Venerdì sera – BhK Donati – Milano
L’osservanza dello Shabbath è stata comandata ai Figli d’Israele assai prima dei Dieci Comandamenti. Nella Parashat Beshallach la Torah ci descrive il regime della manna nel deserto, che scendeva dal cielo ogni giorno della settimana all’infuori dello Shabbath, mentre il venerdì era disponibile una doppia razione per ciascun individuo. “E sarà nel sesto giorno prepareranno ciò che avranno portato (a casa) e sarà il doppio rispetto a quanto raccoglieranno ogni giorno… E avvenne che nel sesto giorno raccolsero pane doppio, due ‘omer a testa. E giunsero tutti i capi della Comunità e lo riferirono a Moshe. Moshe disse loro: E’ quanto H. aveva detto: domani sarà Shabbath consacrato a H. Infornate (oggi) ciò che avete da infornare, bollite (oggi) ciò che avete da bollire, mentre tutto ciò che rimane mettetelo in serbo fino a domattina” (Shemot 16,5 sgg.).
I versetti alludono a due differenti azioni da compiersi il venerdì. A quanto pare la manna si prestava a essere consumata cruda o cotta e chi la desiderava cucinata era avvertito che doveva metterla in forno o in pentola fin dalla vigilia: altrimenti sarebbe incorso nel divieto di cucinare di Shabbath. Ma la manna –e questa è la novità- doveva essere preparata il venerdì anche per essere mangiata cruda. I nostri Maestri derivano da questo versetto (“E sarà nel sesto giorno prepareranno – we-hekhinu – ciò che avranno portato”) l’importante principio halakhico della hakhanah (“preparazione”; Betzah 2b). Ciò che ha qedushah non può essere improvvisato: richiede una preparazione preliminare, sia pure simbolica. I giorni festivi hanno qedushah: pertanto vanno preparati. Nel cibo e in altre cose.
Il principio della hakhanah ha declinazioni diverse. 1) Preparare di venerdì per Shabbath è una Mitzwah a se stante e non semplicemente un hekhsher Mitzwah, cioè atto preliminare a un’altra Mitzwah. Ne consegue fra l’altro che è meglio provvedere da soli sebbene si abbia personale di servizio, perché trattandosi di una Mitzwah è preferibile non delegarla (mitzwah bo yotèr mi-bi-shluchò). 2) Occorre mettere simbolicamente da parte quegli oggetti che si intende adoperare di Shabbath pur non essendo di uso comune e che altrimenti per questo motivo sarebbero considerati muqtzeh (“messi da parte”, proibiti): in tal modo li si “prepara” all’uso. 3) Infine si intende il versetto nel senso di proibire l’inverso: se è vero che il venerdì (feriale) “prepara” per l’indomani (Shabbath, giorno sacro), è altrettanto vero che lo Shabbath non “prepara” per la domenica (feriale). Pertanto non si rifà il letto, né si rigovernano i piatti di Shabbath per Motzaè Shabbath (Shabbath 113a). Tutto ciò sebbene si tratti di azioni che di per sé sarebbero consentite di Shabbath: ma se compiute pensando di “portarci avanti” rispetto all’indomani, guasterebbero l’atmosfera del giorno festivo. Essendo per di più attività faticose e quindi slegate dallo spirito della festa, si permettono solo per garantire il regolare svolgimento della festa stessa.
Rav Chayim David ha-Levy di Tel Aviv dedica tre suoi Responsa al problema di chi ha da preparare un importante esame scolastico e vorrebbe dedicare a ciò del tempo anche durante lo Shabbath. E’ evidente che non si tratta qui di adoperare mezzi di scrittura o di video-scrittura: usare il computer e anche solo la penna o la matita sono azioni proibite di Shabbath tout court, come cucinare. Si tratta quindi di studio esclusivamente orale su cartaceo già predisposto. Posso dedicarmici, o ci sono controindicazioni? Dal momento che lo Shabbath è stato istituito affinché tutti indistintamente avessero un giorno alla settimana da dedicare allo studio della Torah, il primo problema è verificare se volgersi ad altre letture comprometta lo spirito della giornata festiva oppure no. La questione è già discussa dai Decisori medioevali. Maimonide scrive che di Shabbath è lecito leggere solo argomenti di Torah (Comm. alla Mishnah Shabbath 23,2), mentre altri permettono anche lo studio di testi e strumenti relativi ad altra sapienza, come l’astrolabio (Rashbà) e i libri di medicina (Nachmanide). Lo Shulchan ‘Arukh (Orach Chayim 307, 17) riporta in primis l’opinione più restrittiva di Maimonide, ma subito dopo aggiunge: “però c’è chi permette”. In base alle regole interpretative ogni volta che lo Shulchan ‘Arukh riporta la prima opinione in forma generale (stam) e la seconda introducendola con “ma c’è chi diverge”, la sua intenzione è di convalidare la prima come halakhah da seguire: nel nostro caso il divieto. E allora – domanda Rav ha-Levy – per quale motivo riporta anche la seconda? Per ammetterla in situazioni di emergenza (bi-sh’at ha-dechàq). Dal momento che “impedire al richiedente di studiare (oralmente) di Shabbath per l’esame gli recherebbe sofferenza e preoccupazione, possiamo permettergli di farlo basandoci sull’opinione di “chi permette”… purché tutte le sue azioni siano in Nome del Cielo” (‘Asseh lekhà Rav 1,36).
Nel secondo Responsum torna sull’argomento dal punto di vista della hakhanah. Abbiamo visto che di Shabbath non è lecito “preparare” nulla per un giorno feriale successivo e apparentemente anche lo studio in questione, essendo finalizzato a sostenere un esame scolastico durante la settimana entrante, rientrerebbe nella stessa logica. Esiste però un limite anche a questo rigore. Se si compie l’azione in modo da non dare a vedere che la si sta eseguendo pensando al giorno successivo (lo minkera milta), non rientra nel divieto della hakhanah. E’ il caso di chi vuole predisporre del vino di Shabbath per poterlo adoperare dopo Shabbath: una volta che è ancora giorno per cui si possa dire che lo fa perché ne ha avuto bisogno improvviso di Shabbath, la cosa è permessa (cfr. Chayyè Adam 153,6). “Allo stesso modo – conclude Rav ha-Levy – una volta che abbiamo già permesso lo studio profano per se onde evitare sofferenza e preoccupazione allo studente, non si incorre neppure nella questione della hakhanah”. Lo studio – scrive significativamente il Rav – non si fa mai per preparare un esame o qualcos’altro, ma va sempre considerato fine a se stesso. “Ogni studio che ciascuno affronta in qualsiasi istante va sempre a vantaggio delle sue conoscenze immediate e dal momento che mentre studia non dà a vedere che lo fa pensando all’esame dell’indomani feriale, è permesso. Altrimenti arriveremmo al punto di proibire a un Rabbino di studiare Torah solo perché il brano che legge gli serve per una lezione del giorno dopo…” (4, 31).
Ad ogni buon conto – aggiunge Rav ha-Levy in un terzo Responsum – è opportuno, terminato Shabbath, prendere nota delle ore trascorse sui libri di testo e, una volta superato l’esame, tornare a dedicare almeno altrettante ore che si sono perse nel frattempo allo studio della Torah. Meglio ancora – scrive rivolto allo studente – se “dopo gli esami ritaglierai un periodo da dedicare interamente agli studi sacri. In tal modo il tuo impegno sarà davvero completo (anche gli studi profani sono utili per meglio comprendere la Torah come scrive il Maimonide e per il tuo sostentamento futuro) e così tutte le tue azioni saranno in Nome del Cielo” (4, 46).