Da una derashà di Rav Sacks
Il dettaglio è fortemente enfatizzato nella narrazione della Torah, ma a prima vista sembra incomprensibile. E’ scritto (Shemot 11,1-2): “E il Signore aveva detto a Mosè; Ancora con una piaga colpirò il Faraone e l’Egitto, dopo di che vi lascerà andar via, e quando vi lascerà andare, vi caccerà del tutto di qua. Comunica al popolo che ogni uomo chieda al proprio compagno e ogni donna alla propria compagna, oggetti d’argento e d’oro”. Puntualmente, nei concitati momenti dell’uscita dall’Egitto, è scritto (Shemot 12,33-36): “E gli Egiziani fecero pressioni sul popolo per mandarli via al più presto, poiché pensavano: finiremo per morire tutti.
E il popolo portò via la pasta prima che lievitasse caricandosi sulle spalle le madie avvolte negli indumenti. E i figli d’Israele conformandosi al comando di Mosè richiesero agli Egiziani vasi d’argento, d’oro e indumenti. E il Signore aveva ispirato benevolenza per questo popolo da parte degli Egiziani cosicché fu svuotato l’Egitto”. Perché l’oro e l’argento? Se il popolo aveva tanta fretta di andare, tanto che non fecero in tempo a far lievitare la pasta, perché il Signore fu così esigente circa questi regali di addio? Che utilità avrebbero avuto durante il loro viaggio a confronto con la natura selvaggia? La perplessità si fa ancora più forte quando pensiamo a quale sarebbe stato l’effettivo uso di questi oggetti, che servirono per compiere il peggior peccato di quel frangente, il vitello d’oro. Il Talmud (Berakhot 32a) sostiene anzi che Mosheh addusse questo fatto a difesa di Israele: se non avessero avuto a disposizione l’oro non avrebbero avuto il materiale per realizzare il vitello. Non possiamo tuttavia dubitare del fatto che questo dettaglio sia importante, perché già nel suo primo incontro con Mosheh, nell’episodio del roveto ardente, D. ne aveva parlato. Perché era così centrale? Sino a quando non completiamo la lettura della Torah non possiamo comprenderla in retrospettiva. Nel libro di Devarim troviamo due dettagli che possono essere la chiave di lettura.
Il primo ha a che fare con la liberazione degli schiavi: come è noto lo schiavo ebreo, al giungere del settimo anno, deve essere liberato. La Torah dice (Devarim 15,13-15): Quando lo licenzierai dal tuo servizio non lo devi mandare via a mani vuote, gli darai una sovvenzione dal bestiame, dal raccolto, e dal vino che il Signore, benedicendoti, ti ha concesso. Ricorderai che fosti tu pure schiavo in terra d’Egitto, ma il Signore tuo D. ti riscattò; perciò io ti comando oggi tutto questo”. Il secondo è uno dei comandamenti più sorprendenti della Torah (Devarim 23,8): “Non aborrire l’Idumeo, perché è tuo fratello, e ugualmente non aborrire l’Egiziano, perché fosti ospite nel suo paese”. Questo fatto è notevole. Gli ebrei erano stati schiavizzati dagli egiziani, e non avevano alcun debito di gratitudine. Al contrario, avrebbero dovuto avere un forte risentimento. Ma in questo precetto abbiamo una grande intuizione sulla costruzione di una società libera. Un popolo guidato dall’odio non può essere libero. Il popolo ebraico sarebbe sì uscito dall’Egitto, ma l’Egitto non sarebbe uscito da loro. Sarebbero rimasti incatenati dal loro odio. E’ molto diverso convivere con il passato dal vivere nel passato.
Teniamo in gran conto la nostra memoria, la ricordiamo ogni anno, ogni giorno. Ma lo facciamo per il nostro futuro, non per il nostro passato. Non opprimere lo straniero, perché sai cosa significa essere straniero. Non infliggere agli altri ciò che tu hai provato. La memoria serve a tutelarti. Chi non ricorda il proprio passato, è destinato a ripeterlo. Ricordare quindi, ma non per odiare. I doni non servono a ricompensare per la schiavitù. Quello non passa. Ma c’è un modo per garantire che la separazione sia fatta con buona volontà per mezzo di una compensazione simbolica. L’ex schiavo capisce che sta per iniziare qualcosa di nuovo, senza rabbia e senso di umiliazione. Secondo il commentatore Benno Jacob l’oro e l’argento degli egiziani hanno un effetto salvifico. Servono a convincere gli ebrei che non tutti gli egiziani sono malvagi, la persecuzione era qualcosa che dipendeva dal Faraone e della leadership, ma quei doni servivano a tutelarli da successive rappresaglie e vendette. Questo messaggio nella nostra epoca è quanto mai pertinente, per ottenere la libertà è necessario anzitutto allontanare l’odio.