Con il ritrovamento di Giuseppe si conclude il dramma che ha colpito Giacobbe e i suoi undici figli.
La storia è a lieto fine, ma come avviene spesso, ad un lieto evento segue sempre qualcosa di negativo: infatti la parashà continua narrandoci la discesa in Egitto di Giacobbe e dei suoi figli.
Giacobbe – Israele torna nuovamente in golà, dopo esserci stato in gioventù per venti anni.
“Non temere di scendere in Egitto, poiché lì ti porrò come una grande nazione“
D-o rassicura Giacobbe che teme di scendere in Egitto, poiché lì il Signore farà della sua famiglia un grande popolo. Ma come più volte accade, Giacobbe ha grande paura della Diaspora. Non ha torto, poiché la Diaspora a volte può lusingare, ma spesso ci riserva anche grandi delusioni.
La lettura di questa parashà quasi sempre coincide col sabato che precede il digiuno del 10 di Tevet, in cui commemoriamo l’inizio dell’assedio posto a Gerusalemme dai babilonesi, prima della sua distruzione.
A qualcuno verrebbe da obiettare che trascorso qualche millennio, il digiuno sia superfluo.
Visto ciò che ieri è accaduto all’ONU, (la quasi totalità dei paesi ad esso appartenenti hanno votato la mozione contro la proposta di Gerusalemme capitale unica e indivisibile dello Stato di Israele), nulla può essere dato per superato e scontato.
I nostri Maestri hanno visto nella discesa di Giacobbe in Egitto, l’inizio di tutte le sciagure del nostro popolo. Noi sappiamo però che il Signore rivelò ad Abramo, qualche secolo prima, che la sua discendenza sarebbe stata schiava in quel paese.
Possiamo allora dedurre che tutto fa parte di un disegno divino, anche ciò che a noi sembra negativo avrà sicuramente un risvolto positivo per il nostro popolo.
Shabbat shalom