Il senatore dell’Illinois è stato in Florida, dove il voto dell’elettorato ebraico in questo Stato rappresenta il 5% numericamente, nella sinagoga B’nai Torah di Boca Raton dove ha promesso un “impegno incrollabile” a favore di Israele se verrà eletto presidente
Boca Raton, 23 maggio 2008 – E’ andato in Florida proprio per conquistarsi il voto dell’elettorato ebraico, che in questo Stato rappresenta il 5% numericamente, al di là dell’influenza: e ieri il senatore dell’Illinois Barack Obama, che spera di essere candidato in pectore democratico alla Casa Bianca, nella sinagoga B’nai Torah di Boca Raton ha promesso un “impegno incrollabile” a favore di Israele se verrà eletto presidente. D’altronde lo stesso Obama ieri ha dichiarato che i colloqui in corso fra lo Stato ebraico e la Siria sono “una buona cosa”.
E’ un’opinione in chiara controtendenza con l’amministrazione Bush e con la maggioranza della popolazione israeliana (che non vuole abbandonare le alture del Golan). Ma il senatore dell’Illinois ha detto che la politica di George W. Bush nei confronti di Siria e Iran ha solo aumentato le tensioni.
In sinagoga, Obama si è dedicato a sfatare i miti che lo dicono musulmano (invece che cristiano metodista) e vicino al leader degli afro americani musulmani della Nation of Islam, Louis Farrakhan, molto controverso per i suoi commenti antisemiti.
Ha passato quasi due ore in sinagoga con democratici e repubblicani della congregazione. “Non vi è nulla in me che non appartenga a un amico di Israele e del popolo ebraico” ha insistito. “Giudicatemi da quello che ho detto e ho fatto. Non giudicatemi perché sono afro-americano. Non giudicatemi perché ho un buffo nome”.
Barack Obama era il nome di suo padre, keniano, peraltro visto una volta sola (a lui è dedicato il primo volume dell’autobiografia del candidato, ‘Dreams of my Father’). Ma Barack, come il senatore ha sottolineato ieri, è la stessa cosa dell’ebraico “Baruch”: benedetto.
Secondo il New York Times di ieri diversi ebrei democratici della Florida meditano di votare McCain perché non si fidano del senatore dell’Illinois. Obama, che sarebbe il primo presidente afroamericano degli Stati Uniti, ha affrontato direttamente la questione della razza e dei rapporti storicamente poco calorosi fra la comunità ebraica e quella afroamericana: “voglio essere uno dei tramiti per ricostruire quei legami”.
La congregazione di B’Nai Torah gli ha rivolto numerose domande sulle sue strategie politiche e sulla sua vita personale, riporta oggi un articolo del quotidiano israeliano Haaretz. Alla domanda di citare i suoi amici più vicini che sono ebrei e filo israeliani, Obama ha osservato: “Guardi, esito a elencarli”, perché, ha detto, avere amici di una minoranza non significa non avere pregiudizi. Ma poi ha lo stesso fatto tre nomi.
E la congregazione ha voluto sapere anche della sua dichiarata disponibilità a incontrare il presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad (Obama ha recentemente affermato anche che l’Iran non rappresenta una minaccia come lo era l’Unione Sovietica per gli Usa). Il senatore ha criticato Ahmadinejad, ma ha detto che la diplomazia diretta servirebbe meglio gli interessi americani e israeliani rispetto all’attuale mancanza di impegno. Non tutti sono d’accordo. “Certo che voterei per un nero. Ma penso che il nostro comandante in capo non dovrebbe parlare con uno che chiede la distruzione di Israele” ha detto Stephan Lippy, 51 anni.
I democratici in sinagoga erano piuttosto soddisfatti. “Mi ha convinto” ha detto Aaron Levitt, 32 anni. Molti hanno detto che la razza non è un problema, ma non ne è sicura Barbara Schneider, 55. anni. “Dicono che non importa, ma la questione è lì”, commenta.
In ogni caso la presenza di Obama in Florida dimostra che il democratico – anche se la stagione delle primarie contro Hillary Clinton non è finita – si è lanciato nella campagna vera e propria contro il candidato repubblicano, il senatore dell’Arizona John McCain. La Florida – come si vide nella drammatica elezione del 2000 fra George W. Bush e Al Gore – è uno Stato decisivo, senza cui non si arriva alla Casa Bianca, e uno “swing state”, uno di quelli che di presidenziale in presidenziale possono virare fra voto repubblicano e democratico.
Il sistema americano – residuo di un meccanismo settecentesco che però nessuno vedo motivo di cambiare – prevede che ogni Stato dell’Unione alle presidenziali di novembre conti per un certo numero di Grandi Elettori (tecnicamente saranno loro, in dicembre, a eleggere il presidente), e in ogni Stato il candidato che vince la maggioranza dei voti se li aggiudica tutti. Quindi sono particolarmente importanti gli “swing States” e gli Stati popolosi che hanno molti Grandi Elettori. Come la California che ne conta 54 e la Florida, che ne conta 47. Per essere eletti alla Casa Bianca servono almeno 270 Grandi Elettori.
http://qn.quotidiano.net/esteri/2008/05/23/91088-obama_sinagoga_voto_ebraico.shtml