Tempio di via Eupili – Milano
La Torà è piena di dettagli su come dovremmo vivere le nostre vite e cosa dovremmo sforzarci di diventare. Nessuna mitzvà riassume questi aspetti più di un versetto nella Parashà di questa settimana, dove ci è comandato di camminare nella “Sua” via (Devarim 8:6). Dobbiamo emulare D-o, almeno rispetto a quei tratti che ci rendono più simili a Lui.
Non è difficile elencare molti di questi tratti, soprattutto perché la Torà lo ha già fatto nel libro di Shemot (34:6). Tuttavia, uno dei tratti più importanti di D-o non è quello a cui la maggior parte delle persone pensa. In ebraico è “nosè be’ol im chaverò”, che si traduce come “portare il fardello con il suo amico”. Questo è la prima caratteristica di D-o in cui si imbatte Moshè al roveto ardente. Rashi sottolinea: Un angelo di D-o gli apparve in una fiamma di fuoco dall’interno del roveto, ed ecco, il rovo ardeva di fuoco, ma il rovo non si consumava. (Shemot 3:2). D-o avrebbe potuto apparire a Moshè in molti modi. Avrebbe potuto rivelarsi come un albero in fiamme che non si consuma, il che avrebbe potuto essere più regale rispetto ad un roveto. D-o scelse un umile cespuglio perché voleva trasmettere un messaggio a Moshè: “Anche se ora sono venuto solo per redimere il popolo ebraico, sono stato con loro tutto il tempo e ho percepito la loro sofferenza. Ho condiviso il loro fardello”. D-o ha trasmesso questo messaggio al popolo ebraico mentre stava ancora soffrendo, e lo ripeté dopo che erano già liberi: … e videro il D-o d’Israele, e sotto i Suoi piedi era come la formazione di un mattone di zaffiro e come l’apparenza dei cieli per chiarezza. (Shemot 24:10). Rashi commenta in loco: Come la formazione di un mattone di zaffiro: Che era davanti a Lui nel momento della schiavitù, per ricordare le ristrettezze del popolo ebraico [cioè,] che erano schiavi nella fabbricazione dei mattoni. Ancora una volta, lo stesso messaggio: Sono con te, anche quando sembra che non lo sia.
Questa è la differenza tra essere comprensivi ed empatia: Una persona comprensiva si immedesima con qualcuno che soffre, ma non sa come ci si sente a soffrire. La sua comprensione di quello che prova il prossimo è in qualche modo limitata. L’empatia mette una persona, anche se temporaneamente, nei panni della persona che soffre, chi è empatico capisce i sentimenti del prossimo. Quest’ultimo è confortato dal fatto che non porta il proprio fardello da solo.
È comprensibile dunque il motivo per cui un tale tratto caratteriale è così importante. D-o ha creato questo mondo per le relazioni, tra l’uomo e D-o e tra l’uomo e il suo prossimo. La misura della profondità di ogni relazione è la misura in cui le parti diventano una cosa sola. Essere nosè be’ol im chavero è una chiave importante per raggiungere questo obiettivo. Questo è il contrario della storia di Kamtza e Bar Kamtza che, dice il Talmud, portò alla distruzione del Secondo Tempio (Ghittin 55b). Bar Kamtza, erroneamente invitato alla festa del suo nemico, implorò di non essere umiliato pubblicamente. Piuttosto che essere nosè be’ol im chavero, Kamtza fece espellere il suo avversario tramite l’intervento dell’esercito, umiliandolo e contribuendo alla distruzione del Tempio.
L’impatto di essere nosè be’ol im chavero ha i suoi vantaggi. Secondo il Ba’al HaTurim, la tribù di Yosef fu benedetta con l’assegnazione della parte più fertile di Eretz Yisrael perché Yosef ebbe figli all’inizio della carestia in Egitto. Yosef, sebbene potesse avere una vita facile nel palazzo del faraone, scelse di non essere diverso e di soffrire con gli altri. Questo è anche il motivo per cui Tu beAv è collegato a Tish’à beAv. Il Talmud dice che i due giorni più felici dell’anno per il popolo ebraico sono Yom Kippur e Tu beAv. Yom Kippur fornisce l’espiazione necessaria, motivo di molta gioia. Tu beAv è un giorno felice per alcuni motivi, uno dei quali è che è il giorno adatto per fare shidduchim (fare incontrare ragazzi allo scopo di farli sposare). Tuttavia l’aspetto più importante di Tu beAv è trascurato e considerato incidentale. Il Talmud dice: I nostri rabbini hanno insegnato:
La figlia del re prendeva in prestito [le vesti] dalla figlia del Kohen Gadol, la figlia del Kohen Gadol dalla figlia del vice Kohen Gadol e la figlia del vice Kohen Gadol dalla figlia dell’Unto per la battaglia e la figlia dell’Unto per la battaglia dalla figlia di un normale kohen. Tutto Israele prendeva in prestito gli uni dagli altri, per non svergognare chi non possedeva [vestiti bianchi]. (Taanit 31a). Non è insolito che una donna che non ha vestiti decenti venga aiutata, sopratutto in alcuni ambiti. È insolito fare di un simile aiuto un evento nazionale. Eppure questo è esattamente quello che succedeva a Tu beAv. Questa ricorrenza è una perpetua ammonizione a non comportarci come Kamtza, a non lasciare che i desideri personali dirigano le nostre azioni. La mancanza di empatia caratteristica dell’epoca, ha portato ad una cosa grave come la distruzione del Secondo Tempio.
Il mese di Av in cui ancora ci troviamo è un mese considerato di lutto, soprattutto nella prima parte, ma si tratta in realtà di un mese importante e fondamentale. Ridurre questo mese solo al lutto è limitante. Questo mese ci deve servire in realtà come sprono per migliorare noi stessi, lavorare su noi stessi e scoprire come possiamo trasformare questo mese da mese luttuoso a mese gioioso e fruttuoso, per noi stessi, per i nostri cari e per la società in cui viviamo, consapevoli che D-o non ci abbandona mai e che ci aiuta sempre e comunque