Nella parasha di Wayggash Yehudah, con il proprio atteggiamento, proponendosi come servo al posto di Byniamin, diviene il simbolo vivente dello spirito di sacrificio. Con il proprio gesto Yehudah porta Yosef ad uscire allo scoperto e rivelarsi ai propri fratelli, ponendo fine ai patimenti di Ya’aqov, che avevano trovato il proprio culmine nella scomparsa del figlio tanto amato.
La vendita di Yosef è di certo l’avvenimento più difficile da digerire in un’esistenza piena di dolore ed angoscia, e al contempo costituisce il punto più basso nei tormentati rapporti fra i figli di Ya’aqov.
Nonostante ciò, proprio questa rovinosa caduta, l’azione rivolta contro un proprio fratello e la mancanza di rispetto nei confronti del padre, si rivela l’occasione per avviare un processo di risanamento, pieno di pentimento, introspezione, riparazione e riconoscimento delle proprie colpe.
Yehudah, che aveva avuto un ruolo tanto importante nella vendita di Yosef, è quello che intraprende questo difficile processo, mostrando una grande forza d’animo. Ciò gli conferirà una superiorità nei confronti dei fratelli, che sarà coronata nella benedizione che in punto di morte Ya’aqov gli impartirà (Gen. 49,10): “Lo scettro non si dipartirà da Giuda, né il bastone del comando di fra i suoi piedi”. Il Ramban sosterrà che l’acquisizione del potere da parte degli Asmonei, molti secoli dopo, costituisce una violazione in piena regola di quanto predisposto da Ya’aqov.
La Toseftà nel trattato di Berakhot riporta una interessante discussione fra R. ‘Aqivà e quattro altri maestri, allievi di R. Tarfon sull’origine del potere di Yehudah. Il punto di partenza è l’affermazione di R. Tarfon, che lega questa circostanza al riconoscimento della propria colpa da parte di Yehudah nell’episodio di Tamar.
I quattro allievi, El’azar ben Matià, Chaninà ben Chakinai, Shim’on ben ‘Azai e Shim’on ha-timnì, si riunirono per discutere l’affermazione del maestro.
R. Aqivà assistette a questa discussione e chiese loro: perché Yehudah meritò di ottenere il regno? Gli risposero: perché confessò in occasione dell’episodio di Tamar. Disse loro: forse si dà una ricompensa per una trasgressione?
Per questo gli allievi si trovarono a dover cercare un altro motivo, e proposero quello del salvataggio di Yosef dalla morte. R. Aqivà rispose: il salvataggio serve ad espiare per la vendita.
Dissero allora che era per la sua modestia, quando si propose come schiavo al posto di Byniamin. R. Aqivà disse che si trattava di un garante (‘arev) e doveva fare esattamente così, perché si era impegnato a comportarsi in questo modo.
Sconfitti, chiesero a R. Aqivà cosa ne pensasse, e disse loro che il motivo era che Yehudah aveva santificato il Nome divino. Quando le tribù si trovarono di fronte al mar Rosso, si rifiutarono di entrare tutte, sino a quando la tribù di Yehudah si gettò per prima in mare, come è scritto (Sal. 114,1-2): “Quando Israele uscì dall’Egitto e la famiglia di Giacobbe da in mezzo al popolo che parlava una lingua straniera, Guida divenne consacrato al Signore”… e per questo “Israele Suo dominio”.
R. Tarfon non aveva dato spiegazione della propria affermazione e le domande incalzanti di R. ‘Aqivà non fanno altro che portare alla luce il senso delle sue parole. In fondo l’atteggiamento di Yeuadah nei confronti di Tamar non è certo da lodare, perché era stato lui a portarla in quella situazione!
Anche la vendita di Yosef non è un gesto di poco conto; successivamente la Torah dirà (Deut. 24,7): “Qualora si trovasse un uomo che rubi una persona dei suoi fratelli, dei figli di Israele e trattandola come uno schiavo, la venda, quel ladro sarà messo a morte”.
L’umiltà è una componente fondamentale per un re, come verrà detto esplicitamente nel libro di Devarim (Deut. 17,20): “affinché il suo cuore non si insuperbisca verso i suoi fratelli”, ma anche qui, a ragione, R. ‘Aqivà ricorda che Yehudah aveva assunto un impegno ben preciso verso il padre.
R. Aqivà rivela agli allievi che il compito di un re è anzitutto quello di mostrare fiducia in H. e guidare il popolo in guerra. La vendita di Yosef rappresenta esattamente il contrario, il dimostrarsi pronti a lasciare il proprio fratello andare verso l’ignoto, disinteressandosi completamente del suo destino. Una tale bassezza non può non avere conseguenze, e Yehudah perde la moglie e due figli, così come avvenne a Naomi all’inizio del libro di Ruth, che perse il marito Elimelekh ed i due figli, per avere abbandonato la propria terra per via della carestia.
Yehudah trova la forza per risalire, in primo luogo riconoscendo la propria colpa nei confronti di Tamar, poi assumendosi la responsabilità di riportare Byniamin sano e salvo, e per ultimo, assumendosi la responsabilità per tutte le tribù di Israele nell’apertura del Mar Rosso.
I discendenti di Yehudah avranno questa medesima caratteristica: David, quando affronterà Goliat, verrà accusato dal fratello Eliav di avere abbandonato il gregge per assistere alla guerra. Il discorso di Eliav è sensato; chi abbandona il gregge non può osare di sfidare Goliat, o, come dicono i chakhamim, “non tutti quelli che vogliono prendere il nome, possono prenderlo”. La mancanza di Eliav è stata però quella di non verificare i fatti. Infatti David si era recato dal fratello su indicazione del padre, ed aveva lasciato il gregge in mano ad un sorvegliante. Non solo: per salvare il gregge David metterà in pericolo la propria vita, affrontando un leone e un orso. Da questo sentimento nasce la spinta per affrontare Goliat, assumendosi la responsabilità per tutte le tribù di Israele.
Il nome di Yehudah racchiude due caratteristiche indispensabili per un re, che si riassumono in una parola, hodaah, il ringraziamento, ma anche il riconoscimento della verità. Il libro dei Tehillim, scritto da un discendente di David, unisce in maniera mirabile queste due predisposizioni: David ringrazia instancabilmente H., ma al contempo riconosce i propri errori. Questi sono gli aspetti principali che caratterizzano i re di Israele, nella loro profonda umanità.