Nella parashà che leggeremo questo shabbat sono contenuti tutti i presupposti della nascita del nostro popolo attraverso la storia dei due gemelli: Giacobbe ed Esaù.
Quella storia, conosciuta da tutti coloro che leggono e studiano la Bibbia, potrebbe essere confusa o scambiata con una delle favole di Fedro, o uno di quegli aneddoti della letteratura greca, in cui attraverso la narrazione di un fatto veniva insegnata una certa morale.
Nel racconto in questione viene invece delineata la storia del popolo ebraico, popolo che prenderà il nome proprio da Giacobbe al quale verrà in seguito cambiato il nome in Israel.
Nel momento in cui avviene lo scambio di identità e quindi il cambio di primogenitura da Esaù a Giacobbe, il testo racconta che Isacco, ormai vecchio e cieco, riceve da suo figlio (Giacobbe tramutatosi in Esaù) del cibo come aveva chiesto (ad Esaù e non a Giacobbe), per poi impartirgli in seguito la benedizione di primogenito, considerata particolarmente importante nei popoli dell’antichità.
Giacobbe, nelle vesti di Esaù, offre al padre il succulento pasto e suo padre, sentendo la voce di Giacobbe ma le braccia ed il collo peloso di Esaù, emette una sentenza, che sarà la sorte eterna del nostro popolo:
“…..La voce è la voce di Giacobbe ma le braccia sono le braccia di Esaù”.
Molti esegeti hanno cercato di dare una spiegazione profonda a questa frase dicendo che l’espressione “..la voce è la voce di Giacobbe” indica quello che deve essere nel futuro, il comportamento del popolo di Israele.
Se gli altri popoli, per far sentire le loro ragioni, usano metodi forti, violenti ma che non provocano altro che danni, Israele deve usare la sua voce; ossia lo studio, la cultura e tutto ciò che fa parte di un rapporto che contribuisca ad aumentare la conoscenza.
La voce è quindi per il popolo ebraico, il mezzo di comunicazione, ma anche il mezzo usato per dimostrare i suoi diritti di popolo.
Shabbat shalom