“Ve ‘attà aqrev elekha et Aharon achikha ve et banav ittó – Ed ora avvicina a te Aharon tuo fratello e i suoi figli con lui”
I nostri Maestri ci insegnano che”en muqdam umeuchar ba Torà – non c’è un prima e un dopo nella Torà” ossia, non possiamo fare della Torà un libro di storia con date certe, ma dobbiamo fare di essa il libro dell’insegnamento di vita.
La parashà di Tetzawwé che leggeremo questo Shabbat, ci narra con estremo dettaglio il vestiario completo dei cohanim e del Cohen gadol, scendendo nei particolari più minimi, di ciò che indossavano durante il culto nel Mishkan o in seguito nel Bet ha Miqdash.
Quello che i commentatori ci fanno notare è che, in tutta la parashà non compare mai il nome di Moshè; forse per una forma di umiltà di Moshè stesso che, rivolgendosi la parashà ad Aharon e ai suoi figli, la sua figura si allontana dalla scena per cedere il posto – almeno momentaneamente – al fratello più grande e ai suoi discendenti.
Questa è la ventesima parashà della Torà.
La prossima settimana leggeremo la storia del vitello d’oro, dove viene messa in evidenza la grande preghiera di intercessione che Moshè rivolge a D-o per salvare il popolo dalla grave colpa di idolatria, commessa a causa di quell’idolo.
Durante la preghiera, durata quaranta giorni e quaranta notti, Moshè prega per salvare tutto il popolo, condannato alla completa distruzione a causa di questa grave colpa. Moshè, nel tentativo estremo dice:
“Mecheni na mi sifrekha asher katavta – Cancella me dal tuo libro che hai scritto” ossia “fa morire me, ma salva il popolo”. Appare qui, con tutta la sua grandezza la figura dello tzaddiq – il giusto: colui che per salvare un uomo, un popolo o tutta l’umanità è pronto ad offrire se stesso.
L’espressione “mi sifrekhà – dal tuo libro” è composta da tre parole “mi – dal” “sefer – libro” “kha – tuo”.
Il suffisso “kha – tuo” espresso in ebraico con la lettera “khaf” corrisponde al numero venti.
Ecco spiegato il motivo dell’assenza del nome di Moshè dalla nostra parashà! Anche se si tratta di qualcosa di negativo, il Signore ascolta sempre le preghiere degli tzaddiqim e le esaudisce. Moshè aveva barattato la sua persona per la salvezza di tutto il popolo; non è stato esaudito per questo ma, in cambio della salvezza del popolo, non è stato menzionato nella ventesima parashà.
Prima di esprimere una sentenza, non solo nei confronti del prossimo ma anche nei propri, bisognerebbe fare molta attenzione affinché non fossimo esauditi per un qualcosa per cui non siamo convinti e che potrebbe ritorcersi contro di noi.
Shabbat Shalom