Il Talmud (Berakhot 31a) racconta che Mar figlio di Ravinà, vedendo al matrimonio di suo figlio i Maestri particolarmente allegri afferrò un calice di “cristallo bianco” (Rashì) e lo frantumò. Essi si rattristarono. In quell’occasione i Maestri domandarono a Rav Hamnuna di cantare ed egli intonò: “Ahinoi che moriamo, ahinoi che moriamo”. Gli domandarono allora: “Come dobbiamo risponderti?” ed egli disse loro: “Che la Torah e la Mitzwah ci proteggano!” Da qui deriva l’uso di rompere il calice durante il matrimonio (Tossafot ad loc.).
Il passo talmudico si presta a una duplice interpretazione. Secondo una linea interpretativa (Kol Bo) si rompe il calice per ricordare la distruzione del Tempio e non dimenticare le sciagure nazionali neppure in un momento di massima gioia individuale, come il matrimonio. Il testo non lo dice esplicitamente, ma lo fa capire attraverso il particolare del “cristallo bianco”. Il “cristallo bianco” figura infatti in un altro passo talmudico (Sotah 48b) fra i materiali preziosi venuti meno dopo la distruzione del Primo Tempio. Le Tossafot (a Shabbat 20b s.v. anan) puntualizzano peraltro che non era venuto meno del tutto, altrimenti non si spiegherebbe il nostro racconto. E’ questo un primo segnale di speranza.
La seconda linea interpretativa è più generale. Come continua il racconto talmudico, al matrimonio si vuole ricordare il giorno della morte. Recanati commenta che non c’è occasione serena che non sia seguita da una punizione. Maharshà afferma che il calice, essendo fatto di coccio la cui rottura è definitiva, simboleggia l’uomo: nato da terra è destinato alla sua morte a ritornare terra. Rallegrare gli sposi è una forma di Ghemillut Chassadim. La domanda che si pongono i Maestri del Mussar è che Ghemillut Chessed ci può essere nel rammentare loro la morte? Lo scopo di Mar era di temperare la gioia per riportare tutti a una Simchah shel Mitzwah. Solo se si gioisce tenendo presente l’idea di morire è una Simchah shel Mitzwah, perché solo chi sa di avere la coscienza a posto non teme la morte. Ciò è possibile solo a chi sa di aver compiuto il proprio dovere nella Torah e nelle Mitzwòt. R. Yossef Chayim di Baghdad (Ben Yehoyadà’) dice a sua volta che il calice simboleggia lo Yetzer ha-Ra’ (Istinto del Male) che pone un inciampo all’uomo proprio nei momenti di maggiore allegria. Per quanto “sbiancato” e purificato, l’Istinto del Male non conosce altra sistemazione definitiva che la rottura.
Sul piano pratico vi è discussione se sia preferibile rompere un calice di coccio o di vetro. R. Yossef Chayim (Ben Ish Chay, anno I, P. Shofetim, 11) scrive che l’uso di Baghdad è che lo sposo rompe un recipiente di coccio e non di cristallo per ragioni di prezzo. Ma R. Chayim Palagi di Smirne (Bet Mo’ed le-khol Chay, 10,96) scrive invece che occorre proprio un cristallo prezioso: non solo per dare dignità al ricordo del Bet ha-Miqdash distrutto, ma anche per il fatto che il vetro una volta rotto, a differenza del coccio, può essere recuperato. La fonte è un passo del Talmud (Shabbat 15b) in cui si parla delle regole della kashrut e della purità: il vetro, come il metallo ma a differenza del coccio, può essere ri-kasherizzato. La vita matrimoniale non è un idillio. Possono capitare incomprensioni. Ci si augura che anche le liti possano essere passeggere e recuperabili come il popolo d’Israele dinanzi al S.B.
Si discute anche se sia preferibile rompere il calice sul quale si sono recitate le Berakhot degli Erussin (o Qiddushin, prima parte del matrimonio) o quello dei Nissuin (Sheva’ Berakhot, seconda parte). Le fonti scrivono che solo finché le due cerimonie erano celebrate separatamente si usavano rompere entrambi i calici. Ma dal momento che tutto si svolge in un’unica “seduta” è sufficiente romperne uno solo. In tal caso si propende (a partire dal Remà a Even ha-‘Ezer 65,3) senz’altro per il calice degli Erussin. La ragione per non rompere il calice dei Nissuin è che questo viene a conclusione di tutto e romperlo non sarebbe di buon auspicio (Maharam da Padova).
Un’interpretazione affascinante riporta R. Daniel Terni di Firenze (Iqqarè ha-Dat, O. Ch. 27,16). La Torah è stata data da H. a Israele come una sposa (Rashì a Shemot 31,18) e le Tavole sono una sorta di Ketubbah del matrimonio fra D. e Israele. Allorché (D. non voglia) si divorzia, si lacera la Ketubbah. La cerimonia nuziale riattualizzerebbe non solo la caduta dei due Battè Miqdash (9 Av), cui farà seguito la ricostruzione del terzo in via definitiva, ma anche la rottura delle Tavole a seguito del peccato del Vitello d’Oro (17 Tammuz). Il calice degli Erussin che viene rotto simboleggia le prime Tavole, cui fecero però seguito le seconde. Segno che, per quanto grave, lo screzio con il S.B. non fu irrecuperabile. Ci si augura che anche fra i coniugi ogni incomprensione che dovesse sorgere possa essere felicemente superata.
Una delle motivazioni che spinge Rivqah a mandare Ya’aqov a trovar moglie a casa di suo fratello Lavan è il rischio che possa fare la fine di Esaù che sposò donne cananee (Bereshit 27,46). Il Ba’al ha-Turim nota che nel versetto una qof (valore numerico: 100) è scritta più piccola delle altre lettere e spiega questo fatto come un’allusione alla distruzione del Bet ha-Miqdash che era alto 100 cubiti! Che cosa c’entra il matrimonio con la distruzione del Bet ha-Miqdash? Risponde Maharitz Duschensky che se i coniugi osservano la Torah e le Mitzwòt e vanno d’accordo fra loro si stabilisce fra loro la Presenza della Shekhinah esattamente come nel Bet ha-Miqdash: “ogni casa (nel senso di famiglia) può diventare come il Bet ha-Miqdash nella misura in cui vi regni la pace”. Se invece tutto ciò non avviene è come se marito e moglie distruggessero il Bet ha-Miqdash. E’ ciò cui alludeva Rivqah pensando all’eventualità che Ya’aqov potesse compiere un matrimonio non adeguato.
Esiste una relazione stretta fra la Torah e il Bet ha-Miqdash. L’ultima Mishnah del trattato Ta’anit (Sui digiuni) richiama la festività di Tu be-Av (15 Av) in cui le ragazze di Yerushalayim danzavano nelle vigne in abiti bianchi alla ricerca del marito. Uno dei versi d’appoggio per questa antica usanza è tratto da Shir ha-Shirim (3,11): “Venite a vedere, figlie di Tziyon, il re Shelomoh con la corona di cui lo ha agghindato sua madre nel giorno del suo matrimonio e nel giorno della gioia del suo cuore”. Commenta la Mishnah che si tratta di un’allegoria del popolo ebraico: “nel giorno del suo matrimonio” si riferisce al Dono della Torah e “nel giorno della gioia del suo cuore” si riferisce alla ricostruzione del Bet ha-Miqdash che possa avvenire presto ai nostri giorni. Non ci può essere comprensione piena della Torah in assenza del Bet ha-Miqdash. Al termine della Tefillah noi preghiamo che D. voglia ricostruire il Bet ha-Miqdash al più presto in modo che abbiamo parte nella Sua Torah.