Senza ombra di dubbio, la parashà di toledot è una delle più affascinanti del libro di Bereshit.
In essa si delinea tutta la storia e le opere del popolo ebraico, che prenderà il nome proprio dal protagonista della storia narrata, Giacobbe – Israel.
Nella seconda parte della parashà, viene descritta la benedizione che Isacco in punto di morte impartisce a Giacobbe, invece che ad Esaù , dopo che Rebecca aveva organizzato lo scambio di persone.
Esaù era infatti colui a cui spettava la benedizione del bekhor – il primogenito – il quale, a differenza degli altri fratelli riceveva una doppia eredità.
Dietro consiglio di sua madre Rebecca, Giacobbe assume le sembianze di suo fratello indossando sulle braccia e sul collo delle pelli di animale e recandosi dal padre si fa riconoscere per Esaù.
A questo comportamento Isacco esclama la fatidica frase: “Ha kol kol jaakov ve ha jadaim jedè esav – la voce è la voce di Giacobbe e le mani sono le mani di Esaù!”
Rashì si sofferma su questa esclamazione, ragionando sulla differenza di carattere fra i due fratelli.
La “voce” di Giacobbe è supplichevole “kum na shevà ve jokhal mi zed benò – per favore alzati e mangia del cibo di suo figlio” “Na – lashon tachanunim – espressione di supplica” mentre Esaù si esprime con grande fermezza “jakum avì ve jokhal mi zed benò – si alzi mio padre e mangi del cibo di suo figlio!”.
Questo dimostra, anche nel futuro il carattere del popolo ebraico rispetto agli altri popoli: Israele si confronta attraverso lo studio, la cultura e soprattutto la tefillà, mentre gli altri usano le mani.
Niente di più attuale…….
Shabbat slalom