Dani Levy ironizza su Hitler e sull’ideologia che produsse la Shoah. In Germania la pellicola uscirà la settimana prossima: polemiche in agguato
BERLINO – Si può ridere sul nazismo. Non è un paradosso ma un film. Si intitola Mio Führer. La vera autentica verità su Adolf Hitler. Ed è diretto da un regista ebreo. In Germania uscirà l’11 gennaio, e le polemiche sono in agguato. Cosa c’è che fa sorridere nel sanguinario dittatore tedesco? Vederlo giocare a battaglia navale con dei modellini mentre fa il bagno nella vasca tra le bolle. O osservarlo mentre si aggira depresso, immalinconito e stordito dalle droghe in mezzo ai suoi fedeli gerarchi. O mentre abbiglia il suo cane – un pastore tedesco naturalmente – con l’uniforme nazista. Tutto questo è nel primo film di produzione tedesca che dileggia il Führer e l’ideologia che portò alla Shoah.
Una provocazione da parte di chi non conosce le sofferenze del popolo ebraico? No, perché Dani Levy, regista della pellicola nato in Svizzera e residente a Berlino, è di famiglia ebraica. E ha nel suo carnet Zucker! Come diventare ebreo in 7 giorni, film in cui si faceva beffe degli ebrei tedeschi e delle loro tradizioni. Finì primo in classifica nelle sale della Germania. E Levy ha deciso di continuare. Ispirandosi a La vita è bella di Roberto Benigni e a Essere o non essere di Ernst Lubitsch, parodia dell’invasione tedesca della Polonia. Perché? Perché “credo che sia molto importante che gli ebrei imparino a parlare di se stessi, e del loro passato, in modo nuovo. Basta con le riproposizioni realistiche dell’Olocausto: non fanno altro che annoiarci e impigrirci, impedendoci di andare oltre”, ha commentato Levy in una recente intervista.
E lo scopo va raggiunto grazie al sorriso. Quando uscì Zucker!, Der Spiegel scrisse che in sala “non si rideva degli ebrei, ma con gli ebrei. Un passo decisivo nella giusta direzione”. Nel suo ultimo numero il settimanale, pur non recensendo la nuova fatica di Levy, scrive che ridicolizzare Hitler e l’Olocausto “aiuta a demolire il mito perché il dittatore torna ad essere un uomo, peraltro anche malconcio e depresso. Hitler diventa un essere umano qualunque, non più uno spauracchio. Perché l’unico modo per ridimensionare il mito, è ridere di lui”.
E così è, grazie alle continue prove di inettitudine del Führer, costretto anche a farsi sostituire da un sosia, ripescato nei campi di concentramento, per un discorso pubblico che infiammi la nazione. Un po’ come ne Il grande dittatore di Chaplin, dove il regista-attore-musicista interpretava sia Hitler che il suo doppio, un barbiere ebreo identico al despota nazista. Nel film di Levy, Hitler è depresso, e il prigioniero, noto attore comico prima dell’avvento delle croci uncinate e specializzato nella sua imitazione, si sostituisce a lui, tentando il colpo gobbo: ucciderlo. Fallirà, ma continuerà nella sua opera dissacratoria accentuando la depressione e la stupidità di Hitler, modificando anche il famoso discorso in chiave demenziale.
Nei panni di Hitler Levy ha chiamato l’attore Elge Schneider, 50 anni, comico e cabarettista tedesco, scartando invece Klaus Maria Brandauer per quelli del suo sosia. E nel cast ha voluto anche Wolfgang Becker, regista tedesco autore di Good bye Lenin!, film paradossale sulla Germania dell’Est e sulla “ostalgia”, la nostalgia del comunismo degli abitanti dell’ex Ddr. Altro caso, altro tentativo di esorcizzare i fantasmi del passato con l’ironia.
GAIA GIULIANI – 2 gennaio 2007
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