Speriamo che la “Corporazione del Corretto Dialogo” non multi questi bambini per dialogo non autorizzato… DP
Gualtiero Peirce
Tra poesia e fantasia quello che pensano i piccoli cattolici, ebrei e musulmani alle prese con gli insegnamenti del loro Dio. Il regista Gualtiero Peirce li ha registrati in presa diretta. E ora li racconta in un libro
Certi bambini piccoli sono connessi con l’universo, a loro agio nella contemplazione di un rametto, pazzi di gioia nella neve, pietosi verso un gatto coperto di croste, un pesce appena pescato che si dibatte, mentre gli adulti sono indaffarati e distratti. E una spiritualità naturale dove le parole ancora non trovano posto, tantomeno il pensiero astratto. Così è molto interessante osservare come le scuole confessionali – qualunque opinione se ne abbia – avvicinano i giovanissimi all’idea di Dio, e li indirizzano verso una appartenenza che, se pure da adulti dovessero abbandonarne l’aspetto strettamente religioso, resta nelle fondamenta.
Gualtiero Peirce, giornalista, scrittore e regista, ha trascorso mesi e mesi in tre scuole confessionali a Roma, una cattolica, una ebraica e una musulmana perché, spiega, lo interessa il tema nevralgico del sacro «che regola tante cose di questo mondo, e in nome del quale si compiono atti magnifici oppure gra vissimi». Da questa esperienza ha tratto un libro appena uscito per Einaudi Stile Libero, Il Signore è grande e non si può disegnare – perché ; nel foglio non ci sta, dal quale si evince che, nel loro inizio, i principi che vengono insegnati ai bambini di religioni diverse non sono certo così dissimili, anzi sembrano comuni: «Banalmente: siamo tutti uguali prima di diventare diversi» dice Peirce. «E questa vicinanza potrebbe esser conservata, o almeno ricordata, ragione di amicizia e di confronto, non di divisione».
Nel rapporto con le classi che frequentava quotidianamente per scrivere il libro e girare un documentario per Raitre (si intitola Primo giorno di Dio) ha usato un approccio «da botanico che aspetta tutto il tempo necessario per veder sbocciare un fiore. Non ho fatto una sola domanda, non parlavo» racconta Peirce. «A volte non c’era neppure bisogno della mia presenza, era sufficiente lasciare un registratore e tornare a riprenderselo alla fine delle lezioni». Il Signore è grande è anche un florilegio di osservazioni infantili profonde e buffe, di ingenuità geniali e di conversazioni comiche, ma nel testo scorrono anche meraviglia e commozione.
L’autore ammette: «Sono completamente laico, ma a volte quei bambini mi facevano sentire un po’ più vicino al divino». Forse perché lo facevano anche ridere di cuore?
La morà (maestra in ebraico n.d.r) Giuditta spiega la cacciata dal paradiso terrestre a bambini che più o meno conoscono la storia, ma confondono il frutto dell’albero del bene e del male con una pesca e con una banana prima di ricordarsi che, in effetti, è una mela.
L’imam Sami dice che siamo tutti figli di Adamo, e la più piccina della sua classe commenta: «Poveretto, ma quanti figli che ha!».
La maestra Francesca chiede ai suoi scolari un po’ di silenzio e uno di loro esclama: «Il più silenzio di tutti è in montagna quando nevica, perché quella è il modo come la natura sta zitta», tutti saggi di poesia e di teologia spontanee, ancora così beatamente lontane dal prendere una forma sola.
E mentre la scuola ebraica è «proprio la scuola di un popolo, dove il metodo di insegnamento si avvale di una mirabile familiarità con la bellezza delle parole», la scuola musulmana, non parificata e che quindi si tiene il sabato e la domenica in un garage di periferia, «oltre alle ragioni identitarie ha anche lo scopo di rafforzare il legame con la lingua e la terra di origine, perché i bambini tornando in Egitto, in Senegal, in Marocco possano parlare con la nonna e i cuginetti, non ferire il nonno con l’inosservanza».
Sono scuole che conservano e tramandano i valori e le norme di una minoranza, mentre chi sceglie un’educazione tutta cattolica per i figli, non solo le ore di religione facoltative dell’istruzione pubblica, dice Peirce, «fa della fede uno stile di vita, ne fa discendere un modo di leggere la realtà, oppure ne condivide i principi», e aggiunge che non è così elitaria come la immaginava e, a dar retta alle sue pagine, anche piuttosto allegra.
Ma la vera sorpresa ai suoi occhi sono stati il garage di periferia della Magliana e l’imam Sami, che insegna a bambini anche piccolissimi impegnati nella gran fatica di aggiungere due giorni di lezione al resto della settimana: «Forse perché quella realtà mi era quasi del tutto ignota, o perché Sami mi ha accolto con una fiducia totale, permettendomi addirittura di assistere a un momento intimo come l’insegnamento delle abluzioni rituali». In quella classe, dove i maschietti non riescono a stare fermi e le bambine, e così le mamme che le accompagnano, portano il velo («tanto più aggraziato e elegante di uno dei simboli della nostra civiltà come i jeans a vita bassa con il tanga che esce fuori»), lui ha trovato negli studenti musulmani «un silenzio speciale, una sintonia quasi fisica, piena di condivisione» e nel loro maestro «una dolcezza che, persi come siamo nei nostri pregiudizi, negli uomini islamici non siamo capaci di presumere».
Io Donna – 29 novembre 2008