“Vajomer A’ el libò lo osif lekallel od et ha adamà baavur ha adam……- E il Signore disse in cuor suo – non continuerò a rovinare la terra per colpa dell’uomo”
Con queste parole si conclude il brano della nostra parashà, che racconta del diluvio universale, mandato da D-o, per punire l’uomo a causa del suo operato.
Dopo il diluvio che distrugge tutta l’umanità all’infuori della famiglia di Noè, il Signore afferma che, distruggere un’opera così perfetta, come la Creazione, a causa delle malefatte dell’uomo, non vale la pena.
Ai giorni nostri, ci si sbigottisce davanti a eventi catastrofici che si stanno susseguendo nel nostro paese. Molte volte si sente dire che ciò che sta accadendo è la punizione di D-o a causa del cattivo comportamento dell’uomo.
Leggendo il brano sopra citato, sembrerebbe proprio che D-o non voglia più punire l’uomo per il suo cattivo comportamento; anzi Egli dice: ” Non distruggerò più la terra a causa dell’uomo”.
Quindi il terremoto non deve essere inteso come una punizione divina. Un famoso ebreo italiano, sosteneva che il terremoto non è altri che i passi di D-o che scende sulla terra, per rendersi conto dell’operato dell’uomo.
Tra qualche shabbat, leggeremo la storia di Sodoma e Gomorra; nel dialogo che D-o ha con Abramo, la Torà riporta le parole divine che suonano:
“..e disse il signore – il grido di Sodoma e Gomorra è grande, così la loro colpa. Scenderò a vedere …..”. Anche nel libro dell’Esodo, al capitolo 3 è detto che il Signore aveva ascoltato il grido di dolore del popolo ebraico e poi: “scenderò a salvarlo”. Ogni qualvolta noi assistiamo alla discesa di D-o sulla terra, le cose per alcuni non si mettono bene. D-o non distruggerà più il mondo; il pericolo è che l’uomo porterà il mondo alla distruzione. La generazione di Noè era talmente traviata che era meritevole di essere distrutta: Noè salva l’umanità.
Dicono i nostri maestri che grazie all’opera degli zaddikim, il mondo non verrà mai distrutto.
Gli zaddikim sono coloro che fanno del bene al prossimo, senza però essere consci del loro grande merito.
Il Signore, nel corso della storia dell’uomo ha dato al popolo ebraico un grande strumento per potersi riscattare dal cattivo comportamento: questo strumento si chiama teshuvà.
La teshuvà infatti ha la forza di far redimere l’uomo dal suo cattivo comportamento e fa redimere D-o dalle decisioni prese contro di lui.
Noè era uno zaddik, un giusto; un giusto particolare, come è stato definito dai commentatori, un giusto che non parla con l’uomo per convincerlo a ravvedersi e tornare a fare il bene. Eppure, grazie a Noè l’umanità è salva.
Racconta il midrash che per costruire l’arca Noè abbia impiegato centoventi anni; un tempo troppo lungo per un uomo, per un simile lavoro, anche se vecchio e stanco. Il motivo dell’attardarsi nella conclusione della costruzione è perché sperava che qualcuno gli chiedesse il motivo di tutto ciò.
Il midrash racconta pure che egli costruisse l’arca e poi la distruggesse per ricostruirla nuovamente; tutto questo però non destò alcuna curiosità da parte di una Umanità, troppo intenta ad operare il male.
Ci sono modi per comunicare con il prossimo che sono chiari ed espliciti, come ad esempio farà Abramo per salvare gli abitanti di Sodoma e Gomorra – o Mosè per salvare il popolo ebraico dalla punizione che D-o aveva deciso per loro, per la grave colpa dell’idolatria del vitello d’oro.
Noè non è un oratore, non sa parlare in pubblico, non ha il carisma di colui che sa convincere.
Egli prova il “tutto per tutto” sperando che gli uomini che lo vedevano costruire e distruggere l’arca, per centoventi anni, gli chiedesssero qualcosa e quindi facessero teshuvà.
Eppure, una concezione ebraica sostiene che lo zaddik è proprio colui che non parla ma, al contrario, fa prevalere l’azione. Noè ha agito per il bene dell’Umanità ma è probabile che l’Umanità non abbia capito i suoi messaggi.
Molto dovremmo imparare tutti, da questo episodio della Torà.
Shabbat shalom