UNA PRIMA ANALISI
Per quattro secoli, dall’inizio del Cinquecento e fino a tutto l’Ottocento si sviluppò nell’ambito della società ebraica italiana il particolare fenomeno dell’associazionismo ebraico. Questo fenomeno, per certi versi simile a quello parallelo sviluppatosi fin dal Medioevo nell’ambito della società cristiana circostante, ma per altri aspetti assai diverso, comprendeva la creazione di alcuni tipi di organizzazioni, confraternite come accademie, fondate sia per scopo filantropico che a scopo culturale ed educativo[1]. Tutte queste istituzioni venivano chiamate indistintamente in ebraico chevrà, e al plurale chavarot, ossia società o associazioni, ed in italiano compagnie[2], ed i loro scopi spesso si confondevano: organizzazioni create per pregare assieme, poi potevano allestire rappresentazioni teatrali, così come associazioni filantropiche erette per aiutare i bisognosi potevano in seguito sponsorizzare pubblicazioni di libri[3]. Infatti, contrariamente a quanto avveniva nella società cristiana, molto probabilmente, non vi erano grosse distinzioni fra i diversi tipi di chevrà, ovvero fra l’accademia e la confraternita. Il contesto in cui queste organizzazioni si formarono all’interno dei ghetti italiani, fu certamente molto diverso da quello che portò invece alla fondazione di organizzazioni simili nell’ambito della società cristiana, ed è pertanto necessario rimanere sensibili alle differenze sociali e culturali, nonostante le reciproche influenze che pur sempre persistevano.
Difatti le cause che portarono alla diffusione del fenomeno dell’associazionismo ebraico furono sicuramente molteplici e complesse. Se da una parte infatti vi fu indubbiamente un’influenza culturale della società italiana circostante[4], dall’altra intervenirono ulteriori cause del tutto peculiari all’ambiente ebraico, che vanno per l’appunto messe in evidenza. In primo luogo, ebbe un ruolo preponderante quell’insolito fenomeno urbanistico sviluppatosi nelle regioni centrosettentrionali della penisola, iniziato attorno al XIII secolo e che raggiunse il suo apice, all’interno del contesto ebraico, proprio durante il Cinquecento. La conseguenza di questo processo risultò essere la creazione prima e la solidificazione poi delle strutture istituzionali ebraiche, ma anche la fondazione di nuove istituzioni pubbliche, l’iniziativa di compilare statuti e registri, la creazione della carica di rabbino comunitario, e quindi all’interno di questo scenario, rientrerebbe anche lo sviluppo delle compagnie di vario genere[5]. Contemporaneamente sopravvenne la concentrazione degli ebrei nei ghetti, che accentuò la necessità di costituire una vita sociale all’interno delle sue mura, anche perché le accademie e le confraternite cristiane non ammettevano ebrei, che quindi erano costretti a fondare istituzioni particolari[6].
Inoltre l’urbanizzazione ebraica e la concentrazione in quartieri particolari e segregati, fece emergere ulteriori necessità sociali, quali l’assistenza ai bisognosi ed il sostegno economico alle ragazze in procinto di maritarsi, mansioni che non rientravano assolutamente nell’ambito delle funzioni spettanti le autorità ebraiche costituite, e che vennero pertanto relegate a confraternite particolari[7].
Perdipiù, uno dei problemi con cui proprio la popolazione ebraica doveva confrontarsi, dopo che i cancelli del ghetto venivano chiusi durante le ore notturne, era proprio l’utilizzo del tempo libero, e la risposta suggerita sarebbe stata attraverso la partecipazione alle svariate attività delle associazioni e delle accademie. In questo senso, sarebbe possibile riprendere la tesi di Elliott Horowitz, secondo la quale la partecipazione del pubblico alle attività di queste organizzazioni, che in alcune comprendevano la recitazione durante le ore notturne dei manuali mistici, i cosiddetti “Tikkunim”, sarebbe stato per le autorità comunitarie un mezzo di controllo sociale e moralesui comportamenti della gente, indirizzandola verso questo tipo di organizzazioni, e quindi verso la sinagoga dove solitamente si riunivano, piuttosto che verso l’unica altra alternativa esistente: l’osteria con connesso il gioco d’azzardo[8].
Infine, va presa in considerazione anche la diffusione in Italia della dottrina mistica della Kabbalà luriana, che proveniva dalla città di Zefat in Israele, e che introdusse in Italia l’usanza di recitare in pubblico formulari mistici, fenomeno questo collegato a doppio filo alla creazione di accademie mistiche, che divennero di conseguenza i principali promotori della pubblicazione di questi formulari di preghiere [9].
Per tutta questa serie di motivi, sembra più appropriato parlare di un complesso movimento associazionistico, messo in moto non soltanto dalle influenze culturali esterne alla compagine ebraica, ma anzi spinto piuttosto da molteplici esigenze interne.
In questo contesto ebraico italiano, che riguarda esclusivamente le regioni centro-settentrionali della penisola, non sembra che simili associazioni o confraternite siano state fondate prima del 1515, anno di erezione della prima Confraternita di carità di cui siamo a conoscenza, quella di Ferrara[10], anche perchè, prima del 500 non vi erano nella penisola settentrionale comunità ebraiche costituite[11]. Anzi, questo fenomeno, si sviluppa soprattutto negli anni successivi raggiungendo il culmine della diffusione tra il 600 e il 700, esattamente il periodo di reclusione degli ebrei all’interno dei ghetti. Ecco infatti che proprio all’interno dei ghetti veniva eretta una quantità incredibile di circoli, accademie, compagnie, società, e confraternite, da cui si evince chiaramente come la maggior parte della vita sociale e culturale ebraica si svolgesse proprio nell’ambito di queste istituzioni, tanto da poter affermare che questi circoli fossero l’ente sociale e culturale più importante del periodo[12]. Infatti, attraverso queste organizzazioni si crearono delle vere e proprie reti sociali di contatti e scambi culturali[13], che svolsero quindi un ruolo importante anche come mezzo di diffusione del sapere e della conoscienza dell’epoca, fra cui appunto la Kabbalà, la mistica ebraica sviluppatasi in quel periodo[14].
Di conseguenza, va evidenziata questa differenza cronologica fra le istituzioni attive nella società cristiana e fra quelle invece erette all’interno delle comunità. Vale a dire, che mentre le confraternite, come anche le accademie italiane, affondano le loro radici nell’alto medioevo, al contrario nell’ambito ebraico il fenomeno appartiene decisamente alla prima età moderna. Pertanto, non sembra plausibile il riferimento alla tradizione ebraica quale causa preponderante e fondamentale che condusse alla fondazione delle confraternite, almeno per quelle di mutuo soccorso [15], perché, se così fosse stato, avremmo dovuto avere notizia della fondazione di simili organizzazioni prima del XVI secolo, poiché i bisognosi sono sempre esistiti così come il precetto morale di aiutarli[16].
Queste associazioni possedevano alcune caratteristiche in comune, quali l’usanza di fissare per iscritto un proprio statuto, che comprendesse la ripartizione fra i membri delle cariche elettive e gli scopi da raggiungere, anche se successivamente le attività svolte non sempre corrispondevano ai fini prefissati[17]. Inoltre, molte di esse, anche se minuscole numericamente, tenevano minuziosi e pedanti registri, in cui oltre alle liste dei vari membri, venivano riportati gli esiti delle elezioni svoltesi solitamente ogni anno, le delibere prese di volta in volta, i movimenti finanziari, come anche le diverse attività promosse. Perdipiù, diverse confraternite sponsorizzarono non soltanto la pubblicazione di manuali mistici da recitarsi in pubblico e stampati in grande quantità, come anche fecero stampare poesie d’occasione, magari su fogli volanti, o altre opere di genere letterario o teatrale, spesso al fine di allestirne rappresentazioni pubbliche[18]. Per questi motivi, la quantità di documenti lasciati da queste organizzazioni, sia a stampa che tuttora manoscritti, è notevole. È chiaro che un lavoro capillare che raccogliesse tutti questi materiali, creando una banca dati contenente le informazioni relative a tutte le compagnie, confraternite, accademie, manoscritti e pubblicazioni, almeno per quanto riguarda le singole città, sarebbe in grado di ricostruire una panoramica completa delle diverse organizzazioni, delle reti di relazioni intrattenuti all’interno del ghetto fra i diversi membri, degli scambi culturali fra le diverse organizzazioni, così come accennare ad una stratificazione socioeconomica della popolazione ebraica, e quindi ai diversi aspetti della vita sociale e culturale ad esse collegata, e alla prosopografia dei vari personaggi, o come lo ha definito Simone Testa il loro “Facebook”[19]. Scopo di questo lavoro è pertanto quello di proporre un primo approccio analitico alla raccolta dei registri e dei documenti fin’ora rimasti, al fine di formarne una schedatura, e di conseguenza suggerire possibilità per una ricostruzione di queste reti. Per far sì, si prenderà in esame la situazione esistente all’interno del ghetto di Venezia, che appare essere l’esempio più ricco ed eterogeneo fra le comunità italiane.
Nella città lagunare, durante il XVII secolo vivevano circa 4000 ebrei[20], e tra quel secolo e quello successivo erano attive almeno una ventina di organizzazioni diverse, fra confraternite di vario tipo, filantropiche o culturali, e accademie musicali o letterarie[21]. Oltre a queste, le autorità della Serenissima riconoscevano, come risaputo, quattro nazioni ebraiche distinte[22], ognuna delle quali possedeva una sua struttura e proprie istituzioni e registri. Al fine di ricostruire la complessa struttura istituzionale dell’ebraismo lagunare, con le sue reti di contatti e di scambi culturali, ma soprattutto poter valutare la mole di documenti esistenti, vanno considerati anche i registri delle nazioni. Difatti, dei quattro registri appartenenti alle relative compagini etniche, soltanto due sono stati finora studiati e pubblicati: quello della nazione italiana pubblicato da Daniel Carpi[23], e quello della nazione tedesca studiato da David Malkiel[24]. Presso l’archivio della comunità di Venezia ci sono ancora altri due registri, manoscritti e mai analizzati: uno della nazione ponentina ed un altro di quella levantina[25]. Inoltre, dall’inventario della comunità si apprende che il registro della nazione levantina copre ben 100 anni, dal 1589 al 1689, mentre quello della nazione ponentina, copre l’arco di 30 anni, dal 1669 al 1691[26].
Nome della Nazione | Documenti rimasti |
Kahal Ashkenazim (Comunità dei tedeschi) | Registro già analizzato[27] |
Kahal Italianim (Comunità degli italiani) | Registro già analizzato[28] |
Kahal Sefardim (Comunità degli spagnoli) | Registro manoscritto[29] |
Kahal Levantinim (Comunità dei levantini) | Registro manoscritto[30] |
Analizzando poi la rete delle compagnie e confraternite, si nota che a causa di questa suddivisione interna in quattro nazioni, spesso vi erano diverse compagnie con la stessa denominazione e con lo stesso scopo, per ognuna delle nazioni. Dalla tabella qui di seguito, emerge come vi siano notizie di almeno 8 registri manoscritti appartenenti a queste organizzazioni, oltre ad altri 4 statuti sempre manoscritti, ed infine 3 ulteriori statuti stampati.
Nome della compagnia | Attività principale | Anni di attività | Documenti rimasti |
Hevrat Betulot spagnola ovvero Hebra de casar horphãos | Provvedere una dote alle ragazze bisognose | 1669-1816 (forse attiva già dal 1613) | Registro e statuto manoscritti [31] |
Hevrat Gemilut Hasadim ashkenazita | Seppellire i defunti | Registro manoscritto[32] | |
Hevrat Kenesiat le-shem Shamaym (ashkenazita) | Fissare incontri di studio | Registro manoscritto[33] | |
Hevrà le-hassì betulot (ashkenazita) | Provvedere una dote alle ragazze bisognose | Fondata nel 1576[34] | Registro manoscritto[35] |
Hevrà le-hassì betulot levantina | Provvedere una dote alle ragazze bisognose | 1665 | Statuto stampato[36] |
Hevrat malbish ‘arumim | Provvedere vestiti per i poveri | Statuto manoscritto [37] | |
Hevrat malbish ‘arumim | Provvedere vestiti per i poveri | Registro manoscritto[38] | |
Hevrat Ozer Dallim ve-avelim | Assistere i bisognosi e le persone in lutto | 1694 | Registro e statuto manoscritti[39] |
Hevrat `Ezrat Akhim | 1711 | Statuto manoscritto[40] | |
Hevrat Shomrim la-boker ashkenazit (tedesca) | Pregare assieme | Tikkun stampato | |
Hevrat Shomrim la-boker italiana | Pregare assieme | 1607-1649 | Registro manoscritto[41] |
Shomrim la-boker sefardi (Spagnola) | Pregare assieme | Tikkun stampato | |
Shomrim la-boker levantina | Pregare assieme | Tikkkun stampato | |
Rodfè mitzwot (ashkenazita) | Svolgere pie azioni | 1701 | Statuto manoscritto[42] |
Rodfim u-mashqimim le mitzwot | Svolgere pie azioni | 1754 | Statuto manoscritto[43] |
Hevrat Talmud Torà | Organizzare lezioni e pagare gli insegnanti | 1714 | Statuto stampato |
Fraterna de sepelir li morti della Nasion Ponentina[44] | Seppellire i defunti | ||
Compagnia levantina per il riscatto degli schiavi[45] | Fondata nel 1647 o nel 1648 | ||
Compagnia ashkenazita per il riscatto degli schiavi[46] | |||
Tesoriere ashkenazita per la Terra di Israele[47] | Registro manoscritto di ricevute e pagamenti | ||
Tesoriere italiano per la Terra di Israele[48] | |||
Bikur holim sefardita | Assistere i malati | Fece stampare nel 1685 un libro di preghiere[49] |
Di questa lista di organizzazioni diverse, l’esempio più interessante è quello delle fraternite di Shomrim la-boker, cioè ‘coloro che vegliano l’alba’ (o ‘i veglianti del mattino’), poiché difatti a Venezia di compagnie con questo stesso nome ce ne erano almeno quattro: una tedesca, una italiana, una spagnola ed una levantina, affiliate evidentemente alle sinagoghe, ed erette per scopi di studio e di preghiera[50]. La prima, fu probabilmente quella italiana, fondata attorno agli anni 70 del Cinquecento dal famoso rabbino Menahem Azarià da Fano[51], mentre nel 1596 venne fondata quella affiliata alla scola tedesca, e poi quella levantina eretta nel 1622[52]. Dell’italiana, è rimasto l’intero registro manoscritto che copre le date 1607-1651, conservato, come si è già detto, a Mosca nella collezione del Barone Guenzburg[53]; di quella levantina abbiamo un libretto di preghiere, tikkun, stampato nel 1622[54]; della compagnia ashkenazita invece vi sono diversi di libretti di preghiere, o tikkunim: uno stampato nel 1597, un altro nel 1600 ed un terzo nel 1638[55]; pure gli spagnoli stamparono un libretto simile nel 1645[56]. Lo scopo primario che portò alla fondazione di queste organizzazioni, era quello di pregare assieme prima dell’alba, tuttavia proprio queste organizazioni con il tempo sponsorizzarono attività diverse, non soltanto la pubblicazione di vari testi liturgici, bensì anche la rappresentazione sul palcoscenico di opere [57].
Frontespizio del registro manoscritto della Shomerim la-boker italiana, volume conservato a Mosca
Frontespizio del tikkun della compagnia shomerim laboker dei levantini
Analizzando questo fenomeno delle varie confraternite di Shomerim la boker emerge un primo aspetto assai interessante. Infatti queste organizzazioni formavano già una rete culturale non limitata ad una città o ad uno stato, bensì era un vero e proprio network internazionale[58]. Nella sola Penisola italiana, abbiamo notizie di ben 18 associazioni di Shomerim la-boker diverse sparse per tutto il centro-nord. Ecco la lista:
Alessandria |
Ancona |
Carpi |
Ferrara |
Lugo |
Mantova |
Modena |
Padova |
Roma |
Rovigo |
Torino |
Urbino |
Venezia (Italiana) |
Venezia (Tedesca) |
Venezia (Spagnola) |
Venezia (Levantina) |
Vercelli |
Verona |
Poiché la prima di tutte queste associazioni fu proprio quella veneziana, si possono intravedere le direzioni dell’influenza culturale che dalla città lagunare appunto si propagarono per il resto della penisola. Ed ovviamente la stessa analisi potrà essere applicata anche alle altre associazioni. Per contro, la comparazione fra situazioni di città diverse può mostrare i passaggi culturali intercorsi da una città all’altra. Ecco difatti, che anche l’area di attività della compagnia per maritar donzelle affiliata alla nazione ponentina, non era limitata alla sola Venezia, bensi’ comprendeva membri provenienti anche da Firenze e da Pisa, da Amsterdam e da Amburgo[59].
Ma, ecco, che proprio dai documenti della Shomerim la-boker di Venezia, è possibile ricavare una lista delle attività in cui i membri dell’associazione erano impegnati: cominciando col riunirsi a scadenze fisse o ogni qualvolta i dirigenti della compagni lo decidessero; quindi, partecipare ai funerali o ai matrimoni non soltanto dei membri della confraternita, ma anche dei personaggi più importanti del ghetto, ed anche alle altre cerimonie pubbliche. Ed ancora, prendere parte a diverse cerimonie religiose, ed accorrere alla sinagoga ogni volta che fosse necessario per completare il quorum necessario per le funzioni.
Da questo registro assai dettagliato, è possibile ottenere anche molte altre informazioni. Come molti altri registri dell’epoca, anche questo documento inizia con uno statuto interno e con la descrizione dello svolgimento di elezioni per le cariche interne all’associazione stessa[60]. Dall’elenco dei partecipanti a queste attività, sappiamo che gli iscritti contavano in tutto 19 persone. Ognuno di essi si impegnava a versare nelle casse della confraternita un’offerta minima di cinque soldi ogni qualvolta fosse stato invitato alla lettura della Torà[61], oltre ad altri versamenti o multe occasionali. Che i membri delle associazioni dovessero pagare quote di iscrizione lo sappiamo anche da altre organizzazioni. Ad esempio, la compagnia veneziana creata dai ponentini allo scopo di fornire doti alle donzelle bisognose, al momento della sua fondazione impose il pagamento di una quota di ben 50 ducati ad ogni persona che volesse iscriversi[62]. Anche a Roma, la confraternita della Ghemilut hasadim imponeva ai propri iscritti il versamento di offerte particolari[63]
Da questi primi elementi è già possibile evincere che le associazioni e le confraternite erano costituite solitamente da appartenenti alle classi più abbienti, diventando spesso dei circoli esclusivi e assai ristretti, che in fin dei conti venivano ad accentuare proprio le differenze sociali fra i vari ceti della popolazione ebraica[64]. Per cui, in maniera paradossale, organizzazioni create per alleviare le necessità dei più poveri, divenivano piuttosto gruppi di élite socio-economica, quasi fossero un mezzo di distinzione sociale e culturale[65]. Va evidenziato, infatti, che spesso le stesse persone appartenevano a più associazioni apparendo in documenti diversi. Erano queste persone in vista, che intendevano essere attive nella vita sociale. Difatti, come si è visto, non molte persone partecipavano a queste associazioni, e la cerchia degli aderenti era assai ristretta, spesso non più di una decina[66]. Pertanto, sembra plausibile supporre, che l’usanza di riportare in continuazione nei diversi documenti e registri, i nomi dei membri della confraternita e dei suoi dirigenti, indichi appunto una specie di ambizione, quasi una voglia di essere famosi, tant’è che spesso l’appartenenza ad una data confraternita veniva lasciata in eredità ai propri figli[67]. Perfino i circoli religiosi o mistici, che in qualche maniera avrebbero dovuto aspirare a diffondere una certa dottrina, paradossalmente non sempre erano accessibili a membri delle classi meno abbienti. Purtuttavia appartenere ad una di queste, o magari a più di una, doveva essere lo status symbol, per chi voleva che il proprio nome venisse ricordato nei registri dell’epoca. Ecco quindi, come da questa serie di dati è possibile tracciare un’analisi della stratificazione sociale interna, non soltanto alle confraternite, ma di tutta la compagine ebraica.
Ecco soltanto un esempio. Per diversi anni, fino alla metà degli anni 40 del secolo, Yaakov Sullam, il marito della famosa poetessa Sara Copio Sullam ed uno dei personaggi più in vista della comunità ebraica, appare nel registro della Shomerim la boker italiana, come dirigente e membro attivo della compagnia[68]. Più o meno nello stesso periodo, racconta Izhak min ha-Leviim nella sua autobiografia, che quando si apprestarono per eleggere 4 amministratori del Tempio Italiano, si radunarono in tutto 22 persone, ed uno degli eletti fu appunto Yaakov Sullam[69]. Nello stesso periodo, lo stesso Sullam viene ancora menzionato diverse volte nel Registro della cosiddetta “nazione italiana” come uno dei suoi membri più attivi[70]. E chissà che non fosse attivo in altre associazioni ancora.
Lo stesso Itzhak Min-haleviim appare pure in occasioni diverse. Ad esempio, sia lui che suo nonno Leon da Modena, funsero come segretari della compagnia “Ozer dallim ve-avelim”, eretta cioè per sostenere i bisognosi e chi in lutto”, ed alcune pagine di questo documento sono pertanto autografe[71]. Inoltre, lo stesso Modena durante un certo periodo funse anche da notaio della compagnia per maritar donzelle della nazione ponentina[72]. Come è noto, questa famiglia era assai attiva nell’ambito della società ebraica veneziana, per cui una ricerca a tappeto nei registri delle diverse organizzazioni potrebbe rivelare appunto le loro svariate attività, e le reti di contatti.
Ma analizziamo gli altri registri manoscritti delle organizzazioni veneziane. Oltre al registro della Hevrat betulot degli spagnoli, conservato a Cincinnati e studiato da Miriam Bodian, di cui si è già parlato, che evidentemente copre circa due secoli, dal 1613 al 1816, un altro registro conservato in America, nello specifico al JTS di New York, è quello della כנסיה לשם שמים אשכנזית, ossia “Assemblea dei tedeschi in onore del Cielo”[73]. Ed infine vi è quello dellaחברה להשיא בתולות אשכנזית , cioè “Compagnia dei tedeschi per maritar donzelle”, che si trova presso l’Archivio di stato a Venezia[74]. Infine ci sono 7 statuti di diverse confraternite, alcuni a stampa ed altri manoscritti.
Poi vanno annoverate anche, per lo meno, due accademie letterarie e musicali propriamente dette: la prima, è la famosa, o come scriveva Cecil Roth “pressoché mitica”, accademia musicale fondata nel 1628, e descritta da Giulio Morosini, i cui membri si riunivano due volte a settimana per cantare e suonare. Probabilmente era questa l’organizzazione chiamata anche “Accademia degli Imperiti”, di cui uno dei capi era il famoso Leon da Modena[75]. La seconda, è quella di cui parla il nipote del Modena, Izhak min ha-Leviim, nella sua autobiografia, secondo cui “molte persone sagge si radunarono” per formare un’accademia e studiare assieme durante i sabati pomeriggio e discutere assieme su argomenti prestabiliti[76]. Questa organizzazione venne chiamata כנסיה לשם שמים, cioè “Assemblea in onore del Signore”, da non confondere evidentemente, con l’altra organizzazione portante lo stesso nome ma appartenente alla nazione tedesca. Ma quante erano queste “molte” persone sagge di cui parla min-ha-Leviim? Il testo nomina in tutto 6 persone, per cui è possibile supporre che saranno arrivate tutt’al più ad essere una decina. Nonostante ciò, questa assemblea accese l’invidia della Nazione spagnola concorrente, i cui membri vollero anche crearne una simile, della quale tuttavia non abbiamo nessuna notizia. La sua attività durò fino a quando qualcuno dei membri, o forse degli spagnoli, non si lamentò dinnanzi alle autorità, che fecero interrompere le riunioni[77].
Nome dell’ accademia | Documentazione rimasta | ||
Accademia musicale ( chiamata anche Accademia degli Imperiti) | Citata da G. Morosini, Via della Fede | ||
Knesià le-shem Shamaym | Fondata nel 1653 | Citata da Izhak min-haLevyim | |
Circolo letterario | 1654 | Menzionato da Izhak min ha Leviim | |
Inoltre, è probabile che oltre a queste organizzazioni già menzionate, fossero attivi all’interno del ghetto ulteriori circoli di letterati e di poeti, di cui tuttavia non ne sono rimaste tracce. Un esempio del genere lo si apprende da quanto ancora raccontato dal rabbino Izhak Min ha-leviim, che parla di una disputa letteraria fra due circoli contrapposti di poeti, uno comprendente Rabbì Moshè Zacuto[78], Yom Tov Valvason[79], Yaakov Levi Yosvil[80] ed i fratelli Yaakov[81] ed Emanuel Frances[82], mentre l’altro doveva comprendere secondo lo stesso min ha-Leviim, oltre a se stesso anche “tutti gli altri virtuosi di Venezia” [83]. Da quanto descritto da min-haLeviim si apprende che, mentre altre associazioni erano affiliate alle rispettive nazioni e sinagoghe, questo circolo invece comprendeva indistintamente membri di diverse origini.
Prontuario mistico della compagnia Shomerim laboker dei tedeschi di Venezia stampato da Yaakov Yusevil
Come si diceva, è importante riuscire a confrontare le situazioni funzionanti in comunità ebraiche diverse, per poter tracciare le direttive delle influenze culturali, così come anche le reti creatisi attraverso la penisola. Un primo paragone può essere tracciato fra la situazione veneziana appena descritta e quella esistente a Roma, forse la comunità della Penisola più disastrata dal punto di vista ebraico, e quindi agli antipodi di quella lagunare. Anche qui nel Seicento vivevano all’interno del ghetto circa 4000 persone, una quantità di abitanti simile di Venezia[84].
Contrariamente a quanto avveniva in Laguna, a Roma funzionava una unica comunità, che comprendeva sia gli italiani che gli ultramontani, vale a dire quegli ebrei giunti da altri paesi oltre l’Italia, ed al suo interno erano attive una quindicina fra confraternite ed associazioni varie[85]. Tuttavia, i documenti rimasti risalenti al periodo sono assai miseri. Il testo più importante, è il registro della comunità, che copre tutto l’arco del 600, ed è stato pubblicato recentemente[86]. Delle varie associazioni, l’unico documento rimasto è un registro della confraternita di Ghemilut hasadim, parzialmente studiato da Ariel Toaff, che venne iniziato nel settembre del 1559 e si concluse nel novembre del 1586[87]. Ulteriori testimonianze non ve ne sono, infatti a Roma, per quanto è dato sapere, non si stamparono tikkunim o altri generi di testi. È questo stesso, molto probabilmente, un sintomo di una situazione alquanto difficile sia dal punto di vista economico che culturale, per via del quale non vi furono eccezionali sviluppi di questo genere di attività[88].
Da questa breve analisi del panorama associazionistico ebraico veneziano del primo periodo moderno, emergono già alcuni elementi interessanti. La quantità di organizzazioni create durante questo periodo, così come la varietà di scopi, evidenziano le funzioni sociali e culturali che queste organizzazioni ricoprivano. I loro documenti giunti fino ad oggi mostrano per l’appunto le reti di relazioni sociali in maniera che definiremmo tridimensionale, cioè sia fra i vari strati economici diversi, sia fra le diverse organizzazioni, sia anche fra le stesse organizzazioni situate in località diverse. Un’attenta analisi di questo fenomeno può rivelare tutto un capitolo di storia sociale e culturale.
[1] Se nell’ambito cristiano le confraternite e le accademie erano due istituzioni assai diverse, non sembra che così fosse anche all’interno della società ebraica italiana. Vedi per esempio quanto scrive Itzhak min-hallevyym, nipote di Leon da Modena, nella sua autobiografia Medabber tahapuchot, che a Venezia “ci sono molte chavarot” fra cui la compagnia del Talmud Torà ashkenazita (I. Min-Halleviyym, Medabber Tahpuchot. A Seventeenth Century Autobiographical story of a Venetian Rabbi, edited by D. Carpi, Tel Aviv 1985, p. 112). Diversi studiosi hanno trattato alcuni singoli aspetti di questo fenomeno complesso ed eterogeneo, vedi la bibliografia riportata da Michela Andreatta, “The printing of devotion in Seventeenth Century Italy. Prayer books printed for the Shomerim la-boker Confraternities”, in The Hebrew book in Early Modern Italy, edited by J. Hacker and A. Shear, Philadelphia 2011, alla nota 1, p. 291. Su questo tema vedi inoltre: G. Veltri e E. Chayes, Oltre le mura del ghetto. Accademie, scetticismo e tolleranza nella Venezia barocca, Palermo 2016; A. Y. Lattes e M. Perani, “Un poema della Compagnia di Mezzanotte nella Lugo ebraica di metà Settecento di Lugo”, Materia Giudaica,, XV–XVI (2010-2011), p. 439-456; B. Rivlin, Arevim ze lazè baghetto haitalkì [Mutual Responsibility in the Italian Ghetto. Holy Societies 1516-1789], Jerusalem 1991; e soprattutto E. Horowitz, Jewish Confraternities in Seventeenth Century Verona: A Study in the Social History of Piety, PhD Dissertation, Yale University, 1982; e quindi Ch. J. Schirmann, “Ha-teatron we-ha-musiqa bi-shekhunot ha-yehudim be-Italia”, in Le-toledot ha-shira` we-ha-dramma ha-‘ivrit, (Studies in the History of hebrew poetry and Drama), Jerusalem 1979, vol. 2, p. 68-74. Vedi anche quanto discusso più innanzi.
[2] Di conseguenza anche in questo lavoro tutti questi termini verranno usati alla stregua di sinonimi.
[3] Ad esempio la fraternita di Shomerim la boker di Ferrara organizzava la lettura pubblica e forse anche la rappresentazione sulla scena dell’opera “Toftè Arukh” di Rabbì Moshè Zacuto. Vedi la prefazione di Y. D. Olmo al suo Eden Arukh [Il Paradiso preparato], stampato assieme al Toftè Arukh,Bragadina, Venezia 1742; Schirmann, Ha-teatron we-ha-musiqa, op. cit., p. 71. Invece, la omonima compagnia anconetana organizzava la rappresentazione in pubblico di un poema in musica (Vedi Andreatta “The printing of devotion”, p. 164)
[4] Non è nostra intenzione descrivere la storia di queste organizzazioni, siano confraternite o accademie, nell’ambito della società italiana non ebraica, anche perché la bibliografia sull’argomento è assai vasta. Ad ogni modo, le confraternite in Italia esistevano già almeno dal Trecento (vedi voce Confraternita, Enciclopedia Italiana Treccani, vol. 11 (Roma 1949), p. 125; e R. Weissman, Ritual Brotherhood in Renaissance Florence, New York 1982), pure le accademie letterarie esistevano già da secoli. Sulle accademie in Italia vedi M. Maylender, Storia delle accademie d’Italia, 5 voll. Cappelli, Bologna 1926-1930;A. Quondam, “L’accademia”, in Letteratura italiana, vol. 1, Torino 1982, p. 823-898; ed adesso anche S. Testa, Italian Academies and their Networks, 1525-1700. From Local to Global, Palgrave MacMillan 2015. Cfr. Anche Rivlin, Arevim ze la ze, op. cit., introduzione, p. 11-30; E. Horowitz, “Jewish Confraternal Piety in the Veneto in the Sixteenth and Seventeenth Century”, in: GliEbrei e Venezia, Atti del convegno internazionale organizzato dall’ Istituto di storia della società e dello Stato veneziano della Fondazione Giorgio Cini a Venezia, Milano 1987, p. 301; Sh. Simonsohn, Toledot hayehudim bedukhasut Mantova [Storia degli ebrei nel Ducato di Mantova], vol. 2, Jerusalem 1963, p. 399.Vedi anche quanto discusso in M. Bodian, “The ‘Portuguese’ Dowry Societies in Venice and Amsterdam”, in Italia, VI, n. 1-2 (Jerusalem 1987), p. 34
[5] Su questi due fenomeni vedi A. Y. Lattes, “Le fasi di un fenomeno urbanistico ed organizzativo ebraico nell’italia del cinque-seicento”, Cheiron, 57-58 (2012), p.131-141; A. Y. Lattes, “The Type Of Community Minutes Books – Some Preliminary Conclusions”, Italia Judaica Jubilee Conference, edited by Sh. Simonsohn and J. Shatzmiller, Brill, Leiden-Boston 2013, p. 85-95. Sulla formazione della carica del rabbino comunitario, vedi R. Bonfil, Ha-rabbanut beItalia bitqufat haRenaissance [Il rabbinato in Italia nel periodo del Rinascimento], Gerusalemme 1979
[6] Secondo Simonsohn fu questa la causa principale che portò alla creazione delle associazioni. Vedi Simonsohn, Toledot hayehudim bedukhasut Mantova , op. cit., vol. 2, p. 399
[7] Difatti la concezione del welfare, vale a dire lo stato assistenziale, è notoriamente una concezione moderna. Vedi a questo proposito s.v. «welfare state», nell’International Encyclopedia of the Social Science, D. L. Sills editor, Mac Millan Company, 1968, vol. 16, pp. 512-521. Confronta anche l’opinione di A. Milano il quale afferma, trattando però la situazione esistente a Roma, che il problema dell’assistenza agli indigenti, non consisteva nel fatto che la comunità tendeva a sottrarsi a questo tipo di mansioni, ma piuttosto non ne aveva le possibilità, in quanto ogni entrata di denaro le veniva subito sottratta dalla Reverenda Camera Apostolica; in A. Milano, «Le confraternite pie del ghetto di Roma», in Rassegna Mensile di Israel, 24, 1958, pp. 118-119. Riguardo invece il fenomeno dell’erezione di confraternite ad hoc, cioè costituite proprio in contingenze particolari con lo scopo di sostenere i bisognosi, sempre tuttavia trattando la comunità romana, vedi il caso avvenuto il 24 giugno 1659 e riportato nel Registro di questa comunità ai paragrafi 737 e 738, in A. Y. Lattes, Pinkas Kehillat Roma 1615-1695 [Il Registro della Comunità ebraica di Roma 1615-1695], Istituto Ben Zvi, Jerusalem 2012.
[8] Sarebbe stata questa invece la causa fondamentale secondo Elliott Horowitz, nel suo Jewish Confraternities in Seventeenth Century Verona: A Study in the Social History of Piety, PhD Dissertation, Yale University, 1982. Vedi anche a questo proposito: B. Geremek, Il pauperismo nell’età preindustriale (secoli XIV-XVIII), in Storia d’Italia, vol. 5, Torino 1973, p. 669; R. Weissman, Ritual Brotherhood in Renaissance Florence, New York 1982, p. 204; C. M. Cipolla, Before the Industrial Revolution: European Society and Economy 1000-1700, New York 1980, p. 33
[9] Vedi a questo proposito M. Benayahu, Dor Ehad baaretz [Una generazione nel paese], p. 105-106, 167-172; G. Scholem, Major trends in Jewish mysticism, N.Y. 1946, p. 284-285; Andreatta, “The printing of devotion”, op. cit., p. 156-157
[10] Vedi D. Ruderman, “The Founding of a Gemilut Hasadim Society in Ferrara in 1515″, in AJS Review,1, 1976, pp. 233-266;
[11] Vedi Lattes, “Le fasi di un fenomeno urbanistico ed organizzativo ebraico nell’italia del cinque-seicento”, op. cit., p. 131-141; cfr. anche R. Weinstein, “Mevudadim akh lo dekhuyym. Ha-yehudim ba-hevrà ha-italkit bi-tqufat ha-Reformatzya ha-qatolit” [Isolati ma non respinti. Gli ebrei nella società italiana durante il periodo della Controriforma cattolica], in: Mi’utim, zarim, we-shonim [Minoranze, stranieri e diversi], (2001), p. 93-132
[12] Vedi quanto scrive Schirmann, che queste istituzioni portarono allo sviluppo delle cantate in ebraico, in Schirmann, “Ha-teatron we-ha-musiqa bi-shekhunot ha-yehudim be-Italia”, op. cit., p. 68-69
[13] Cfr. S. Testa, Italian Academies and their Networks, 1525-1700. From Local to Global, New York 2015
[14] Un primo tentativo di mappatura delle associazioni funzionanti in una data località venne effettuato già anni or sono da Elliott Horowitz, che studiò le confraternite di Verona; nella sua tesi di dottorato: Jewish Confraternities in seventeenth century Verona, op. cit.
[15] Questa è la tesi centrale di Braha Rivlin nel suo Arevim ze la ze, op. cit; cfr. anche Bodian, “The ‘Portuguese’ Dowry Societies in Venice and Amsterdam”, op. cit., p. 34-35
[16] Già nel XII secolo Maimonide codificò il precetto di elargire elemosine ai bisognosi. Vedi Mishnè Torà le-Rambam, Hilkhot Mattanot ‘aniim, cap. 7, para. 1.
[17] L’idea di registrare le attività svolte, era una concezione del tutto nuova per l’epoca. Vedi Lattes, “Le fasi di un fenomeno urbanistico ed organizzativo ebraico”, op. cit.; A. Y. Lattes, Una società dentro le mura, (in stampa)
[18] Una raccolta sistematica dei vari tikkunim stampati durante questo periodo non è mai stata fatta, ed anzi sarebbe assai auspicabile, al fine di riempire diverse lacune. Una proposta in questo senso la feci nel 2011 al convegno Science, learning and censorship tenutosi a Londra presso la Royal Holloway University (la registrazione dell’intervento si trova in http://backdoorbroadcasting.net/2011/06/andrea-lattes-jewish-academies-and-the-spreading-of-mystic-manuals-in-seventeenth-century-italy/ )
[19] Testa, Italian Academies and their Networks, op. cit. p. 125 ss.
[20] A. C. Harris, “La demografia del ghetto in Italia”, in La Rassegna mensile di Israel, supplemento al volume del 1967, p. 42-43
[21] Vedi quanto scrive Bracha Rivlin nel suo “Ha-sefardim be-Italia: chevrot gemilut hasadim be-Venezia ba-meot 17-18” [I sefarditi in Italia: compagnie filantropiche a Venezia nei secoli XVII-XVIII], in: Hevrà ve-kehillà, midivrè ha-kongress ha-benleumì ja-shenì le-heker moreshet Yahadut Sefarad ve-ha-mizrah, Jerusalem 1991, p. 106
[22] Cfr. D. Carpi, “Taqqanoneha shel Qehillat Venezia 1591-1607”, [Gli statuti della comunità di Venezia], in Galut ahar golà,Jerusalem 1988, pp. 443-469; Id., “Le “Convenzioni” degli anni 1624 e 1645 tra le tre “Nazioni” della Comunità di Venezia”, in Shlomo Simonsohn Jubilee Volume, Studies on the History of the Jews in the Middle Ages and Renaissance Period, Tel Aviv 1993, pp. 30-40. Vedi anche la tabella con la lista dei registri delle varie nazioni riportata qui di seguito.
[23] D. Carpi, Pinkas Vaad K.K. Italiani beVenezia 404-471 [Il registro del consiglio della comunità degli italiani a Venezia, 1644-1711], Jerusalem 2003
[24] D. J. Malkiel, A separate republic: the mechanics and dynamics of Venetian Jewish self-government (1607-1624), Jerusalem 1991
[25] Ringrazio qui la dottoressa Federica Ruspio, responsabile della Biblioteca della Comunità ebraica di Venezia “Renato Maestro”, che mi ha gentilmente concesso di prendere visione di questi documenti
[26] Inventario dell’Archivio della Comunità Israelitica di Venezia, a cura di E. Tonetti, Venezia 1984, p. 11
[27] Malkiel, A separate Republic, the mechanics and dynamics of Venetian Jewish self-government, op. cit.;cfr. anche Carpi, “Taqqanoneha shel Qehillat Venezia”, op. cit, p. 169; Carpi, Pinkas Vaad K.K. Italiani beVenezia, op. cit., p. 1
[28] D. Carpi, Pinkas Vaad K.K. Italiani beVenezia, op. cit; Carpi, “Taqqanoneha shel Qehillat Venezia”, op. cit
[29] Vedi Inventario dell’Archivio della comunità israelitica di Venezia, op. cit., p. 11; cfr. anche Carpi, Pinkas Vaad K.K. Italiani, op. cit., p. 1
[30] Ibidem
[31] Manoscritto conservato presso lo Hebrew Union College di Cincinnati, n. 149; cfr. anche Rivlin, Arevim ze la-ze, op. cit., p. 298; Bodian, “The ‘Portuguese’ Dowry Societies in Venice and Amsterdam”, op. cit., p. 32-33
[32] Manoscritto conservato presso l’Archivio di stato di Venezia; microfilm dell’ “Istituto per i microfilm dei manoscritti ebraici” (da qui in avanti segnato come IMME) della Biblioteca Nazionale di Gerusalemme, n. 5948 A; Rivlin, Arevim ze la-ze, op. cit., p. 299
[33] Manoscritto del Jewish Theological Seminary of America, New York, NY, USA, n. 3594; Rivlin, Arevim ze la-ze, op. cit., p. 299
[34] Bodian, “The ‘Portuguese’ Dowry Societies in Venice and Amsterdam”, op. cit., p. 35. Cfr. Anche E. Horowitz, “Hachnasat kallà ba-getto shel Venezia: ben massoret le-hiddush uven ideal la-meziut” [far entrare la sposa nel ghetto di Venezia: fra tradizione ed innovazionee fra l’ideale e la realtà], in: Tarbiz 56,3 (1987), p. 347-371
[35] Fraterna per maritar Donzelle della Nat.ne Tedesca, Archivio di Stato di Venezia, n.733 (Cod. 818): Rivlin, ivi
[36] Regolatione della Fraterna de K.K. de Levantini per maritar donzelle, G. Bragadin, appresso L. Prodotto, Venezia 1665; cfr. Rivlin, Arevim ze la-ze, op. cit., p. 300
[37] Ivi. È da supporre che questa organizzazione non sia la stessa dell’altra omonima, che appare successivamente nella tabella, poiché i documenti relativi sono diversi
[38] The Jewish Theological Seminary of America, New York, NY, USA, Ms. 8494. Questo documento non è citato dalla Rivlin nella lista dei registri di cui sopra.
[39] Manoscritto del Jewish Theological Seminary of America, New York, NY, USA, Ms. 8468; Rivlin, Arevim ze la ze, p. 300
[40] Ibidem
[41] Manoscritto della collezione Guenzburg, Biblioteca nazionale di Mosca, n. 793; cfr. anche Rivlin, Ibidem
[42] Rivlin, ibidem
[43] The Jewish Theological Seminary of America, New York, NY, USA, Ms. 9305; Rivlin, ivi
[44] D. Carpi, Be-tarbut ha-renesans uven homot haghetto [Between Renaissance and Ghetto], Tel Aviv 1989, p.176
[45] Carpi, Be-tarbut ha-renesans uven homot haghetto, op. cit., p. 209 ff.; vedi anche M. Benayahu, “Hatnu’a ha-shabtait be-Yavan”, [Il movimento sabbatiano in Grecia], in Sefunot 14 (1971-1978), p. 119
[46] Ibidem
[47] Carpi, Be-tarbut ha-renesans uven homot haghetto, op. cit., p.233 ff
[48] Carpi, ivi
[49] Bragadina, Venezia, 1685 | ||
[50] Vedi su questo argomento: M. Benayahu, “Sidrè tefillà she-nidpesù be-Italia le-havarot Shomerim la-Boker, mysodam shel hakhmè Salonicco”, [I libri di preghiere stampati in Italia per conto delle compagne di Shomrim la boker, fondate dai saggi di Salonicco], Asufot, 11 (1998), p. 87-99. Cfr. anche Andreatta, che tuttavia cita soltanto tre compagnie di questo tipo, nel suo “The printing of devotion”, op. cit., vedi in particolare la bibliografia riportata alla nota 7, e quindi a p. 158
[51] Simonsohn, Toledot hayehudim bedukhasut Mantova, p. 404; cfr anche A. Shulvass, The Jews in the world of the Renaissance, Leiden 1973, p. 212-213; Horowitz, Jewish Confraternities in Seventeenth Century Verona, p. 148-149; vedi anche R. Bonfil, “Yedi’ot hadashot le-toldot hayyav shel RaMA da Fano ve-tkufatò”, [New Information on Rabbi Menahem Azariah da Fano and his Age], in Studies in the History of Jewish Society in the Middle Ages and in the Modern Period presented to Professor Jacob Katz, Jerusalem 1980, p. 110-115
[52] Horowitz, “Jewish Confraternal Piety in the Veneto in the Sixteenth and Seventeenth Century”, op. cit., p. 304. Vedi anche Andreatta, “The printing of devotion”, p. 158-159 e la bibliografia riportata alla nota n. 9
[53] Vedi la riproduzione del frontespizio qui di seguito. Cfr anche Andreatta, ivi, p. 160
[54] Vedi la riproduzione del frontespizio qui di seguito. Cfr anche Andreatta, ivi, p. 160
[55] Vedi la riproduzione del frontespizio qui di seguito. Cfr anche Andreatta, ivi, p. 160
[56] Cfr. I. Vinograd, Otzar ha-sefer ha-‘ivrì, [Thesaurus of Hebrew books], Jerusalem 1980, p. 270
[57] Horowitz, Jewish Confraternities in Seventeenth Century Verona, op. cit., p. 150 ss.; R. Bonfil, “Cultura e mistica a Venezia nel cinquecento”, in: Gli Ebrei e Venezia, Milano 1987, p. 491-492; Shirmann riporta che all’inizio degli anni 80 del XVII secolo una di queste associazioni di Shomerim la-boker, probabilmente quella di Modena, ordinò al famoso compositore Carlo Grossi (Vicenza 1634-Venezia 1688), la composizione di una musica da cantare durante la festività di Hoshaana Rabbà. Vedi Schirmann, “Ha-teatron we-ha-musiqa bi-shekhunot ha-yehudim be-Italia”, op., cit., vol. 2, p .70. Questa notizia è riportata da I. Adler, La pratique musicale savante dans quelques communautés juives en Europe aux XVIIe et XVIIIe siècles, Paris 1966, p. 82. Lo spartito della cantata venne poi pubblicato separatamente: C. Grossi, (edito da I. Adler), Cantata ebraica in dialogo, voce sola e choro, Jerusalem1966 Vedi anche Andreatta, “The printing of devotion”, op. cit.
[58] Cfr. Testa, Italian Academies and their Networks, op. cit., Cfr anche A. Y. Lattes, “S. Testa, Italian Academies and their Networks, 1525-1700. From Local to Global, recensione, Forum Italicum, 2017, Stony Brook University, Palgrave MacMillan, New York 2015
[59] Bodian, “The ‘Portuguese’ Dowry Societies in Venice and Amsterdam”, op. cit., p. 38
[60] Vedi ad esempio i registri delle comunità di Lugo di Romagna (in A. Y. Lattes, Vita ebraica a Lugo nei verbali delle sedute consigliari degli anni 1621-1630, Olschki, Firenze 2013, p. 21-24), o anche quello della confraternita di Ghemilut Hasadim di Roma (in A. Toaff, Ghetto Roma ba-meà ha-XVI [Il ghetto di Roma nel secolo XVI], Ramat Gan 1984, p. 44-47)
[61] Registro della confraternita, collezione Guenzburg di Mosca, op. cit., foglio 7 recto
[62] Bodian, “The ‘Portuguese’ Dowry Societies in Venice and Amsterdam”, op. cit., p. 33
[63] Riguardo Verona, vedi: Horowitz, “Jewish Confraternal Piety”, op. cit. p. 309; Per Roma vedi Toaff, Ghetto Roma ba-meà ha-XVI, p. 17-18 Senonché Bodian sostiene l’opposto, cioè che anche ai bisognosi era data la possibilità di partecipare in maniera attiva alle attività di queste organizzazioni, e non soltanto passivamente in qualità di riceventi i sussidi; Bodian, “The ‘Portuguese’ Dowry Societies in Venice and Amsterdam”, op. cit., p. 35. Tuttavia la sua lettura non sembra molto convincente, vedi anche qui alla nota successiva.
[64] Bodian, che ha studiato la compagnia spagnola che sosteneva le ragazze povere in procinto di maritarsi, parla di 86 membri iscritti nel 1621 (Bodian, “The ‘Portuguese’ Dowry Societies in Venice and Amsterdam”, op. cit., p. 33). Senonché una lettura più attenta del registro di questa organizzazione (Manoscritto dell’Hebrew Union College di Cincinnati, n. 149, e di cui una copia microfilm si trova presso l’Archivio Centrale per la Storia del popolo ebraico di Gerusalemme, numerata come “HM2-6017 Italy”), rivela che la lista degli 86 nominativi venne vergata attraverso l’arco di otto anni. Partendo dal 12 di Adar 5373 (in quell’anno i membri erano soltanto 26) [14 recto], poi prosegue il 10 di Shevat 5374, dove numerati progressivamente vengono aggiunti 5 membri paganti. Poi il 2 adar ne vengono aggiunti altri 5, poi il 17 di Nissan si aggiungono altri 2 membri, poi il 27 di Nissan se ne aggiungono altri 5. Poi si passa al 17 di nissan del 5375 dove vengono segnati altri quattro membri di cui uno di Amburgo, un altro di Amsterdam, e quindi uno di Pisa [14 verso]. Poi si passa al 25 di Nissan 5377. L’ultima lista di nomi risale al nissan 5381, e riporta i nomi numerati fino a 86 [15 recto]. Inoltre, in questa lista di membri riportata nel registro, fino al numero 36 accanto ad ogni nominativo viene segnato appunto il pagamento di 50 scudi, dopodiché vengono registrati i nomi senza l’indicazione dei 50 scudi. Non è possibile pertanto sapere se anche i soci successivi pagarono la stessa somma iniziale, quando perdipiù, alcuni nomi vengono ripetuti, forse ad indicare una successiva ulteriore registrazione.
[65] Secondo Simonsohn invece, le chavarot avrebbero permesso a larghi strati sociali la partecipazione alle attività pubbliche della comunità; Simonsohn, Toledot hayehudim bedukhasut Mantova, op. cit., vol. 2, p. 399
[66] La lista dei partecipanti alle riunioni della Compagnia degli spagnoli per maritar donzelle comprende circa una ventina di membri; cfr. il registro summenzionato al folio 16 recto. I membri attivi erano solitamente i capifamiglia benestanti, in grado appunto di pagare, nel caso specifico, 50 ducati alla confraternita stessa. Pertanto se l’affermazione di Bodian, che la compagnia spagnola delle donzelle nel 1621 annoverava 86 membri, fosse stata corretta (“The ‘Portuguese’ Dowry Societies”, p. 33), ciò avrebbe significato che su una popolazione ebraica totale di circa 800 famiglie, non solo ponentine bensì di tutta la città, circa il 10 percento dell’intera popolazione ebraica sarebbe stata possidente.
[67] ibidem
[68] Non sembra verosimile l’affermazione di Miriam Bodian, che sostiene che la compagnia spagnola delle donzelle, nel 1621 annoverava ben 86 membri. I membri attivi erano solitamente i capifamiglia bene
[69] Min-Halleviyym, Medabber Tahpuchot, op. cit., p. 70
[70] Nel registro della nazione italiana, il personaggio di Yaakov Sullam ricorre abbastanza frequentemente. Cfr. A questo proposito l’indice dei nomi nell’edizione di Carpi, Pinkas Vaad K.K. Italiani beVenezia 404-471, op. cit., p. 303
[71] Vedi il registro di questa compagna, conservato presso il Jewish Theological Seminary of America, New York, NY, USA, Ms. 8468. Leon da Modena appare come segretario della compagnia poco prima della sua morte, negli anni 1645-1646 (folii: 15 verso, 17 recto, 19 recto); dopo di lui, suo nipote appare come segretario (vedi al folio 58 recto)
[72] Horowitz, “Hachnasat kallà ba-getto shel Venezia”, op. cit., p. 361-362
[73] Rivlin, Arevim ze la-ze, op. cit., p. 299
[74] Ibidem
[75] G. Morosini, Via della fede mostrata a’gli Ebrei, Roma 1683), p. 793. Vedi poi: C. Roth, “L’accademia musicale del ghetto veneziano”, La Rassegna mensile di Israel, 3 (1928), p. 152-162. Cfr. Anche Schirmann, “Ha-teatron we-ha-musiqa bi-shekhunot ha-yehudim be-Italia”, op. cit., p. 68; I. Adler, “The rise of music in the Italian ghetto”, in Jewish Medieval and Renaissance Studies (1967), p. 345. Veltri e Chayes, Oltre le mura del ghetto., op. cit. p. 47-119
[76] Min-Halleviyym, Medabber Tahpuchot, op. cit., p. 109-110
[77] Ibidem
[78] Su R. Moshè Zacuto la bibliogtafia è assai ampia, per una sintesi si veda: A. Y. Lattes, Rabbì Moshè Zacut: Hayyav u-feilutò [Rabbì Moshè Zacuto: la vita e le opere], Tesi di Master presentata all’Università Ebraica di Gerusalemme, 1993. Cfr adesso anche M. Zacuto, L’inferno allestito. Poema di un rabbino del Seicentoi sull’oltretomba dei malvagi, a cura di M. Andreatta, Bompiani, Milano 2016
[79] Yom Tov Valvason, compose una raccolta di poesie sue e di suoi contemporanei, compreso Zacuto, intitolato Hed urim [Eco del fuoco], in occasione della fondazione del Talmud Tora dei tedeschi di Venezia. Il suo manoscritto originale è conservato ad Amsterdam presso la Bibliotheca Rosenthaliana, n. 432
[80] Su Yosevil vedi la poesia pubblicata da D. Bregman, in “Shirè hatuna me-et Rabbi Moshè Zacut”, [Poesie per matrimoni di Rabbì Moshè Zacut], in Peamim, 96 (2003), p.155 . Questo Yaakov Yosevil evidentemente di origine ashkenazita, insegnava al Talmud Tora di questa Nazione assieme a Leon da Modena, come quest’ultimo riporta nella sua autobiografia (R. Yehudà Ariè mi-Modena, Sefer Hayyè Yehudà, a cura di D. Carpi, Tel Aviv 1985, p. 68). Inoltre, Yosevil, curò la stampa del Tikkun dei shomerim laboker ashkenaziti a Venezia pubblicato dalla Bragadina nel 1700 (il cui frontespizio è riportato qui innanzi
[81] La raccolta delle poesie di Yaakov Frances fu pubblicata da Pnina Navè, Kol shirè Yaakov Frances, Jerusalem 1969
[82] Il diwan, cioè la raccolta di poesie di Immanuel Frances venne pubblicato da S. Bernstein, Diwan R. Immanuel Frances, Tel Aviv 1932. Tuttavia molte opere di questo sono tuttora manoscritte
[83] Min-Halleviyym, Medabber Tahpuchot, op. cit., p. 110-111. Vedi anche Navè, Kol shirè Yaakov Frances, op. cit., 265-268
[84] Circa la situazione sociale del ghetto di Roma, mi permetto di rimandare al mio volume, Una società dentro le mura (in corso di stampa)
[85] Vedi Lattes, Una società dentro le mura, op. cit. La lista delle compagnie operanti a Roma la si deduce dalla lista dei cosiddetti “offiziali”, cioè gli amministratori delle compagnie stesse che venivano eletti di anno in anno. Per questo argomento, vedi Lattes, Pinkas Kehillat Roma 1615-1695, op. cit.
[86] Vedi alla nota precedente
[87] Toaff, Ghetto Roma ba-meà ha-XVI , op. cit., p. 41
[88] Vedi quanto descritto nel mio volume Una società dentro le mura, op. cit.