Tempio di via Eupili – Milano
Nella Parashà di Haazinu il punto di partenza per il discorso di Moshè è il suo appello al cielo a testimoniare. Porgi orecchio, o cielo e io parlerò, e ascolta, o terra, le parole della mia bocca. (Devarim 32:1). Questa non è semplicemente una licenza poetica ma è una parte cruciale del discorso di Moshè. Nei versetti che portano a questo discorso poetico, emerge l’intenzione di Moshè di invocare il cielo e la terra come testimoni: Radunami tutti gli anziani delle tribù e gli ufficiali, affinché io pronunci queste parole alle loro orecchie e chiami il cielo e la terra a testimoniare (Devarim 31:28). Questa testimonianza viene menzionata anche in precedenza: Chiamo il cielo e la terra a testimoniare in questo giorno contro di te, in cui pongo davanti a te la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita, affinché tu e la tua discendenza possiate vivere. (Devarim 30:19)
Qual è lo scopo di chiamare il cielo come testimone? La risposta più semplice è che Moshè sa che la sua morte è imminente e che non potrà più indirizzare il popolo, pertanto, li informa che ci sono testimoni che saranno sempre presenti a testimoniare in sua vece.
Nel suo trattato sulle leggi della Teshuvà, Rambam fa riferimento a un tipo diverso di “testimonianza soprannaturale”: Cosa costituisce la Teshuvà? Che un peccatore abbandoni i suoi peccati e li rimuova dai suoi pensieri, decidendo in cuor suo di non commetterli più… Allo stesso modo, deve rimpiangere il passato, come afferma [Geremia 31:18]: “Dopo che sono tornato, mi sono dispiaciuto”. Colui che conosce tutti i misteri testimonierà che non tornerà mai più su questo peccato… Deve confessare verbalmente e dichiarare le questioni che ha risolto nel suo cuore. (Rambam Teshuvà 2:2). Rambam afferma che uno degli elementi critici della Teshuvà è che “Colui che conosce tutti i misteri”, D-o stesso che conosce il comportamento di ognuno di noi, testimonia che questa persona non ripeterà mai il peccato commesso. Questo passaggio è stato molto dibattuto. Alcuni ritengono che indichi la convinzione di Rambam che il comportamento del peccatore recidivo annulli la sua penitenza perché la ripetizione del peccato dimostra che la penitenza non era sincera. Da questo punto di vista, un peccatore è perdonato solo se non regredisce mai in comportamenti vecchi e duri a morire. Solo quando D-o stesso è in grado di attestare che il peccato non verrà ripetuto, il peccato viene cancellato dalla storia del peccatore.
Rav Yisrael Salanter contesta questa interpretazione, osservando che se così fosse, le fasi del pentimento nella formulazione di Rambam dovrebbero apparire in una sequenza diversa: il riferimento alla testimonianza divina avrebbe dovuto seguire le parole “risolvere nel suo cuore, non commettere (quel peccato) di nuovo”. La testimonianza di “Colui che conosce tutti i misteri” riguarda invece il rimpianto del penitente. Pertanto, sostiene Rav Salanter, l’affermazione di Rambam sulla testimonianza di D-o non ci dice tanto sul comportamento futuro del penitente quanto sulla sua sincerità attuale: una persona deve esprimere rammarico per il proprio peccato con tale sincerità da essere disposta a chiamare su D-o come testimone. La testimonianza di D-o riguarda la sincerità del penitente in quel momento e non riguarda quello che può accadere in futuro. Se una persona è sincera nella sua Teshuva, viene perdonata, anche se ripeterà il peccato in futuro.
Questa lettura dei commenti di Rambam rivela una visione realistica della natura umana: ci sono momenti in cui anche i penitenti sinceri soccombono all’inclinazione al male. Il Talmud insegna che parte dell’insidiosità del peccato è che diventa abituale.… Rav Huna disse: ‘Una volta che una persona ha commesso un peccato una o due volte, gli è permesso.’ Permesso?! Come potrebbe succedere? Piuttosto, gli sembra come se fosse permesso. (Yoma 86b). Colui che reitera il suo peccato non lotta più; crea una “nuova normalità”. Tuttavia, se questa persona raccoglie le forze per fare una Teshuvà sincera e, nonostante la sincerità del suo rimorso e la determinazione a non peccare più, lo fa comunque, sperimenterà una nuova lotta, forse ancora più difficile.
La Teshuvà permette di correggere il peccato su due livelli distinti, prima ottenendo il perdono per il comportamento stesso e, successivamente, purificando l’anima. Il peccato crea una distanza e, anche quando viene perdonato, la fiducia deve essere ricostruita. Chiamando D-o come testimone del nostro pentimento, rinnoviamo l’alleanza, esattamente come Moshè chiama il Cielo come testimone. La Mishnà nel Trattato di Yoma, si conclude con un insegnamento di Rabbì Akiva: Rabbì Akiva disse: fortunato sei tu, Israele! Chi è davanti al quale sei purificato? E chi è che ti purifica? Tuo Padre nei cieli, come è detto: ‘E io aspergerò su di te acqua pura e sarai puro.’ Ed è scritto inoltre: ‘La speranza (mikvè) di Israele è l’Onnipotente!’ Proprio come il mikvè purifica l’impuro, così il Santo, benedetto Egli sia, purifica Israele.
Il rimpianto è uno strumento potente. Esprimere rammarico davanti a D-o ci permette di rinnovare la nostra alleanza con Lui. La Teshuvà sincera crea un momento in cui D-o ci purifica come con le acque pure del mikvè. Sta a noi cogliere l’occasione dopo Kippur, utilizzare la nostra introspezione e il nostro pentimento per migliorarci, nel nostro rapporto con D-o ma soprattutto nel nostro rapporto con il prossimo, contribuendo a creare rapporti migliori e una società più armoniosa