Il patriarca Ya’akòv si occupò del gregge del suocero Lavàn per quattordici anni. Nel frattempo Ya’akòv aveva avuto undici figli, l’ultimo di essi Yosef. A questo punto Ya’akòv chiese al suocero Lavàn il permesso di tornare a casa dai suoi genitori. E così disse a Lavàn: “Lasciami andare per tornare a casa mia, nel mio paese. Dammi le mie mogli, per le quali t’ho servito, e i miei figli; e lasciami andare; poiché tu ben conosci il servizio che t’ho prestato” (Bereshìt, 30: 25-26). Lavàn chiese a Ya’akòv di restare con lui e disse: “Se ho trovato grazia dinanzi a te, rimani; giacché ho avuto il presentimento che l’Eterno mi ha benedetto per via di te” (Bereshìt, 30:25-27).
Nel Talmud babilonese (Berakhòt, 42a) prendendo spunto dalla risposta di Lavàn, Abayè disse: “L’entrata di talmidè chakhamìm (studiosi della Torà) in una casa porta benedizione. Questo lo si impara da Lavàn che disse a Ya’akòv: «L’Eterno mi ha benedetto per via di te» (Bereshìt, 30:27)”.
R. Barukh Halevi Epstein (Belarus, 1860-1941) in Torà Temimà cita un’altra fonte dalla quale si evince che la casa di chi invita dei talmidè chakhamìm riceve una benedizione. Nella Ghemarà i maestri citano anche un versetto nella parashà di Vayèshev nel quale è scritto: “E da quando lo mise a capo della sua casa e di tutto ciò che possedeva, l’Eterno benedisse la casa dell’Egiziano (Potifàr) per merito di Yosef” (Bereshìt, 39:5). R. Epstein aggiunge che questo versetto è più significativo di quello della nostra parashà perché è la Torà stessa a testimoniare che la benedizione alla casa di Potifàr era merito di Yosef.
R. Naftalì Tzvi Yehudà Berlin (Mir, 1816-1893, Varsavia) detto Netziv dalla sue iniziali, nel suo commento Ha’amèk Davàr, osserva che Lavàn disse a Ya’akòv “per via di te” (biglalkhà) omettendo il fatto che egli si era arricchito grazie al lavoro di Ya’akòv. Con questo voleva dire che la benedizione gli era arrivata solo per la presenza di Ya’akòv a casa sua e non per il suo lavoro. Cosi dicendo, Lavàn sperava che Ya’akòv non chiedesse di essere pagato sulla base del valore del suo servizio.
R. Shimshòn Refael Hirsch (Amburgo, 1808-1888, Francoforte) nel suo commento alla Torà espande questa spiegazione e afferma che Lavàn era molto interessato ad avere Ya’akòv al proprio servizio, ma preferibilmente senza doverlo pagare eccetto vitto e alloggio. Così vediamo che Lavàn parla con lo stile tipico degli ipocriti, che fanno finta di essere religiosi. Egli non ammette che vorrebbe mantenere Ya’akòv nella sua azienda per merito del suo diligente servizio. Egli sa che per questo si deve pagare un alto prezzo. Per questo fa il religioso. Dice a Ya’akòv che ha un presentimento che l’Eterno che Ya’akòv serve, “mi ha benedetto per via di te, perché sei un uomo così religioso, e non voglio che un uomo tale se ne vada via da me”.
Lavàn spera che le sue parole adulatorie servano a convincere Ya’akòv a restare al suo servizio, ma Ya’akòv non risponde. Lavàn si rende quindi conto che deve offrire un compenso reale e dice a Ya’akòv: “Indicami il tuo salario, e te lo darò“(ibid, 28). Ya’akòv risponde: “Non c’è bisogno di presentimenti. Tu sai bene come ti ho servito e come ho contribuito alla tua prosperità. Non devi supporre che l’Eterno ti abbia benedetto per via di me, della mia sola presenza (biglalì); Egli ti ha benedetto per il modo in cui ho operato (leraglì), per la qualità del mio lavoro. L’Eterno non ti ha benedetto per via della mia religiosità ma grazie alla mia capacità. Non pensi che ora sia giunto il momento che io usi la mia capacità per la mia famiglia?”. Ya’akòv negoziò per il suo contratto di lavoro che però Lavàn non rispettò. Fu solo grazie all’Eterno che Ya’akòv riuscì ad accumulare un po’ di ricchezza. E così dissero Rachel e Lea a Ya’akòv: “Tutta la ricchezza che Dio ha preso da nostro padre, appartiene a noi e ai nostri figli” (ibid., 31:16).