I dirigenti delle comunità italiane hanno l’abitudine di piangere di fronte alla crisi in cui versano. L’ argomento sollevato più frequentemente è quello del decremento della popolazione ebraica, problema che coinvolge tutto il mondo ebraico occidentale e non sarò certo io a trovare o a proporre soluzioni miracolose. Voglio qui riportare solo alcuni esempi di quanto non si faccia e si potrebbe fare per fare quello che altrove è chiamato “outreach”, cioè ricerca e accoglienza di nuovi iscritti.
Dopo aver lasciato la direzione del DAC, circa otto anni fa presentai al presidente dell’Unione due progetti, cui avevo dato il titolo “La ricerca dell’ebraismo sommerso”. Il progetto partiva da due osservazioni:
la prima, il numero delle dichiarazione Ottopermille fatte nelle singole regioni, anche in quelle in cui la presenza ebraica era inesistente o quasi, era notevole e non era minimamente giustificato neanche da una presenza ebraica seppur minima;
la seconda, il fatto che ero spesso venuto a contatto con persone che conservavano ancora tradizioni di origine ebraica, pur non essendo ebrei e manifestando qualche nostalgia in proposito.
La proposta consisteva nella creazione di un gruppo di ricerca composto da rabbini, antropologi, storici ecc cui affidare una ricerca sul campo a partire dalle regioni del sud per cercare di individuare residui di tradizioni ebraiche. Lo scopo non doveva essere quello di cercare nuovi adepti (anche se non poteva essere escluso), quanto quello di individuare gruppi di persone che potevano condividere con la comunità ebraica situazioni difficili e soprattutto diffondere la cultura ebraica e l’informazione sugli ebrei e su Israele, uno dei pochi strumenti utili per combattere il pregiudizio antisemita. Insomma lo scopo iniziale era anche quello di creare una fascia di persone che manifestassero anche pubblicamente la loro amicizia verso la Comunità ebraica e Israele, cosa che magari facevano in silenzio tramite la dichiarazione Ottopermille.
Che il progetto fosse realistico è stato dimostrato da quanto il sottoscritto ha realizzato in un periodo di tempo relativamente breve in Puglia e a Trani in particolare, con l’aiuto di poche persone motivate e da quanto sta accadendo oggi in Sicilia. Proprio nel periodo in cui scissi quel progetto entrai in contatto con il medico e rav Stefano Di Mauro e lo andai a trovare a Miami negli Usa dove egli risiedeva e dirigeva un Beth hakeneseth (in America è come dire era il rabbino di una comunità). Visitai la sua sinagoga e la sua casa ed ebbi così l’occasione di verificare di persona che aveva una impostazione ortodossa. Rav Di Mauro mi disse allora che, una volta raggiunta la pensione, sarebbe tornato in Sicilia per cercare di fare riemergere l’ebraismo sotterraneo. E’ quanto egli sta cercando di fare. Tornato in Italia, lo invitai a un colloquio presso l’Unione (era presente tra gli altri anche il presidente dell’Ucei). In quell’occasione presentò i documenti che ne accreditavano la qualifica, parlò delle sue idee e dei suoi progetti, ma il colloquio non ebbe alcun seguito. Successivamente lo incontrai in Sicilia nel corso di una mia visita e lo invitai a Trani in occasione di un fine settimana per riprendere i rapporti con lui. Qualche settimana fa abbiamo letto tutti su Venerdì di Repubblica (pp. 32 e 33 del 4 giugno 2010) che, nonostante sia stato ignorato dalle istituzioni ebraiche nazionali e locali (leggi la Comunità di Napoli), rav Di Mauro ha continuato nella sua attività: ha aperto una Sinagoga, ha raccolto intorno a sé una ventina di persone che sta preparando alla conversione, che verrà realizzata secondo quanto da lui dichiarato da rabbini ortodossi di Miami.
Quanto sta accadendo in Sicilia ha altri precedenti: Eliahu Birnbaum (membro del Tribunale rabbinico a Gerusalemme e rabbino dell’associazione Shavè Israel, che si occupa proprio della ricerca di discendenti di ebrei (marrani, discendenti delle tribù scomparse) mi ha comunicato che in Colombia un gruppo di marrani ha chiamato dei rabbini da Miami e ha formato una comunità autonoma. Non ho elementi per giudicare quanto stia accadendo in Sicilia, comunque il fenomento dovrebbe preoccupare e occupare i rabbini italiani e l’Unione delle Comunità.
A questo fenomeno, sempre nel citato articolo, viene raccontato quanto fatto dalla rabbinessa Barbara Aiello in Calabria. Che in Calabria ci fossero dei discendenti di ebrei marrani, era noto. Rav Elio Toaff narra che una volta fu chiamato da rabbini belgi per verificare se dei minatori calabresi che si erano presentati alla comunità di Liegi erano veramente ebrei. A Rav Toaff non risultava ci fossero ebrei in Calabria, ma, fatte le necessarie verifiche, concluse che erano discendenti di ebrei e procedette alla loro conversione (queste persone si trovano oggi in Israele). Nonostante le molte cose che ci dividono da Barbara Aiello, le va riconosciuto il merito di avere cercato e trovato, a quanto pare, decine di famiglie di origine ebraica. Il tipo di ebraismo che lei propone non risolve il problema del ritorno di queste persone all’ebraismo: è stata proprio l’adesione alle tradizioni ebraiche a permettere tanta resistenza alle lusibghe della societ’ cristiana circostante. Pertanto, a mio parere, la proposta di ritornare a una forma edulcorata di ebraismo ha poco futuro. Tuttavia, ignorare questo fenomeno è quanto meno rischioso: penso ci sia il dovere di recuperare queste “scintille” sparse di Israele. Anche se penso non ci debba fare molte illusioni sui risultati che si otterranno, ritengo sia un atto dovuto per rispondere a tutte quelle persone, che destinano il proprio Ottopermille all’Unione delle Comunità e che forse sono discendenti di quei “resti d’Israele”, che aspettano di essere redenti, nuovamente accolti e reintegrati nel popolo d’Israele.