La comunità ebraica di Milano e la manifestazione pro-Israele
David Piazza
In molti si aspettavano, o speravano, che il consiglio straordinario della Comunità ebraica di Milano ieri sera, 18 novembre, avrebbe ribaltato il risultato della giunta di appena una settimana prima, quando si era deciso che la Comunità non avrebbe organizzato una manifestazione a sostegno di Israele, suggerita dall’associazione Adi (Amici d’Israele), in concomitanza con una analoga organizzata a Roma.
Pareva in effetti stridente il fatto che una giunta di “solidarietà” composta da tutte le liste elette, ognuna delle quali sulla base di programmi che, pur con accenti diversi, non ponevano in discussione il sostegno allo stato ebraico, potessero, proprio su questa scontata questione, tirarsi indietro.
Solo partecipando al consiglio di ieri sera abbiamo potuto capire meglio. Diremo subito che una spiccata personalizzazione della vicenda non ha giovato a nessuno. La passione del fondatore dell’Adi, Eyal Mizrahi, mal si sposa con l’immagine solida e compassata della Comunità che invece vuole trasmettere all’esterno Roberto Jarach, che non ha mancato di criticare pesantemente sia le modalità, sia i contenuti della manifestazione.
Le premesse non solo per un’adesione, ma anche per la paternità della manifestazione parevano esserci tutte: un “contenitore” dove tutte le anime di chi è preoccupato per gli eventi che colpiscono gli ebrei in Israele e nel mondo potevano riconoscersi. Un unico slogan semplice che potremmo riassumere: “Israele-Istanbul-Nassiriah: il terrorismo colpisce indiscriminatamente”. E poi ognuno avrebbe portato il suo contribuito: chi per la pace e le trattative, chi per la semplice solidarietà alle vittime, chi per il sostegno alla barriera difensiva.
Eppure in consiglio abbiamo sentito tante argomentazioni, tutte dignitose, che esprimevano parere contrario alla piena adesione: “C’è troppa sovraesposizione mediatica”; “Abbiamo delle responsabilità di sicurezza”; “Israele non ha bisogno del nostro sostegno in questo modo”: “Non è il momento giusto”; “Se la comunità partecipa deve controllare tutti i contenuti”.
Altri consiglieri (la minoranza) esprimevano invece pareri favorevoli: “Non possiamo andare al traino dei giornalisti pro-Israele, dobbiamo esprimere opinioni”; “Abbiamo il dovere di rappresentare gli umori della Comunità”; “Se noi non siamo per noi, chi sarà per noi?”; “Dobbiamo saper trascinare la cittadinanza verso le nostre posizioni”.
Le divisioni politiche c’erano tutte, con molti distinguo e sfumature: grossomodo la lista Hai su posizioni di rifiuto, la lista Per Israele sul consenso prudente e la lista del presidente divisa equamente tra pro e contro. E siccome solo la matematica conta, alla fine però rimanevano solo tre consiglieri a votare la piena adesione proposta fieramente dal portavoce Yasha Reibman. Proposta bocciata.
Passava allora a larga maggioranza la proposta “di compromesso” del vice-presidente Gionata Tedeschi: partecipazione (come un qualsiasi altro ente ebraico) alla manifestazione con (eventuale) discorso del presidente. Insomma un ribaltino.
Curiosa nota di colore: i rappresentanti delle altre due storiche organizzazioni “sionistiche” milanesi (la Federazione sionista e l’Associazione Italia-Israele) invitavano il consiglio a votare contro qualsiasi tipo adesione. Un forte messaggio intimidatorio al giovane concorrente Adi: senza noi non si organizza niente.
19 novembre 2003