Maria Luisa Moscati Benigni
Introduzione
“In mancanza di una documentazione precisa, per la datazione di una sinagoga è necessario rifarsi alle vicende storiche della comunità che l’ha edificata”: questa, la teoria dell’architetto Ja’aqov Pinkerfeld 1) fondatore della sinagografia moderna. Aggiungo che il confronto con altre sinagoghe, datate con certezza, identiche nella struttura e nella disposizione degli elementi fondamentali (tevah ed Aron) può essere di grande aiuto. Quando poi, come nel nostro caso, è presente lo stesso rabbino fondatore della stessa famosa scuola cabalistica, prima a Pesaro poi ad Ancona e in fine a Safed in Palestina, allora il confronto diventa decisivo.
La scuola sefardita di Pesaro pertanto risale alla metà del ‘5OO poiché è in quel periodo che maturano e si affermano i presupposti socio economici, culturali e religiosi che la giustificano.
Né mai più si verificheranno, nei secoli successivi, in seno alla comunità ebraica, condizioni altrettanto favorevoli.
Purtroppo, tutt’altro che favorevoli, sono altrove gli eventi che determinano l’insorgere di tanto improvviso benessere. Sono anzi tragici sia nella lontana penisola Iberica, sia nella vicinissima Ancona.
In passato gli ebrei spagnoli avevano conosciuto un periodo d’oro, non solo per la tranquillità economica, grazie alle molteplici attività che li rendevano graditi o addirittura ricercati dai vari sovrani, ma soprattutto per la convivenza pacifica e fattiva con i musulmani.
Erano sorti ovunque centri di studio, basti pensare al grande Maimonide filosofo ebreo, medico, talmudista, autore di un avvicinamento, attraverso la cultura, tra gentili ed ebrei e soprattutto con gli arabi che primeggiavano in molti campi, in primo luogo la medicina.
Con il consolidarsi dell’egemonia cristiana si intensifica l’intolleranza religiosa: sempre in Spagna nel 1366 e nel 1391 migliaia di ebrei furono massacrati senza altra alternativa tra il rogo e il battesimo. Questi nuovi cristiani in parte continuarono, nel segreto delle loro case, a professare la fede dei padri e furono chiamati marrani.
Seguì ancora un secolo di tranquillità, ma questa finì con l’unificazione dei regni di Castiglia e di Aragona sotto i sovrani Ferdinando e Isabella i quali nel gennaio del 1492, resa Granada, cacciarono i mori dalla Spagna e il 31 marzo dello stesso anno decretarono l’espulsione degli ebrei che rifiutavano la conversione.
Nel giro di neppure un mese dovettero prepararsi alla partenza, già molti si erano imbarcati il 12 aprile con Colombo (studi recenti hanno rivelato la presenza di cartografi ebrei tra il personale di bordo ed anche lo stesso Colombo discendeva da una famiglia di marrani).
Dei 2OO.OOO che lasciarono la Spagna circa la metà preferì fermarsi nel vicino Portogallo sperando in un ripensamento. Erano infatti frequenti in Europa espulsioni improvvise e successivi richiami in cambio di forti tasse, a questa volta la causa andava ricercata in una vera profonda religiosità della coppia reale: non si trattava del solito pretesto per estorcere altro denaro.
Fu così che tanti ebrei fuggiti dalla Spagna si stabilirono in Portogallo ove il re Giovanni II, compreso il grande vantaggio che potevano trarne l’economia, grazie ai ricchi commerci delle spezie e delle sete, e la cultura per la presenza di insigni poeti, ilosofi e medici, li accolse, ando loro residenza stabile.
Altrettanto fece il suo successore Emanuele I, a quando furono concordate le sue nozze con l’infanta di Spagna, figlia dei cattolicissilmi sovrani, dovette anch’egli, sia pure a malincuore, decretare l’espulsione degli ebrei che rifiutavano il battesimo.
Tentò di trattenerli facendo arrestare e battezzare tutti i giovani, sotto i 25 anni, bambini compresi; molti genitori, non sopportando di vedersi strappare i piccoli, si convertirono e così crebbero le file dei marrani. (2)
Gli altri fuggirono, seguiti poi a poco a poco dagli stessi marrani, i quali, restando, rischiavano di finire nelle mani dell’Inquisizine che aveva preso a funzionare anche in Portogallo. Già in Spagna era operante dal 1480 e per tre secoli cercherà di scovare e raggiungere marrani da ardere vivi o in effigie, sui roghi.
I fuggitivi, portando nel cuore l’amata Sefarad, si diressero, parte verso le coste del nord Europa, parte verso le coste del Mediterraneo, soprattutto in Turchia sotto la protezione di Solimano, come la portoghese madam De Luna (3), diventata poi donna Gracia Mendes, artefice della fortuna del porto di Pesaro. Altri infine si rifugiarono a Livorno e ad Ancona.
Qui gli ebrei italiani, presenti già prima del mille, godevano di speciali privilegi da parte dei papi che avevano fatto di Ancona un porto franco per agevolare i commerci con il levante. (4)
I portoghesi, giunti numerosi ad Ancona, uasi tutti reduci da conversioni forzate, ripresero a giudaizzare apertamente, tornando alla fede ebraica.
C’erano tra questi i due fratelli Lusitano: uno, Amato, medico, autore di un trattato di medicina, divenne anche il medico privato di papa Giulio III e della sorella di lui; l’altro, Didaco Pirro Lusitano poeta in lingua ebraica, portoghese e latina autore di testi poetici.
Entrambi dopo la fuga dal Portogallo (l’antica Lusitania della quale conservarono il ricordo nel nome) vissero fino al 1555 in Ancona poi a Pesaro.
Proprio in quell’anno, il 14 luglio, il nuovo papa Paolo IV, Carafa, con l’editto “Cum nimis absurdum” (5) emana una lunga serie di infami costrizioni contro gli ebrei ed istituisce il ghetto a Roma: in quello stesso anno nella vicina Ancona inizia lo strazio dei marrani.
I fatti sono ormai a tutti noti: ne furono arrestati novanta e cofiscati i loro beni.
Ancora una volta non hanno altra alternativa che un nuovo battesimo o il rogo. Ma nonostante i 16.OOO ducati d’oro pagati, solo alcuni riescono a fuggire, altri accettano il battesimo, 25 riconosciuti colpevoli di apostasia dall’Inquisizione, finiscono tra l’aprile e il giugno del 1556, in una serie di roghi in Piazza del Campo della Mostra. (6)
Anche se da tempo ormai l’Inquisizione mandava ogni anno centinaia di ebrei al rogo in Spagna, tuttavia questa era la prima volta che ciò accadeva nello Stato della Chiesa. La notizia si diffuse rapidamente tra le varie comunità dislocate lungo le coste del Mediterraneo. In Turchia la potente Gracia Mendes e suo genero Josef Nassì organizzarono immediatamente il boicottaggio del porto di Ancona a favore di quello di Pesaro. Questo fu il primo e unico atto di ribellione aperta, rganizzato contro il papato: Ancona infatti era il porto di Roma aperto verso il Levante.
Tutti i ricchi traffici con l’oriente furono dirottati sul porto di Pesaro, porto che il Duca Guidubaldo II fu ben lieto di ampliare e migliorare visto l’utile che ne avrebbe ricavato.
Questo fu per la città di Pesaro il periodo d’oro: navi cariche delle merci più preziose attraccavano alle banchine del suo porto, a città divenne il centro di smistamento delle merci destinate alle città dell’interno, li affari prosperavano.
E fu il boom anche per gli ebrei portoghesi artefici di tanta improvvisa fortuna, ifugiatisi numerosi in città.
E’ questo l’unico momento che possa giustificare storicamente la costruzione della sinagoga sefardita e non tanto per le cospicue risorse economiche o per la particolare benevolenza del Duca, quanto per l’esigenza religiosa dei nuovi arrivati di continuare ed approfondire gli studi
mistici. Non dimentichiamo che è in Spagna che appare nel 1275 il Sefer ha-Zòhar (Libro dello Splendore) che racchiude le concezioni cabalistiche. Tali studi furono sempre coltivati anche da coloro che, per esigenze di vita, svolgevano le più svariate attività, mercanti o banchieri che fossero. A Pesaro vive e lavora proprio in questo periodo l’architetto Filippo Terzi reduce dal Prtogallo ove aveva ricostruito il palazzo reale, era anche l’architetto dei re di Spagna.
A Pesaro infatti sorse proprio una jeshivà, cuola di studi superiori, razie a Rabbi Moshé Bàsola insigne studioso dei sacri testi, rabbino e cabalista. Nel 1522 aveva visitato la città di Safed in Palestina, ra poi giunto a Pesaro e la sua fama era tale che molti vi affluirono per frequentare il centro di studi cabalistici da lui fondato. Anche il ricco banchiere, filantropo e mecenate, ordekhaj Volterra, giunto dal Portogallo attraverso Livorno, subì il fascino di questo tipo di studi, i trasferì per un certo tempo a Pesaro ed è indicato come il committente e finanziatore della sinagoga sefardita. Tutto questo prima del 157O poiché il 1O gennaio di quell’anno venne poi chiamato a Firenze, da Francesco dei Medici (7), ove rivestì la carica di consigliere politico-finanziario, anche Rabbi Bàsola lascia la città per fondare una nuova scuola prima ad Ancona poi a Safed.
La scola sefardita, o levantina, di Ancona da lui fondata, sorgeva presso il porto e fu demolita per ordine del governatore pontificio nel 186O, pochi mesi prima che le truppe del Regno di Sardegna liberassero la città. Si era voluto così punire gli ebrei anconetani per la loro ampia partecipazione ai moti del Risorgimento.
Fortunatamente il rabbino capo della comunità David A. Vivanti fece redigere dall’ing. Daretti una dettagliata descrizione e planimetria dell’edificio. Grazie a questi rilievi sappiamo che essa era identica a quella di Pesaro. In entrambe l’Aron e la tevah, al centro delle pareti più corte,
sono dislocati su vari piani così da costituire un sottospazio per i fedeli. Due rampe di scale,, nite alle pareti laterali della sala, onducono alla tevah posta all’interno di una galleria sorretta da colonne, lle spalle tre ampie finestre. Persino la porta di accesso alla sala era, nella sinagoga di Ancona, situata nello stesso preciso punto in cui si apre quella di Pesaro, ioè al di sotto del balconcino della tevah, aratteristica questa comune, ome tutto il resto, alle sole sinagoghe di Carpentras e Cavaillon in Francia, e a Safed in Palestina. Forse il modello fu portato dallo stesso Rabbi Bàsola dal suo primo viaggio in Palestina, di certo sono tutte di rito spagnolo. (8)
Anche l’Aron è posto al di sopra di tre gradini e fiancheggiato da colonne che sorreggono una trabeazione con ornamenti. Leggendo i numerosi articoli scritti sull’argomento dall’architetto Haym Vito Volterra, tudioso d’arte e di architettura sinagogale, si potrebbero rilevare infinite analogie tra le citate sinagoghe, tutte coeve e sefardite (9).
Quando rabbi Bàsola tornò, nella seconda metà del ‘5OO a Safed, icco dell’esperienza vissuta nel Rinascimento italiano, contribuì allo sviluppo urbanistico e culturale di quella città, e vi fondò la prima tipografia in terra d’Israele, arte questa appresa nel suo soggiorno a Pesaro ove avevano operato gli stampatori ebrei Da Spira, provenienti da Soncino. (nome di provenienza adottato poi come cognome).
Ma c’è un altro personaggio che, come abbiamo già visto, rriva a Pesaro nel I455, proprio alla vigilia dei tragici fatti di Ancona: è il poeta portoghese Didaco Pirro Lusitano, cantore appassionato della saudade.
Se si chiede oggi ad un giovane portoghese cosa sia la saudade, certo risponderà che è nostalgia, ma chi questa nostalgia l’ha vissuta e sofferta, va col pensiero agli spazi aperti verso il grande mare oceano su cui si affaccia Lisbona. Nostalgia dunque di azzurrità: il blù cobalto del mare e il giallo del sole.
E’ questo l’unico momento storicamente e sentimentalmente plausibile per tingere di giallo e di blu la volta della sinagoga, una volta a botte gonfia, tesa verso l’alto come una vela sospinta dal vento. Fa pensare alla volta del cielo oltre la quale Giacobbe udì, in sogno, la voce di Dio promettergli una discendenza numerosa come le stelle del cielo.
Nel corso dei secoli, danneggiata dai terremoti o più semplicemente dal tempo, avrà subito chissà quanti restauri e nuove tinteggiature, ma ora così sbiancata, non è più la schaar ha-sciamonim, cioè “La Puerta del Cielo” oltre la quale il cabalista spagnolo Avraham Coen Herrera avverte la presenza di Dio. (10)
E’ interessante il fatto che anche sul porto di Smirne si affaccia una sinagoga fatta erigere nella prima metà del ‘5OO da donna Gracia Mendes: ha la volta azzurra arabescata di giallo, è chiamata ancor oggi “ la sinagoga de la Seniora“. E a Cochin, nello stato del Kerala in India, c’è una piccola sinagoga con la volta e le pareti a piastrelle blu e gialle. Forse la saudade è arrivata sin là.
Di certo quei portoghesi, ebrei e non, che incatenati alle galere raggiunsero le coste del Brasile, la portarono disperatamente nel cuore, se, come narrano i missionari giunti dopo alcuni decenni, case e chiese sono dipinte di blù cabralino con fasce di un bel giallone carico.
Il nome del navigatore portoghese Pedro Alvares Cabral resterà per sempre legato a quel blu.
Anche le azulejos, le splendide piastrelle che ornano chiese, cortili e facciate per le vie di Lisbona e in tante altre città della penisola Iberica, resteranno rigorosamente gialle e blu fino tutto il ‘6OO (solo nel ‘7OO cominceranno ad apparire anche il verde e il viola di manganese), per poi diventare policrome.
Altri marrani avevano raggiunto le coste dei Paesi Bassi e se, grazie alla loro abilità di tagliatori di pietre preziose, Amsterdam divenne, da piccolo porto di pescatori, capitale dei diamanti, Delft, con l’arrivo dei ceramisti iberici, divenne a partire dalla fine del ‘5OO, famosa nel mondo per le sue ceramiche e porcellane blu: il blu Delft appunto.
Ma senza andare in coste così lontane, ceramisti di origine spagnola li troviamo anche a Pesaro e il colore preferito lo portarono nel loro stesso nome . E’ la famiglia Azulai (da azulejios?), ceramisti operanti a Padova nel I532 poi a Pesaro, ove troveremo varie generazioni fino a d un certo Jacob Azulai III nel I73O, he insieme ad un certo Isaac Cohen, produssero piatti raffiguranti scene bibliche e le famose zudiole descritte da Piccolpasso. (11)
Forse ci siamo dilungati sin troppo, nel racconto delle antiche storie, ma la conoscenza delle vicende che hanno condotto gli ebrei sefarditi nella città di Pesaro è di primaria importanza per capire col cuore la loro sinagoga. Lo storico Attilio Milano scrive in proposito “… a Pesaro, quella di rito spagnolo è fra le più belle che siano state costruite in Italia, certo la più armoniosa…” e aggiunge ” Individui che tennero a provvedersi di luoghi di preghiera e di convegni simili, non erano certo semplici mercanti” e, come abbiamo visto, erano molto di più.
LA SINAGOGA SEFARDITA DI PESARO
Nel 1634 anche a Pesaro fu istituito il ghetto, venne perciò chiusa al culto la sinagoga di rito italiano situata in Piazza Giudea (in Via delle Zucchette) la più antica.
Rimasero pertanto le due situate in Via delle Scuole o Scole, come erano chiamate un tempo le sinagoghe. La presenza di ben tre centri di culto, tra la seconda metà del ‘500 ed il ‘600, era giustificata dall’alto numero di ebrei residenti in città (circa seicento anime) e di quelli che vi giungevano dall’entroterra in occasione delle fiere o via mare soprattutto dal Levante con le navi cariche di merci pregiate: spezie e tessuti.
A quel tempo il porto di Pesaro, grazie al boicottaggio di quello di Ancona, divenne uno dei più importanti dell’Adriatico.
Oggi è rimasta soltanto la sinagoga sefardita, o spagnola, poiché, essendo ormai pericolante, la vicina scola italiana fu demolita intorno agli anni quaranta, (al suo posto ora c’è il cortile di un rigattiere).
Descrizione dell’edificio e uso degli elementi che lo compongono
Situata nel cuore della città vecchia, entro le antiche mura, la sinagoga sefardita di Pesaro si erge massiccia, testimone, come anche il cimitero ebraico, di una storia che ha coinvolto l’intera città.. Per ragioni di sicurezza non presenta esternamente alcun segno che la faccia individuare come luogo di culto, è anzi inglobata in un più ampio edificio che si affaccia su via del Ghetto Grande (oggi via Sara Levi Nathan). In questo edificio dovevano trovarsi anticamente, ltre agli uffici amministrativi della comunità, le scuole a partire da quella materna, ino alla famosa jesciwà di studi cabalistici, nonché quella di musica sinagogale data l’importanza del canto nel rito tradizionale della “nazione” sefardita. Non esiste, lmeno dal punto di vista stilistico, un’architettura sinagogale, esiste tuttavia una serie di elementi comuni alle varie sinagoghe, indispensabili allo svolgimento dei riti e all’osservanza delle mizwot (precetti).
Nella facciata, olta a sud-est verso Gerusalemme, si apre il grande portone d’ingresso degli uomini e accanto, iù piccolo, quello delle donne che immette direttamente, attraverso una ripida scala, alle due sale del matroneo. L’ingresso degli uomini ha un portalino in pietra chiaramente rifatto nell’ottocento. All’epoca, er dar spazio al lunotto, dovettero ridurre l’altezza dei portoni, ma furono ben attenti a non ridurre il numero dei riquadri di ciascun battente (il quinto riquadro in alto risultò così più piccolo degli altri quattro). Secondo la kabbalah infatti il numero cinque ha un suo particolare valore per il detto ” ricorda che la tua mamo ha cinque dita e non quattro ” : cioè è fatta per dare e non per prendere, cinque è la generosità, la spiritualità, quattro l’opposto. Gli antichi cabalisti avrebbero molto da dirci sul significato di quei sei riquadri in cui è ora diviso ciascun battente del portone, rifatto in sostituzione di quello antico.
L’ingresso prendeva luce anche dall’ampia vetrata che si apre sul cortile retrostante; qui all’aperto, all’inizio dell’autunno si celebrava la festa di Sukkot (capanne).
C’è poi, accessibile solo dal cortile, un piccolo ambiente: quasi certamente si trattava della ghenizà, na specie di cimitero dei vecchi libri di preghiera ormai troppo deteriorati per essere usati, o vecchie carte, che comunque non potevano essere bruciati o gettati per rispetto del nome di Dio in essi trascritto. Il fatto che questo ambiente non sia in alcun modo collegato con l’interno della sinagoga, avvalora l’ipotesi.
Negli altri vasti locali a piano terra, sono situati il mikvèh, na profonda vasca in cui si scende per il bagno purificatore, il forno ed il pozzo. Il forno era adibito esclusivamente alla cottura dei pani azzimi che l’intera comunità consumava durante la Pasqua, era situato all’interno delle sinagoghe proprio per avere la certezza che non vi fossero mai stati cotti cibi contenenti lievito. Anche il pozzo è sempre presente data l’importanza dell’acqua, elemento purificatore, nella ritualistica: lo stesso bagno, dovendo essere fatto in acqua prevalentemente sorgiva, può essere sostituito, stagione permettendo, da un’immersione totale in mare o nel fiume.
Inoltre l’acqua viene usata per il lavaggio delle mani nella fontanella posta in fondo al corridoio di ingresso, rima di salire le scale che conducono alla sala adibita al culto.
La posizione dell’ingresso alla sala è, identica a quella di poche altre sinagoghe, coeve, di rito spagnolo (ad Ancona e a Carpenras e Cavaillon in Francia): chi entra è volto contemporaneamente verso il sacro Aron e verso Gerusalemme. Infatti, mentre l’Aron è sempre addossato alla parete posta a mizrach (al sorgere de sole), l’ingresso è solitamente situato su uno dei lati lunghi della sala. L’Aron, o Arca santa è una specie di credenza in cui si conservano i sacri testi (sifré- Torà), lunghe strisce di pergamena arrotolata sulle quali è trascritto il Pentateuco.
L’Aron di Pesaro, in legno intagliato e dorato, era fiancheggiato da colonne e sormontato da una enorme keter (corona), pur essa in legno dorato. Ora dello splendido complesso resta solo la
traccia sulla parete poiché nel 197O fu trasferito nella nuova sinagoga di Livorno. Il trasferimento si rese necessario per sottrarlo ad eventuali danni in un edificio ormai fatiscente e soprattutto perché non avrebbe più potuto assolvere la sua funzione di Arca santa là dove non esisteva più una Comunità. L’Aron è datato e firmato nel 17O8 dall’ebanista di Cupramontana Angelo Scoccianti, al tempo famoso.
È incredibile come, nel 1799, si fosse salvato dalla feroce razzia del popolino che al grido di “Viva Maria “, per cinque ore devastò e saccheggiò le case del ghetto e le due sinagoghe.
In faccia alla parete in cui era collocato l’Aron e quindi al di sopra della porta di accesso, si eleva l’imponente complesso della tevàh, non il semplice leggio, sia pure posto in una sorta di pulpito tipico delle scole di rito italiano, bensì una vera e propria galleria sopraelevata, in cui trovavano posto, non solo l’officiante, ma, come è l’uso del rito sefardita, i numerosi cantori del coro. Sul ripiano della tevàh l’officiante apre il sefer-Torà e procede alla lettura del passo biblico del giorno.
Ad essa si accede, come nelle sinagoghe non più esistenti di Ancona e di Safed e in quella di Carpentras, salendo una doppia scala addossata alle pareti laterali: i gradini sono quindici come nel sacro Tempio di Gerusalemme (distrutto dai Romani nel 7O d.C.)
Il balconcino settecentesco della tevàh, in legno intagliato e dorato, fu trasferito decenni or sono nella scola levantina di Ancona.
Ai lati del ballatoio della tevah figurano, racchiusi in cornici sovrapposte e in rilievo, che creano un particolare effetto di profondità, due ingenui dipinti a tempera che raffigurano, quello di sinistra, immerse in una verde campagna percorsa da un improbabile ruscello, le mura di Gerusalemme sormontate dalla cupola del Tempio, sotto corre la scritta ” immagine del sacro Tempio – che sia ricostruito ai nostri giorni”, mentre quello di destra, ai piedi del monte Sinai, l’accampamento degli ebrei e la tenda-tabernacolo in cui era custodita l’Arca santa con le Tavole della Legge.
Un triplice arco sostenuto da quattro colonne in finto marmo e capitelli decorati con festoni fioriti, mette in rilievo la separazione tra la sala e la galleria e conferisce un aspetto monumentale all’insieme architettonico.
Lungo la parete volta ad est si aprono, isposte su due ordini, le finestre del matroneo, la parte riservata alle donne; erano schermate da grate fittamente intagliate a forma di minutissimi maghèn-David (stella di David).
Molti anni or sono, dopo un lungo lavoro di restauro, le grate furono montate nella sinagoga di Talpioth (Gerusalemme).
Addossate alle pareti e ai lati dell’Aron sono disposte panche di legno, così pure altre panche doppie correvano parallele alle prime: questa sistemazione permetteva ai fedeli di rivolgere lo sguardo sia all’Aron, dal quale l’officiante estrae il sefer-Torà, sia alla tevàh ove viene effettuata la lettura, al tempo stesso permetteva all’officiante di rivolgere lo sguardo al pubblico e di dirigere il canto cui prendevano parte tutti i fedeli, secondo l’uso sefardita.
Grazie alle alte finestre la sala è piena di luce, così da poter seguire sui testi la lettura delle preghiere, luce alla quale si aggiungeva, nelle ore serali, quella dei numerosi lumi ad olio (uno per famiglia). appesi alle aste sorrette da ganci, sotto la grande volta.
Prima del restauro la volta era dipinta di blu cobalto su cui spiccavano i rosoni di un giallo carico, come pure gialli erano i tralci di quercia, chiaro omaggio degi ebrei sefarditi ai Della Rovere, signori di Pesaro.
Bibliografia e note
Alcuni passi del testo sono già stati pubblicati su “Storia delle Marche” a cura di F. Bertini, Il Resto del Carlino, 1995, Vedi M.L. Moscati, “La sinagoga sefardita di Pesaro” pp. 236, 237.
1) Ja’acob Pinkerfeld, architetto, ucciso nel 1956 da un commando giordano durante una visita archeologica. Nel suo libro “Beth ha-kenesseth be-Italia ha-Renessance”. presenta una vasta documentazione fotografica, ipresa nel 1939, che permette di conoscere anche l’aspetto di sinagoghe italiane ormai perdute.
2) J. Hayim Yerushalmi, ” Dalla Corte al Ghetto” Garzanti, 1991
3) R. Calimani, “Storia del Ghetto di Venezia”, Rusconi 1985, pp. 155-164.
4) G. Aracini, “Memorie Historiche della Città dìAncona”, Roma 1675 Forni ed. p. 361.
5) A. Milano, ” Storia degli Ebrei in Italia “, G. Einaudi ed., p. 247
6) C. Feroso, “Gli Ebrei portoghesi giustiziati in Ancona sotto Paolo IV”, Sgariglia, Foligno 1884
7) U. Cassuto, “Gli Ebrei a Firenze nell’età del Rinascimento”, Firenze 1918 Olschki, p.392. E’ interessante il tenore della lettera inviata dal principe Francesco dei Medici per capire quale importante personaggio fosse Mordekhaj (Angelo) Volterra. Termina con queste parole “… sempre che lo possiate fare con comodità vostra, venitevene da noi liberamente, che lo potete fare et ci sarà molto grato.”
8) Vito Hayim Volterra,” Sinagoghe Levantine in Italia”, Torath Chajim n.96 Jerusalem 1982, p. 26
9) “Salvaguardia e restauro dei siti a Safed”. Jerusalem 199O Torath Chajim n.129, .13
1O) G, accaro Battisti,” La cultura filosofica del Rinascimento italiano nella Puerta del Cielo di A . Coen Herrera “, Italia Judaica, Roma 1986, pp. 295-334.
11) Cecil Roth,”Majolica Passover Plates of the XVI th- XVIIIth Centuries”, Erez Israel, VII, 1964
12) M.L. Moscati Benigni,” La scola italiana di Pesaro” Città e Contà, n.3, 1993.
Parte del testo della conferenza: Presenza ebraica a Pesaro e recupero del patrimonio culturale tenuta nella sala consigliare della Provincia il 12 aprile 1995.