Secondo il Salmista (104,15) il pane ristora il cuore dell’uomo. Da dove deriva questa particolarità? Solamente dai suoi principi nutritivi o vi è dell’altro? La Torah (Devarim 8,3) getta maggiore luce sula questione: “Egli ti umiliò, ti fece provare la fame, e ti dette da mangiare la manna che non conoscevi e che non avevano conosciuto i tuoi padri, per farti sapere che l’uomo non vive di solo pane, ma che eglli può vivere di tutto ciò che esce dalla volontà del Signore”. La Torah intende dire che oltre al pane fisico ve n’è un altro, chiamato motzà pì H. – ciò che esce dalla volontà del SIgnore. Non si tratta di un entità divisa dal pane, ma della sua natura spirituale. In maniera analoga la Torah ci mette in guardia dal credere che il frutto dei nostri sforzi sia effetto delle nostre capacità, e nuovamente non è così.
Il pane è in involucro che ricopre la parola divina. Tutti voi conoscete il processo della fotosintesi; la clorofilla ha la capacità unica di raccogliere l’energia proveniente dai raggi solari ed utilizzarla per trasformare le molecole della pianta. Quando mangiamo in qualche modo attingiamo dall’energia solare. Questa energia discende dalla luce divina, che inizialmente si trova allo stato puro. Si tratta della luce con la quale entrò in contatto Mosheh rabbenu quando salì sul monte quaranta giorni e quaranta notti, e quella luce lo sostentò, irradiandosi sul suo volto anche dopo la sua discesa dal monte. La ghemarà in massekhet berakhot (17b), parlando del mondo futuro dice che in esso non si mangerà e non si berrà, ma gli “tzadiqim siederanno, con le loro corone in testa, e godranno dello splendore divino”.
Questa luce allo stato primitivo sarà anche lì. Il secondo stadio è quello della manna, il pane celeste che sostentò il popolo ebraico nel deserto. La luce entrando in contato con la rugiada dà luogo a queste minuscole masse trasparenti, dolce come il miele, che ricoprono la terra. Le caratteristiche della manna sono ben note: non si manteneva da un giorno all’altro; chi la mangiava percepiva il sapore che desiderava; il cibo veniva completamente, senza lasciare alcuno scarto; non era possibile accumulare una dose di manna di entità superiore a quella assegnata, un ‘omer a testa, poco più di un chilo e mezzo al giorno; di Shabbat non si trovava manna, ma il venerdì ne cadeva una doppia porzione. Molte sono le analogie fra la manna e il latte materno: anzitutto l’essere prodotto ogni giorno, oltre al poter assumere differenti sapori in base all’alimentazione della madre. Il terzo stadio è quello del pane, nel quale la luce solare contribuisce alla crescita del grano. Mangiando pane l’uomo riceve in qualche modo la luce solare e la luce divina. I chakhamim hanno stabilito ogni volta che mangiamo pane di recitare la birkat ha-mazon. Nella sua struttura individuiamo i tre elementi ricordati. Secondo i chakhamim nel verso da cui si impara questa mitzwah (Devarim 8, 10), “Mangerai e ti sazierai e benedirai il Signore tuo D. per la buona terra che ti ha dato” si ricavano le tre benedizioni che la compongono. La prima benedizione (ha-zan) ha come tema quello del sostentamento, basato principalmente sul pane. Il Signore ha creato gli esseri viventi ed ha l’impegno morale di sostentarli, senza per questo richiedere in cambio alcunché a livello spirituale.
Qualsiasi creatura ha il diritto i richiedere il minimo indispensabile per sopravvivere. Un cibo più elaborato richiederebbe una ricompensa di qualche genere, e questo è il tema della seconda benedizione, che ha come tema il cibo della terra di Israele. Questo cibo non è frutto di una acquisizione automatica, ma va conquistato, in particolare per mezzo della milah, dello studio della Torah e della conseguente pratica delle mitzwot. Prima di entrare nella terra Yehoshua circoncide i figli di Israele; come è risaputo inoltre la terra di Israele rigetta, letteralmente vomita, coloro che non rispettano i comandamenti divini. La menzione di questi due elementi, la milah e la Torah, è imprescindibile perché si esca d’obbligo dalla birkat ha-mazon (Berakhot 49a). Nel momento in cui il popolo entra nella terra, la manna smette di scendere; sotto un certo punto di vista è ovvio, perché ora il popolo ebraico ha di che sostentarsi, ma è possibile anche dire che il cibo di Israele ha caratteristiche paragonabili alla manna, e richiede un impegno morale; non è più il minimo sindacale che il Signore è tenuto a corrispondere.
La terza benedizione è dedicata invece a Yerushalaim, che è il passaggio successivo, che richiede che in Israele vi siano la profezia ed il regno davidico. Per crescere è indispensabile avere indipendenza economica e politica. In questa benedizione chiediamo ad H. di non dipendere da alcun essere umano. Il pane del bet ha-miqdash aveva delle caratteristiche uniche. Una minima quantità di questo pane aveva il potere di saziare chi lo mangiava, e, pur venendo cambiato di settimana in settimana, rimaneva sempre fresco. Il pane che mangiamo ci dà quindi sostentamento a livello materiale, ma porta dei benefici anche a livello spirituale, perché al suo interno presenta degli elementi che derivano dalla luce divina.