, b. 102, «Missione in Italia per il Dipartimento culturale della Federazione sionistica», 1955-1959. Probabilmente si tratta della stessa shelichut (missione) per conto della Jewish Agency citata in S.J. Sierra, Menachem Emanuele Artom, cit., p. 1, sebbene riporti una data erronea («1936»).
[24] Ivi, p. 2; E. Rossi Artom, Gli Artom, cit., pp. 154 e 209; A.M. Piattelli, Artom, Menachem Emanuele, cit.
[25] Elena appartiene al ramo anconetano di una delle famiglie ebraiche italiane di ascendenza più antica, i (de’) Rossi, che una tradizione vuole deportata a Roma da Tito dopo la conquista di Gerusalemme. Elena giunse a Tel Aviv con i genitori e le sorelle il 14 ottobre 1939. E. Rossi Artom, La famiglia de’ Rossi. Vicissitudini di una famiglia ebraica da Gerusalemme a Roma e da Roma nel mondo, Firenze, Giuntina, 2013, pp. 47, 262-263. Le ricerche storiche da lei condotte sulla famiglia Artom e più volte citate hanno fatto sì che la memoria e il retaggio di questa famiglia perduri ancora oggi.