Shelomo Itzchak Siegelman z.l.
Un’ipotetico studioso che si accingesse a realizzare uno studio sul Creatore e il suo ambiente, basandosi sulla lettura della creazione dal libro di Bereshit e del relativo commento di Rashi, a una prima superficiale lettura raggiungerebbe la preliminare conclusione che il Creatore è dotato di una personalità insicura e titubante.
Il primo verso recita:
“All’inizio creò il Signore il cielo e la terra (Bereshit 1,1)”
Commenta Rashi: All’inizio era sua intenzione di crearlo (il mondo) con la giustizia. (simboleggiata dalla definizione “Signore” resosi quindi conto che il mondo non poteva mantenersi anticipò la “misericordia” (simboleggiata da Hashem-Signore) e la associò alla “giustizia”.
E il Signore vide che la luce era buona e la separò ( Berehsit 1,4).
L’ annotazione di Rashi è: Anche in questo noi necessitiamo delle parole dell’Aggadà: vide che non era giusto che i malvagi ne facessero uso, perciò la separò per i Giusti nel mondo a venire.
Nei versetti 11 e 12 che descrivono la creazione del mondo vegetale:
E il Signore parlò: germogli la terra vegetazione,erbe seminante seme, (alberi) il cui legno è frutto, … e la terra fece emergere vegetazione … e (alberi) di legno che formano un frutto contenente un seme per la sua specie.
Nota Rashi che la differenza tra il termine usato nell’ordine “di fare un albero che è frutto” ed il termine usato nell’esecuzione “alberi di legno che formano un frutto” e spiega che l’ordine era di creare, ma che la terra trasgredì e fece emergere un albero di legno che non era del gusto del frutto.
Un’altra discrepanza tra il progetto e l’esecuzione.
Nel quarto giorno della creazione leggiamo:
E il Signore fece i due grandi luminari, il grande luminare per dominare il giorno ed il piccolo luminare per dominare la notte (Bereshit 1,16).
Di nuovo l’intenzione originale di due luminari uguali, viene sovvertita da delle richieste di una delle due come riportato da Rashi.
E il piano iniziale cosa prevedeva? La presenza di donne o no?
E disse il Signore Iddio:non è bene che l’uomo sia solo (Bereshit 2,18)
Le Scritture sembrano veramente descrivere un Creatore indeciso e contrastato dalle sue creature, è questa la corretta lettura del testo?
La chiave per comprendere veramente la narrazione biblica della creazione la si può trovare in una discussione descritta nel Talmud avvenuta nel secondo secolo della nostra era tra Tinneius Rufus, il tiranno romano, e Rabbi Akivà. Il tiranno chiese tre domande che si ritrovano in varie parti del Talmud. Esse tutte esprimono un’idea: la differenza di base nell’approccio verso l’uomo e il mondo tra i pagani e l’ebreo.
Il tiranno chiese: “Se Iddio desiderava che l’uomo fosse circonciso perché non lo creò così?[1] ” A ciò il Rabbino rispose che il motivo per il quale Iddio aveva creato l’uomo con un’imperfezione simbolica era affinché egli si coalizzasse con l’Onnipotente nel perfezionarsi . In questo modo l’uomo diventa un partner con Iddio nella creazione.
Il tiranno continuò: “Se Iddio ama i poveri, perché non gli sostenta?”[2]. A ciò il Rabbino rispose che l’obiettivo divino era il suo desiderio di associarci nel perfezionamento della società e diventando in tal modo un partner di Iddio nella creazione. Il tiranno continuò:”Quali sono migliori, le opere di Iddio o le opere dell’uomo?”. Il Rabbino rispose: “Le opere dell’uomo”. “Osserva le stelle nel cielo!” esclamò il tiranno. Il Rabbino rispose:”Guarda il grano, questo è un lavoro divino. Guarda il pane, questo è il lavoro di un uomo”. Vera perfezione si ottiene soltanto quando l’uomo associa i suoi sforzi con le opere divine diventando in tal modo un partner con Iddio nella creazione.[3]
[4] La morale che si ricava da questi racconti è che per il tiranno lo status quo è la perfezione: esiste la malattia, e la morte; esistono schiavi e padroni; e non si devono modificare. Tutto ciò che è naturale è il bene; l’elaborato, e il manipolato sono invece da evitare. Dall’altro lato, per il Rabbino il naturale è solo la metà della creazione. L’altra metà e la manipolazione dell’uomo degli elementi naturali. La perfezione della creazione si ritrova nella associazione tra il divino – naturale e l’azione umana. Iddio richiama l’uomo ad unirsi a Lui e completare la Sua opera nel guarire i malati e nel sviluppare il proprio potenziale, nel curare la società, nello sviluppare le risorse naturali, tutto a condizione che l’uomo vigili sul mondo, lo curi, lo badi, lo preservi, in quanto l’uomo è un socio di Iddio nella sua creazione, e non nella sua distruzione.
Questi resoconti di fatti così particolareggiati anche nelle scambio di argomentazioni come quelli appena citati tra Rabbi Akiba con Tinneius Rufus sono frequenti nel Talmud. Essi sono i veicoli usati per trasmettere ai discepoli dei valori, il più delle volte valori etici.[5] Anche questi racconti servono ad evidenziare la fondamentale differenza della “filosofia” della vita, tra la cultura pagana e quella ebraica. La prima favorisce una situazione statica la seconda una dinamica, in quanto l’obiettivo del pagano è lo status quo, mentre per l’ebreo l’obiettivo è una presenza nella partnership creativa tra Iddio e l’uomo e dove quest’ultimo lavora per completare la Creazione.
Un altro insegnamento che possiamo imparare da questi racconti è che nella visione ebraica l’uomo deve operare costantemente per adempiere alla sua missione terrena di elevarsi spiritualmente e di conseguenza avviare tutto il mondo a quote spirituali sempre più elevati. È ovvio che la qualità e l’intensità dell’impegno profuso influenzerà la partecipazione dell’individuo nella partnership con Iddio
I Rabbini hanno acquisito questa visione dallo studio della Torah
E benedì il Signore (il mondo)… che aveva creato il Signore per continuare a lavorare. (Bereshit 2,3)
Lo scopo della Creazione divina è di far continuare all’uomo il lavoro della Creazione per associarlo ad Iddio.[6]
E il Signore prese l’uomo e lo posò nei giardini di Eden per lavorarla e custodirla. (Bereshit 2,15)
Anche questo versetto indica un obbligo dell’uomo ad usare le risorse disponibili, sviluppare la terra fino anche a trasformarla; ma nel contempo indica anche l’obbligo di proteggerla, e di evitare qualsiasi danno ad essa[7].
Man mano che la comprensione del nostro ruolo nel mondo si approfondisce e ci si rende conto del nostro ruolo dinamico nella creazione, diventa evidente la inadeguatezza di un mondo con ruoli statici e la necessità di posizioni dotate di potenziale di sviluppo. Quello che ad una visione superficiale sembra incertezza, titubanza, dubbi o ondeggiamenti non è altro che la creazione di un mondo perfettibile; un mondo dove ognuno ha la sua area di sviluppo spirituale, il suo potenziale di sviluppo; dove il punto d’arrivo è determinato dalla quantità e qualità dello sforzo del singolo. Il racconto biblico, usando un linguaggio metaforico, descrive l’ampiezza e l’articolazione dello spazio che Iddio ha lasciato all’uomo per il suo sviluppo nella Creazione ed è quindi a nostra disposizione. L’espressione ripresa da Rashi dai vari midrashìm “era sua intenzione” intende l’obiettivo finale. La middàt hadìn è la giustizia in tutto il suo rigore senza concessioni e senza attenuanti ed è quella che alla fine trionferà, ma all’inizio c’è bisogno del rachamìm (misericordia): pentimento, l’aiuto divino, e la riduzione dell’area del libero arbitrio (nel simbolismo rappresentata dalla rimozione delle luci dei sette giorni della creazione).
Il sole e la luna rappresentano gli strumenti a nostra disposizione nel nostro lavoro: la passione ed il raziocinio. Gli alberi il cui legno possiede o meno un gusto come il frutto, rappresentano la possibilità di peccare.
Nota: Questo documento è stato ricevuto incompleto prima della scomparsa di Shelomo Itzchak Siegelman z”l. È stato successivamente redatto da David Piazza. Ci scusiamo quindi per eventuali inesattezze che non vanno certamente attribuite all’autore.
[1] Midrash Tanhuma Levitico, Tazria 5
[2] Talmud, Baba Batra, 10 a
[3] Midrash, Tanhuma
[4] Nisson E. Shulman, Jewish Answers to Medical Ethics Questions
[5] come sopra
[6] Michtav Meeliahu vol. 2,3