“ …..e visse Giacobbe nella terra d’Egitto diciassette anni”
Con queste parole, inizia la parashà che leggeremo il prossimo Shabbat e che, con la quale si conclude il primo libro della Torà.
I commentatori fanno notare che, a differenza di tutte le altre parashot delle Torà, le quali tra la fine di una parashà e l’inizio di un’altra, vi è sempre uno spazio di una o più righe lasciate vuote, ossia senza alcuna scritta.
Perchè questo avviene proprio in occasione di questa parashà?
I nostri Maestri danno una spiegazione a questo e precisamente perchè, secondo ciò che essi sostengono, la vita di Giacobbe fu tutto un alternarsi di avvenimenti, senza che vi fosse alcuna interruzione, passando da momenti buoni a quelli meno buoni.
In questa parashà possiamo leggere gli avvenimenti inerenti gli ultimi giorni della vita del nostro terzo patriarca, ma soprattutto quanto egli era legato all’amore per i propri figli, ed all’unione di essi.
Vengono riportate anche le profezie che, in punto di morte, egli fa ai propri figli, predicendo il loro destino, legato soprattutto a quello che fu il loro comportamento durante la loro vita.
Molti commentano questo brano, (cap. 49) definendolo “le benedizioni di Giacobbe ai propri figli, ma leggendolo attentamente, troviamo per alcuni di essi, non parole proprio benedicenti, ma piuttosto dure e crude, come nel caso di Simeone e Levi, i quali si resero responsabili di quel fatto di sangue per aver ucciso un intero paese, a causa della loro sorella Dina (Genesi cap. 34).
Terminate le profezie nei confronti dei figli, Giacobbe intrattiene suo figlio Giuseppe e gli fa fare un giuramento sacro: “ …Al na tikbereni be Mizraim”
“…per favore non seppellirmi in Egitto”.
Egli dunque si fa promettere da suo figlio che lo seppellirà nella grotta di Machpelà, quella grotta, il cui territorio fu acquistato da Abramo per seppellirvi Sara e dove in seguito, furono seppelliti tutti i Patriarchi con le loro mogli, all’infuori di Rachele, la quale morendo di parto per la strade, viene seppellita a Betlemme.
Perchè questa strana promessa, perchè Giacobbe e poi in seguito Giuseppe, i quali erano stati insigniti di tanta gloria in Egitto e che tanto godevano dei favori del Faraone, non vogliono restare da morti in quel Paese? Che cosa li spaventa?
Rashì, il più grande commentatore della Torà e di gran parte della Bibbia, sostiene che chi muore in terra di Israele, immediatamente espia le proprie colpe, in quanto è detto nel libro di Devarim (cap. 32 v. 43):
“la terra espierà il suo popolo” quindi, non avendo la possibilità di morire lì, almeno la sepoltura in Israele li avrebbe fatti sopportare le pene delle punizioni nel Giudizio Divino.
C’è ancora un’altra spiegazione: sia Giacobbe che Giuseppe, essendo così importanti in Egitto, sarebbero stati sepolti nelle piramidi, con tutti i criteri delle sepolture egizie, proibite categoricamente dalla tradizione abramitica, che si rifà al detto di Bereshit cap.3 v. 19 “ ….poichè tu sei fatto di povere e alla polvere tornerai” privo quindi di ogni ricchezza e di ogni cosa che possa rappresentare la vita effimera terrena.
Giuseppe, anch’egli in punto di morte, fa fare lo stesso giuramento ai suoi discendenti, mentre predice loro che di lì a poco, essi saranno fatti schiavi del Faraone, maquando usciranno, non dovranno dimenticarsi di trasportare in Israele le sue spoglie…………………………e così fu.
Shabbat Shalom