L’avallo al film non è che l’ultimo passo di una Chiesa antisemita per necessità
Alma Cocco
Dovremmo esser grati anche a Carmine Monaco, oltre ai molti altri che hanno apportato notizie e contributi intorno all’operazione commercial/politica organizzata dagli antisemiti col film di Mel Gibson. Però il nocciolo della questione non è il film in se stesso, ma il fatto che esso ha avuto l’autorevole avvallo del Vaticano. Forse non ci sarebbe neppure stato alcun film se la Chiesa di Roma non avesse dato il suo preventivo assenso all’intera operazione.
La vera questione è, perciò, il fatto che la Chiesa di Roma ha preso l’iniziativa di incoraggiare l’uscita del film e di promuovere ogni operazione di marketing intorno al film. E non si può far finta che questo non esista, né nascondere la testa sotto la sabbia. Se il fatto significativo è che la Chiesa di Roma ha deciso di dare il suo ‘by appointment’ a questa operazione squallidissima, è da qui che la discussione deve prendere le mosse. Non serve rammaricarsi, ma occorre tentare di capire il perché.
Perché il Vaticano non ha preso le distanze, né ufficialmente né informalmente, dal film The Passion? Le parole del segretario di Stato del Vaticano sono state chiarissime nell’affermare che ‘se il film è antisemita, sono antisemiti anche i vangeli’. E sull’antisemitismo dei vangeli non mi resta che ribadire che “la funzione principale del linguaggio in cui sono scritti non è referenziale (ossia quella di comunicare qualcosa), ma imperativa; ossia il loro stile è prevalentemente quello di imporre qualcosa o convincere di qualcosa”. Di qui, inevitabilmente, la loro struttura di tipo manicheo con tutte le conseguenze che ne derivano.
Il dato reale (che neppure il Segretario di Stato ha voluto nascondere) è che tra i vangeli e il film di Mel Gibson non c’è frattura, ma un filo continuo. Ma con l’assenso ad un film antisemita, il quinto vangelo, la Chiesa di Roma ha dato il preciso segno di voler ribadire la sua posizione politica di sempre (che è antisemita) riallacciando il filo del discorso con Pio XII e con tutti gli altri papi antisemiti che lo hanno preceduto, e di voler cancellare l’apertura innovativa voluta da papa Giovanni XXIII.
Occorre allora accettare il dato che la Chiesa è antisemita. E lo è per necessità e per natura. Per necessità, perché deve sbarazzare il campo da tutti i possibili concorrenti; e l’ebraismo, dal punto di vista della Chiesa, è il concorrente più immediato, diretto e pericoloso. La sola esistenza degli ebrei come comunità organizzata e numerosa mina la certezza che il cristianesimo sia la ‘Vera Fede’. E per natura, perché il cristianesimo è una credenza totalitaria, ossia ha la pretesa ideologica di essere universale, ‘di tutti gli individui del mondo’ (cattolica, ecumenica). E però non nel senso che questa credenza ‘può’ essere compresa e accettata da chiunque, ma nel senso che essa ‘deve’ essere inculcata, con la persuasione o con la forza in tutto l’ecumene, ossia in tutto il mondo abitato. Durante l’invasione delle Americhe gli spagnoli battezzavano con la forza gli indigeni amerindi prima di ucciderli. E questa è storia.
Da questà enormità ideologica, da questo vizio di fondo (che la Chiesa condivide con l’Islam e con il social-comunismo) discende l’idea prava di ‘pulizia ideologica’ che può divenire, nello specifico caso dell’ebraismo, ‘pulizia etnica’, ossia ‘antisemitismo’. E la Chiesa, non diversamente da ogni altra ideologia dello stesso stampo, lo ha fatto egregiamente nel corso di due millenni, non solo con la caccia agli ebrei, ma soprattutto con la caccia alle streghe, agli eretici, ai pagani e ai dissidenti; e quasi sempre essa ha portato a termine il suo disegno servendosi di volta in volta degli opportuni alleati e/o sodali: ieri la Spagna e i nazisti, oggi i nazionalisti e non solo arabi. Sono illuminanti a tal proposito le prime parole dell’editto di espulsione degli ebrei dalla Spagna del 31 marzo 1492 emanato “in favore della fede”. In esso si afferma la volontà di “ripulire” il regno di Spagna “dall’eresia e dall’apostasia giudaica nella quale sono caduti molti e diversi cristiani per induzione e seduzione degli ebrei e delle ebree che abitano tra essi, a causa della loro partecipazione e conversazione”.
In breve, ogni elemento o fatto che possa in qualche modo favorire il germe del dubbio e/o la sovversione ideologico/politica è per la Chiesa fattore di destabilizzazione così come lo era per il nazionalsocialismo o per qualunque regime social-comunista o islamico integralista. Significativo a tal proposito è il caso di Galileo. Il grande scienziato non aveva fatto altro che comprovare, mediante calcoli, strumenti e scritti, la esattezza delle osservazioni di Copernico; ossia che la terra gira intorno al sole e non viceversa. Che cosa potrebbe esserci di sovversivo e pericoloso in una teoria scientifica al punto da meritare un processo? Ebbene, la pericolosità della teoria galileiana veniva dal fatto che essa scardinava alla base la teoria fisica di Aristotele, sulla quale è fondato tutto l’impianto teocratico della Chiesa. E perciò, mettere in dubbio una teoria fisica era lo stesso che mettere in dubbio una teologia.
Oggi evidentemente – nell’età della comunicazione – la Chiesa non può fare più quel tipo di campagne contro; ma deve sempre continuare a coltivare l’ambizione di essere ‘ecumenica’ e ‘cattolica’ pena la sua estinzione; in parole povere, essa deve sempre e dovunque tentare di occupare tutte le coscienze del mondo occidentale (e orientale, se possibile) e mantenere alto il bastone del comando politico, ideologico ed ‘etico’ come al tempo del Sacro Romano Impero e della battaglia di Lepanto.
Ma per far questo è costretta a tenere gli ebrei sotto controllo; per esempio, col prendere l’iniziativa di contrastare Israele (assumendo sotto la propria protezione un assassino patentato come Arafat), con lo stabilire alleanze tattiche con altri antisemiti e con altri regimi totalitari oppure, come nel caso del film di Gibson, rilanciando le solite vecchie campagne antisemite a base dei soliti stereotipi di sempre mediante i nuovi mezzi di comunicazione che la tecnica oggi offre. Il problema della Chiesa in merito all’ebraismo più che riguardare gli ebrei in quanto tali, concerne l’eventualità non tanto remota che essi possano intervenire nel dibattito religioso e possano favorire la libera interpretazione delle Scritture e il libero confronto delle idee col conseguente rischio della dissoluzione in mille rivoli dell’immenso impero ideologico instaurato in Età costantiniana. In breve, l’antisemitismo di ieri e di oggi è per la Chiesa un mezzo semplice ed economico per tenere gli ebrei occupati in una scomodissima posizione di difesa in modo tale che ad essi non venga in mente di aprire la discussione e il dibattito sul contenuto delle teorie etico-teologiche di una certa setta che rivendica ascendenti ebraici e che di ebraico ha meno di niente.
Perché il solo pericolo per tutte le credenze totalitarie (e quindi anche per la Chiesa) è la libertà e la sua forza di espansione prorompente. Contro la libertà di pensiero e di parola, la Chiesa di Roma ha aperto, dopo l’oscura stagione medievale, una guerra continua che essa sa di poter perdere. L’Umanesimo e il Rinascimento hanno favorito la fuoruscita di pezzi preziosi come la Gran Bretagna, l’Olanda e parte della Germania; ma la partita non è ancora conclusa. Non a caso, dietro l’irredentismo sanguinario nord-irlandese c’è la longa manus del Vaticano. E se nell’Occidente liberalizzato il gioco diventa arduo, restano pur sempre, per controbilanciare le perdite, vasti imperi da esplorare come i residuati dell’ex-impero sovietico e l’Africa. Perché la Chiesa non si esonera dal giocare una sola partita in nessuna parte del mondo.
Sarebbe perciò illusorio continuare a voler dare un significato di amicizia alla visita Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma e auspicarne addirittura una seconda; soprattutto alla luce di quanto accade oggi, si capisce chiaramente che egli si è recato dagli ebrei per ribadire il concetto dei ‘fratelli maggiori’ che devono cedere il passo ai minori; e perciò, dei fratelli devianti (l”apostasia ed eresia giudaica”) che devono cedere il passo al ‘Verus Israel’.
Per concludere, contrariamente alle opinioni più diffuse, sono convinta che il film ‘The Passion’ sia un fatto positivo perché porta alla luce in modo incruento una trama che rimaneva piuttosto sottotraccia, ma solo a condizione che, ripartendo dalle osservazioni di Jules Isaac, si apra finalmente il dibattito sull’antisemitismo della Chiesa e su tutto ciò che vi è connesso.