Un affascinante e ingegnoso piano-sequenza trascina lo spettatore lungo un viaggio in cui le rivendicazioni sentimentali del protagonista lasciano presto spazio a una tragedia ben più a larga portata: l’invasione nazista dei territori sovietici abitati dagli ebrei.
Tra gli ultimi film in competizione della sezione Concorso Progressive Cinema della Festa romana, SHTTL conduce lo spettatore a ridosso dei drammatici giorni che precedettero il tentativo della Germania nazista di invadere l’Unione Sovietica. Il ritorno al villaggio del giovane Mendele, intenzionato a sposare l’amata fanciulla, corrisponderà alla duplice delusione nel trovarla destinata a convolare ad altre nozze, in un contesto drammatico in cui, a ridosso della imminente occupazione, saranno i villaggi ebrei quelli che patiranno le più spietate e sanguinose conseguenze della inarrestabile avanzata nazista.
Villaggio in lingua yiddish si traduce con “shtetl”
Nel 1941, alla vigilia della decisiva avanzata tedesca nelle sterminate lande russe attraverso la cosiddetta “Operazione Barbarossa”, il giovane regista Mendele decide di fare ritorno al proprio villaggio ebreo situato tra i boschi, per poter finalmente rivedere la propria promessa sposa.
Lì, nota come tutto sia rimasto identico nel suo tradizionale vecchio aggregato di anime che gli ha dato i natali.
Tutto uguale tranne due particolari, insieme devastanti ed inquietanti: l’amata promessa sposa si scopre destinata a sposare il greve figlio del pastore del villaggio, che intanto sta per essere raggiunto dall’avanzata tedesca, ormai prossima a raggiungere le vallate che cingono la piccola cittadina rurale a popolazione interamente ebrea.
Ma il giovane ed orgoglioso Mendele è troppo occupato a risolvere la devastazione sentimentale che lo coglie così a bruciapelo, per preoccuparsi delle conseguenze dell’avanzata nazista. Che sopraggiungerà inesorabilmente, trovando la popolazione inerme impreparata a un confronto che si tradurrà in un vero e proprio massacro. Uno dei molti perpetrati in quelle zone funestate dall’intolleranza, a danno delle popolazioni ebraiche.
SHTTL – la recensione
Figlio del mondo e del cinema che sperimenta e indaga sulle tragedie che hanno sconvolto l’umanità, l’argentino Ady Walter esordisce con questo interessante SHTTL nella direzione di un lungometraggio.
Rappresenta la sua storia attraverso un lungo piano-sequenza, composto tecnicamente di diverse lunghe parti, poi ri-assemblate meticolosamente in sede di montaggio, e scandite solo dal mutare della fotografia, che alterna le lunghe scene in bianco e nero a momenti fugaci di colore. Quasi a rendere palpabile la fiamma del sentimento che colora la vita dell’energico e determinato giovane protagonista.
La storia permette allo spettatore di addentrarsi all’interno di una cultura e di una comunità inevitabilmente chiusa in se stessa, che ricorda, anche grazie alla fotografia stilizzata del tutto azzeccata, il villaggio dello splendido Il nastro bianco di Michael Haneke, premiato con la Palma d’Oro a Cannes nel 2009 e con l’Oscar nel 2010.
Tuttavia, forse per la inevitabilità di ritrovarsi imprigionati tra i vincoli di una tortuosa sequenza che si concede per scelta pochi stacchi pressoché impercettibili, dopo un po’ capita che lo spettatore avverta una certa frustrazione nel trovarsi incastrato lungo un percorso di crucci personali, privati e peraltro comprensibili. Laddove, al contrario, ci si rende conto della opportunità di un intervento di fuga o di organizzazione per sventare l’imminenza di una strage che non tarderà a verificarsi.
É anche vero che il film racconta con estremo e comprensibile realismo uno dei tanti episodi che si conclusero nel sangue e nella brutalità più perversa e malata, e che si conclusero con uno sterminio di quasi un’intera etnia attraverso una delle più sciagurate persecuzioni mai avvenute nella storia dell’umanità.
Il singolare titolo tutto in maiuscolo e senza concessione di alcuna vocale, fa riferimento al romanzo intitolato La scomparsa, pubblicato da Georges Perec nel 1969.
In esso ricorre spesso la parola in lingua yiddish “shtetl”, che significa appunto “villaggio”, ma che, per ragioni non propriamente chiarite, nel romanzo appare riportata senza la sua unica vocale “e”.
Questo errore, chissà se voluto o dovuto ad altre ragioni, ha affascinato il regista Walter, che ha voluto mantenerlo nel suo film per rendere evidente il concetto di privazione e di mancanza: una sorta di rappresentazione dell’abisso della persecuzione a danno della comunità ebrea.
Nel cast variegato e composto da attori di differenti nazionalità, spicca il noto attore e caratterista di origini ebraiche Saul Rubinek, per la prima volta coinvolto in un progetto che lo vede recitare in lingua yiddish.