La Torah dedica molto spazio ai discorsi fra i patriarchi e le matriarche. E’ interessante vedere come vi siano approcci molto differenti riguardo al desiderio di avere dei figli. Per le matriarche è un desiderio fortissimo, mentre dalle parole dei patriarchi non sembra trasparire. Il codice, che viene trasmesso di generazione in generazione, da Sarah, a Rivqah, e infine a Rachel, è il termine “anokhì”, che indica l’intima essenza di una cosa. Nella parashah di Lekh Lekhà Sarah discute animatamente con Avraham, per via dell’atteggiamento sprezzante di Hagar dopo che era rimasta incinta di Yshma’el.
Sarah disse ad Avraham (Ber. 16,5) “Sei tu la causa delle insolenze che sopporto. Io stessa (anokhì) ti ho dato la mia schiava come moglie, ma da quando si è accorta di essere incinta mi tratta con disprezzo; sia giudice il Signore fra me e te”. Rivqah, quando aspettava ‘Esav e Ya’qov, che si scontravano nel suo ventre, si chiede (Ber. 25,22) “se è così, perché io (anochi)?”. Il Ramban spiega; se questo parto non andrà a buon fine, che senso ha vivere? Rachel chiude la serie. Disse infatti a Ya’aqov (Ber. 30,1): “dammi figli se no io (anokhi) muoio.
Al contrario delle matriarche, nei patriarchi non notiamo una preoccupazione particolare. Non pregano con insistenza H. affinché si realizzi la promessa di una discendenza. L’unico dei tre a pregare, evidentemente su richiesta della moglie, e solo dopo vent’anni di matrimonio, è Ytzchaq all’inizio della parashah di Toledot.
A cosa è dovuta questa differenza di atteggiamenti?
I patriarchi sapevano bene di essere parte di un disegno divino, di essere destinati a generare un popolo che avrebbe dovuto istruire il mondo intero su come comportarsi. Visto che questo era il loro destino, H. avrebbe fatto in modo che tutto si realizzasse a tempo debito, e di certo non era consentito loro forzare la mano. Affinché Avraham generasse un figlio che potesse seguire la sua strada era necessario molto tempo, perché Avraham e Sarah si allontanassero dall’idolatria imperante nella terra da cui provenivano. Il segno che il momento era giunto fu il cambio di nome di Avraham e Sarah ed il nuovo patto sancito con la mitzwah della milah. Solo dal momento in cui Avraham fu circonciso, Yttchaq si sarebbe potuto far carico di questo nuovo patto. La scelta di Sarah di anticipare i tempi, affidando Hagar ad Avraham non portò i frutti sperati, arrivando alla cacciata di madre e figlio, che ben presto abbandonarono la strada che si sperava che intraprendessero.
Per Yzchaq le cose non andarono meglio: all’inizio della parashah di Toledot si insiste molto sulle origini di Rivqah (Ber. 25,20) “figlia di Bethuel arameo di Paddan-Aram, e sorella di Labano arameo esso pure”. Anche per eliminare questa influenza nefasta serviva del tempo, e la preghiera di Ytzchaq, subito esaudita da H., portò alla nascita di ‘Esav. Il legame fra Lavan ed ‘Esav viene esplicitato in un verso misterioso alla fine della parashah di Toledot, quando Ya’acov deve fuggire per salvarsi dalla furia di ‘Esav (Ber. 28,5): “Isacco congedò Giacobbe ed egli si recò in Paddan-Aram da Labano figlio di Bethuel arameo fratello di Rebecca madre di Giacobbe ed Esaù”.
Ya’aqov reagì rispondendo in maniera piccata alla richiesta di Rachel (Ber. 30,2): “Giacobbe si adirò contro Rachel e le disse «Son io forse al posto di D., che ti ha negato la fecondità?», ma d’altra parte cedette, quando Rachel gli chiese di unirsi con Bilah, e lo stesso fece quando Leah lo fece unire con Zilpah. I figli delle ancelle ebbero un ruolo centrale nella vendita di Yosef, come leggeremo all’inizio della parashah di Wayeshev.
L’atteggiamento dei patriarchi, che vedevano nella nascita dei figli la realizzazione del compito che era stato affidato loro, spiega una difficoltà nel trattato di Berakhot (7a): “ha detto R. Yochanan a nome di R. Shim’on Bar Yochai: dal giorno in cui il Santo, Benedetto Egli sia, ha creato il Suo mondo, non ci fu un uomo che ringraziò H, finché non venne Leah, che lo ringraziò (quando nacque Yehudah), come è detto (Ber. 29,35) «questa volta rendo omaggio al Signore». I patriarchi pensavano che tutto quello che avevano ricevuto da H. non fosse altro che uno strumento per riuscire nel loro compito, e per questo non vedevano la necessità di ringraziare H. La stessa Leah per i primi tre figli non ringraziò, perché quello era il suo “compito”, generare tre figli, un quarto di dodici, assieme a Ya’aqov. Il quarto figlio è però un dono di H., e per questo bisogna ringraziarLo.
L?approccio di Avraham traspare con chiarezza dalle parole di Eli’ezer quando riporta a Betuel e a Lavan le vicissitudini che lo avevano portato da loro (Ber. 24,40): “ed egli (Avraham) a me: il Signore, dinanzi al quale io procedo, manderà con te un Suo messo sì che il tuo viaggio avrà esito felice…”. Le parole di Avraham erano però differenti (24,7): “il Signore, D. del cielo che mi prese dalla mia casa paterna e dal mio paese natio, che mi parlò e mi giurò dicendo: «alla tua stirpe darò questa terra», Egli stesso manderà un Suo messo avanti a te”. Eli’ezer vuole attribuire un merito ad Avraham, per il quale è giusto ricompensarlo. Avraham dice invece di non aver fatto nulla, se non seguire H. nelle Sue iniziative. Anche trovare una moglie per Ytzchaq fa parte del Suo disegno, e per questo ciò avverrà di certo.
I patriarchi non hanno mai chiesto di essere ricompensati per quanto hanno fatto, ma hanno solo voluto essere inviati fedeli di H., ed il loro merito è rimasto pertanto a disposizione dei loro discendenti.