Fernanda Pivano
Come faremo senza Saul Bellow, senza la sua ironia, senza la sua eleganza, senza la sua inesorabile tenacia? L’aria è piena di suoi ricordi, sue frasi, sue battute, le stanze sono piene di sue immagini, suoi incontri, sue attese, le strade sono piene di sue passeggiate, di suoi pensieri, di suoi rimpianti, le fotografie sono piene del suo viso, della sua sicurezza, della sua indipendenza.
E lui, Saul Bellow, dov’è? Il primo ricordo che mi viene in mente è di qualche giorno favoloso che abbiamo passato a Capri, quando lui aveva 69 anni, capelli d’argento sui grandi occhi a mandorla, asciutto e affascinante, tre divorzi con un figlio per divorzio, quarta moglie romena, una quindicina di libri tra romanzi, commedie e raccolte di saggi e di racconti, Premio Pulitzer e tre National Book Awards, innumerevoli premi internazionali e lauree ad honorem , tutto culminato nel 1976 col Premio Nobel. Prima di venire a Capri a prendere il Premio Malaparte di Graziella Lonardi si è fermato a Roma in un albergo del centro, ha cenato una sera con Paolo Milano, suo intimo amico, e una sera con me. E’ andato dall’ambasciatore americano a una riunione in onore del colonnello Joe Kittinger, trasvolatore solitario dell’Atlantico in mongolfiera, commentando l’avvenimento: «Molto coraggioso. Ma occorre più coraggio per affrontare un matrimonio».
A Capri, fra un solleone e un acquazzone, ha partecipato a una cena alla Grande Gatsby nella ex casa della Principessa Mafalda di Savoia, è andato alla Villa di Tiberio in cerca del fantasma dell’imperatore, ha detto davanti a un pubblico di intellettuali: «Se dovessi cercare un eremo in cui vivere sicuramente sceglierei Capri, ma sento di dover restare nella lotta di Chicago», ha passato una giornata chiuso nella camera dell’albergo di lusso di Capri, l’indomani ha subito senza drammi l’insolenza di un giovane editore che si è presentato al lunch in suo onore con un’ora di ritardo e tutto sbracato perché arrivava «dalla barca» con un gruppo di amici sbracati come lui, e la sera si è accorto che gli editori lo avevano lasciato solo a Capri, tra grandi risate l’ho accompagnato a Roma io e sono stata con lui a cena a luci basse a parlare più delle sue donne che dei suoi libri.
Caro Saul Bellow, fascinoso e rubacuori, che raccontava le sue esperienze con gli ormoni di Wilhelm Reich, e i suoi problemi più o meno sessuali con le varie mogli e solo di sfuggita parlava dei suoi libri o di quello che stava scrivendo o delle sue proteste per recensioni con cui non era d’accordo. Ormai di lui tutti sappiamo tutto perché è uscita l’anno scorso, anche in Italia, una superba biografia di James Atlas, di quelle americane dove si trova tutto, tutte le notizie come su Internet, ma senza errori. La biografia comincia con l’affermazione che «gli scrittori americani per lo più sono autodidatti».
La cultura era un’attività marginale, Chicago, come diceva il suo massimo poeta Carl Sandburg, era la città «dalle grosse palle», la letteratura autoctona produceva romanzi come The Pit (del 1903) di Frank Norris sugli speculatori del grano, The Jungle (1906) di Upton Sinclair su una famiglia di immigrati lituani, la trilogia su Frank Cowperwood di Theodore Dreiser ispirata da un magnate della ferrovia, i romanzi amorosi di Sherwood Anderson; ma il Rinascimento di Chicago esisteva, ed Henry Louis Mencken sosteneva che era impossibile trovare uno scrittore americano che non avesse qualche legame col mattatoio sulle rive del lago Michigan.
Eppure per i giovani Chicago rappresentava nel XX secolo quello che Parigi era stata nel XIX per il protagonista di un romanzo di Honoré de Balzac; rappresentava, come dice Saul Bellow nella sua autobiografia, la prova «che la vita vissuta nei grandi centri manifatturieri, con la puzza di carne macellata, immensi slums, carceri e ospedali, era anche vita umana». In questa città si è trovato a crescere Saul Bellow, che l’ha fatta diventare un personaggio: la sua ventina di libri l’ha resa familiare quanto la Dublino di James Joyce. A permetterglielo è stata la fiducia nel proprio destino di artista, cioè, diceva Saul Bellow, «di una persona consacrata alla funzione più alta di cui è capace l’essere umano: fare, appunto, l’artista».
Non c’è dubbio che artista Saul Bellow è stato, senza esitazioni e fino in fondo: in quella Chicago ha vissuto in una famiglia di emigrati, ma nato nel Nuovo Mondo, cioè «diverso» dal resto della famiglia. Che era costituita dal padre poverissimo, la madre figlia di un rabbino e dai loro cinque figli, di cui Saul era il minore. A tre anni Saul si è trovato trasferito con la famiglia a Montréal e a otto anni è finito in un ospedale dove ha letto La capanna dello Zio Tom e, ha detto più tardi, ha visto la morte in faccia (ha descritto l’esperienza in Humbold’t Gift ), e in Herzog ha raccontato il disastro di suo padre nel 1923, quando non ha avuto più i tre dollari che doveva al rabbino per le lezioni di ebraico.
Nel 1924, il 4 luglio, a nove anni, aveva attraversato clandestinamente il confine con l’aiuto di un contrabbandiere e aveva preso un treno per Chicago; anche questa storia la racconta in Herzog. A quindici anni la famiglia aveva traslocato in un quartiere dove abitavano gli ebrei che «c’e l’avevano fatta»; in Herzog, racconta anche la morte drammatica della madre quando aveva 17 anni in un ricordo che lo ha ossessionato tutta la vita. Intanto si è diplomato, si è iscritto all’università, è diventato amico di Isaac Rosenfeld; con lui discuteva nei circoli universitari fra trotzkisti e stalinisti e nel 1934, mentre la famiglia traslocava in un quartiere di «ebrei agiati», a 19 anni aveva affrontato il rito di iniziazione d’obbligo durante la Depressione; poi aveva lasciato la casa paterna e aveva affittato una camera; lavorava con un fratello in un negozio di carbone che gli ha fatto da materiale per The Adventures of Augie March, si è laureato insieme a Isaac Rosenfeld, si è scelto per maestri scrittori fuori dalla scuola, Fedor Dostoevsky, Gustave Flaubert, James Joyce e soprattutto Theodore Dreiser, si è sposato con Anita.
Nel 1929 il Federal Writer’s Project gli ha dato da fare un libro sull’Illinois, come già lo aveva dato da fare a Nelson Algren e Richard Wright: a Saul Bellow il libro assegnato riguardava un elenco dei giornali dell’Illinois e poi anche profili biografici contemporanei, fra cui quelli di John Dos Passos, James T. Farrell e Sherwood Anderson. Nel 1940, dopo sette anni di attesa ha ereditato 500 dollari da una vecchia assicurazione della madre ed è andato in Messico con l’intenzione di salutare Trotzky, ma quando è arrivato lo ha trovato assassinato, proprio come Trotzky aveva sempre annunciato che avrebbe fatto Stalin.
In quel periodo ha scritto The Adventures of Augie March e ha cominciato colloqui per la ricerca di posti di lavoro; uno di questi colloqui, con Whittaker Chambers, lo ha umiliato perché non gli ha dato un posto al Time e Saul Bellow racconta l’umiliazione in The Victim , che è uscito nel 1947. Nell’attesa della chiamata alle armi aveva finito il suo primo romanzo, Dangling Man , che è poi uscito il 23 marzo 1944, mentre Hitler aveva invaso l’Ungheria, l’aviazione americana bombardava Berlino e le camere a gas di Auschwitz erano diventate cosa nota. Il libro è scritto sotto forma di diario ed è la cronaca di quattro mesi della vita di un giovane. La recensione più importante che ne è uscita è stata quella di Edmund Wilson sul New Yorker , dove Wilson lo ha presentato come una testimonianza importante sulla psicologia della generazione cresciuta durante la Depressione e la Guerra; invece Diana Trilling ne ha fatto una stroncatura su The Nation .
Nell’estate 1944 era andato a stare in un bell’appartamento, finalmente, e poi in attesa del richiamo militare che non arrivava mai si era arruolato volontario ed era partito per l’Est nella Marina Mercantile, col vantaggio che la caserma si trovava a poca distanza da Manhattan, dove vivevano molti suoi amici (forse il più importante è stato Isaac Rosenfeld). Continuava ad avere problemi economici: gli avevano rifiutato una borsa Guggenheim, nella primavera del 1946 si era stabilito a New York mentre portava a termine il suo secondo romanzo The Victim , non riusciva a fondersi con la società del Village che lo considerava un conformista, ed è stato allora che è andato in treno a Madrid, con un viaggio durato due notti; al ritorno dalla Spagna, dunque due anni dopo più o meno la fine della guerra, era uscito The Victim : Saul Bellow era riconoscente all’editore per la promozione che aveva fatto al libro e i critici cominciavano ormai ad accorgersi di lui, specialmente Robert Pennwarren e Alfred Kazin. Con questo successo ha avuto un anticipo per un nuovo romanzo ed è andato a Parigi: era il 15 settembre 1948, e lì ha scritto praticamente The Adventures of Augie March .
Nel 1950 è ritornato a New York, e ha fatto un’esperienza con le scoperte Wilhelm Reich, che non solo non ostacolava i suoi interessi sessuali, ma li incoraggiava: ormai era considerato un donnaiolo. Per i libri ormai era proprio famoso e accettato da tutti gli intellettuali d’America, presto era diventato amico di Ralph Ellison col suo controverso ma famosissimo Invisibile Man (rimasto amico di Bellow tutta la vita e chiamato poi da lui a lavorare accanto a sé a Chicago nel suo «Committee On Social Thought»). Bellow non era soddisfatto di The Adventures of Augie March e pensava di dover rifare gli ultimi capitoli; ma ormai il suo nome era entrato nello scaffale dei romanzi scritti nel dopoguerra dagli scrittori ebrei americani, The Naked and the Dead di Norman Mailer, Focus di Arthur Miller, The Natural di Bernard Malamud, Passage from Home di Isaac Rosenfeld, la raccolta di racconti di Delmore Schwartz The World is a Wedding .
Nel 1953, insieme alla nomina nel Bard College era arrivata la grande fama, a parte un attacco di Norman Podhoretz sulla «Partisan Review» e uno del figlio di Rebecca West sul «New Yorker»: quell’anno gli hanno dato un «National Book Award». Ha divorziato dalla moglie e il primo febbraio 1956 ha sposato Sondra, ha trovato un incarico nella New School ed è andato a preparare il suo corso a Yaddo, la colonia per artisti di Saratoga Springs, dove è diventato amico di John Cheever. Intanto preparava il romanzo Seize the Day , che è poi uscito nel novembre di quel 1956, ed è stato accolto da recensioni entusiastiche. Nel 1957 gli è nato un altro bambino e ha incontrato Susan Glassman, laureanda alla Radcliffe, dove Bellow aveva avuto un incarico; e ha creato una serie di problemi, conclusi con nuovo divorzio di Bellow.
Negli Anni Cinquanta l’Olocausto aveva reso indifendibile l’antisemitismo, il che non significava che non esistesse e Saul Bellow ne portava ad esempio Allen Tate, che si proclamava un Agrarian del Tennessee, e non nascondeva il suo disprezzo per il gruppo prevalentemente ebraico della «Partisan Review»: non si poteva negare che nella letteratura americana una vena di antisemitismo fosse esistita negli Anni Venti: per esempio gli studiosi di Hemingway sanno che l’editore gli ha chiesto di fare una modifica in The Sun Also Rises a un personaggio ebreo per renderlo sgradevole. Nei week end lo andava a trovare Sondra finché Bellow aveva divorziato da Anita con grossi problemi economici. Dal Bard College Bellow ha dato le dimissioni nel 1954, è andato a vivere a Cape Cod, dove ha ritrovato Mary McCarthy, divorziata da Edmund Wilson (che ora vi abitava col suo terzo marito Bowen Broadwater).
Nel 1955 è morto il padre, lasciandolo sconvolto, non diversamente da come lo aveva lasciato sconvolto la morte della madre. Seize the Day rappresentava un ritorno alla narrativa praticata in passato con la letteratura ottimistica di Dangling Man e The Victim ; modello del libro è Delmore Schwartz, che si avviava nel personaggio a diventare il relitto umano poi descritto senza pietà in Humboldt Gift, che è uscito nel 1959. Mentre Bellow era a Reno per divorziare da Anita e poter sposare Sondra ha incontrato Arthur Miller che stava divorziando per sposare Marilyn Monroe che stava girando Bus Stop; e finite le operazioni del divorzio era andato con Sondra in un viaggio di nozze prima di sistemarsi nella Villa Tivoli del Bard College.
Bellow aveva continuato a protestare coi recensori che non lo apprezzavano ma più o meno allora si era trovato ad affrontare un problema importante per tutta l’America, quello del rilascio di Ezra Pound: il dibattito per Pound si era aggravato nel 1949, quando gli era stato assegnato il prestigioso premio Bollingen e Delmore Schwartz e Irving Howe avevano protestato; adesso era stato organizzato dall’amministrazione Eisenhower un comitato di scrittori per combattere la propaganda sovietica presieduto da William Faulkner di cui Bellow faceva parte. Bellow si era trovato a controbattere un Faulkner come spesso gli accadeva influenzato dal suo amato bourbon e deciso a proporre di portare oltrecortina un po’ di ungheresi e offrirgli una macchina usata e un lavoro, ma Bellow gli obiettò che al ritorno in patria sarebbero finiti tutti in prigione.
Questa discussione aveva distratto gli scrittori dalle proposte per la liberazione di Ezra Pound: Bellow era violentemente contrario alla liberazione di Pound e ha scritto a Faulkner una lettera di fuoco per impedirlo. A parte questo dramma etnico Bellow conduceva a Villa Tivoli una vita che sembrava uscita da un romanzo russo, clima che sottolineava con un’abitudine recente di rivolgersi agli amici con il patronimico in costume fra i russi. Il suo problema era la mancanza di soldi e la sua felicità era stata la nascita il 19 gennaio 1957 di un bambino che era stato chiamato Adam Abraham.
Aveva accettato un incarico temporaneo all’Università del Minnesota e Bellow vi si era trasferito in febbraio, poco dopo la nascita del figlio. Lì divideva l’ufficio col poeta John Berryman e a maggio era andato alla University of Chicago per esaminare un manoscritto intitolato la Conversione degli Ebrei sottoposto in esame dall’autore ventitreenne che aveva voluto conservare l’anonimato: Philip Roth ha riportato l’episodio nel suo The Gost Writer del 1979, dove ha ripreso il dramma della assimilazione ebraica. A differenza di Bellow che fa conservare ai suoi personaggi tracce della loro ascendenza di immigrati, i personaggi di Philip Roth vivono nelle nuove periferie. Di Saul Bellow Philip Roth ha raccolto un ricordo molto dolce: «Dava l’idea di una persona acuta, pazzamente sicura di sé, affascinante, spiritosa e molto generosa».
Ormai la celebrità di Bellow è tale che tutti conoscono i suoi libri; tutti conoscono anche i suoi premi che sono stati i tre National Book Awards, un Pulitzer Prize e clamorosamente il Premio Nobel che Bellow è andato a prendere a Stoccolma con moglie, parenti e amici in un gruppo di una decina di persone in una settimana che è stata per lui un uragano di applausi. Poi ha sposato la scienziata romena che lo ha portato a visitare il suo Paese infelice e ha divorziato dopo che Bellow aveva divorziato anche dalla terza moglie Susan Glassman. Ma anche con la moglie romena Bellow ha vissuto in Europa un episodio romanzesco. Era molto innamorato di lei, in Italia si era fatto consigliare un negozio di coralli per comperare una collana che doveva regalarle come una catena da schiavo da mettere al collo, mi diceva che ogni mattina era lui a prepararle il caffè prima che lei uscisse, che era una moglie meravigliosa eccetera, ma quando in Francia il ministro della Cultura gli ha dato il premio della cultura francese porgendogli una medaglia, Bellow aveva fatto uno scherzo sull’asservimento che la medaglia comportava e la moglie romena gli aveva detto ad alta voce: «Don’t make an ass of youself». Molto tempo dopo Bellow mi ha raccontato che è tornato in America senza dirle una parola e ha parlato solo per chiedere a un avvocato il divorzio. I giornali sono stati pieni del suo ultimo matrimonio con Janis Freedman che a 40 anni e dopo cinque aborti gli ha dato a 84 anni una bambina che è stata chiamata Naomi Rose.
Corriere della Sera – 06 aprile 2005