Il Pirqè Avot descrive 48 predisposizioni che conducono all’acquisizione della Torah. Alcuni di questi comportamenti sono indirizzati a limitare dei bisogni fisici. Quando leggiamo quel brano ci stupiamo nel sentire che uno strumento per acquisire la Torah è la diminuzione del sonno, “mi’ut shinnah”. Infatti siamo portati a pensare che il poco sonno diminuisca l’attenzione, indispensabile per riuscire a interagire con la complessità della Torah. Dormire a sufficienza accresce le capacità mnemoniche. Se è così allora, perché i chakhamim considerano tanto cruciale lo studio notturno, che rischia di compromettere quello del giorno.
Tradizionalmente il primo a dedicarsi sistematicamente allo studio notturno è stato Ya’aqov, che all’inizio della parasha di Wayetzè, uscito da Beer Sheva si addormentò, facendo il sogno della scala. Secondo Rashì ( Bereshit 28,11) quel sonno veniva dopo 14 anni di veglia notturna per dedicarsi allo studio della Torah nella Yeshivah di Ever. LA ghemarà in Sukkah considera nullo il voto di non dormire per tre giorni, perché fisicamente impossibile. Di certo Ya’aqov occasionalmente si sarà addormentato per recuperare le forze, ma non si è mai coricato. Ai suoi occhi giorno o notte non faceva differenza, tutto il suo tempo era asservito al suo desiderio di progredire nello studio della Torah. Nel libro di Giosuè (1,8) troviamo l’imperativo di riflettere alle parole della Torah giorno e notte. I recenti progressi nella tecnologia e nel mondo della comunicazione hanno pressoché equiparato il giorno e la notte nella produttività.
Tradizionalmente tuttavia la notte ha sempre posto delle barriere all’efficienza. La centralità dello studio della Torah ci impone di confrontarci e superare questi limiti. Anzi, il Rambam nelle Hilkhot talmud Torah (1,8; 3,12) scrive che sebbene lo studio sia obbligatorio di giorno e di notte, quello fondamentale è quello notturno, e dello stesso avviso è lo Shulchan Arukh (Orach Chayyim 238,1). Chi vuole ottenere la corona della Torah non deve perdere le proprie notti dedicandole ai bisogni corporali, ma occuparsi del canto della Torah. Commentando il trattato di Berakhot (‘En Ayah a Berakhot 3b) Rav Kook mostra quale sia la grandezza dello studio notturno: la ghemarà paragona il sonno del re David all’inizio della notte a quello di un cavallo e quello alla fine della notte a quello di un leone. Rav Kook spiega che la peculiarità del cavallo è quella di essere sfruttato dall’uomo per mettersi al servizio di un proposito superiore, sia nel lavoro che nella guerra. La forza del leone è invece al suo interno. Il suo coraggio ed il suo vigore non sono asserviti all’uomo. La forza del re David si sviluppa in due diverse direzioni: da una parte è al servizio del popolo – en melekh belò ‘am, non c’è re senza popolo – ma dall’altra, quando la notte diviene più scura emerge un altro aspetto, quello di erigere un mondo di studio della Torah, modificando l’orizzonte della nostra spiritualità. Questa forza vince la stanchezza dovuta al sonno.
Questo svela una nuova dimensione, non più quella degli studi curricolari, che mirano a migliorare e ottimizzare gli strumenti affinché lo studio sia più proficuo, ma quella del canto della Torah, il canto che emerge dal cuore e dall’anima di ciascuno di noi. A fianco della necessità indispensabile di accrescere la nostra conoscenza della Torah c’è lo sforzo di scoprire la passione e la musica della Torah. E’ quello che facciamo durante la notte di Shavu’ot quando lo studio mostra il nostro amore per la Torah, anticipando la rinnovata esperienza della rivelazione, mettendo a repentaglio la nostra capacità di concentrarci a dovere nella tefillah e nello studio nel resto della festa. In massekhet Shabbat (88a) è scritto che quando i figli d’Israele dissero “faremo e ascolteremo” vennero degli angeli e misero delle corone sui loro capi. Per acquisire un amore duraturo per lo studio è necessario sacrificare a volte l’aspetto normativo, e coltivare l’amore e l’orgoglio per la musicalità della nostra tradizione.