L’orologio collocato “sulla vetta della torre antica” di Amatrice si è fermato, ma non alle 3.36, l’ora in cui il terremoto è cominciato, come avremmo potuto aspettarci. Le sue lancette segnano invece le 3,38: due minuti più tardi. Se teniamo conto del fatto che la scossa sismica, in base al rilievo degli strumenti, si è protratta per 142 secondi, comprendiamo ciò che è accaduto: l’orologio ha fatto del suo meglio per resistere, continuando il proprio lavoro, per tutta la durata della scossa stessa finché stremato, ha dovuto arrendersi e si è fermato. L’orologio di Amatrice ci insegna che il tempo altro non è che la capacità di resistere al male.
La Torah, aggiungo io, è strettamente legata al tempo. Alla fine della Parashah odierna, Reeh, troviamo nuovamente la prescrizione delle festività annuali che ci danno il senso della ciclicità del tempo che passa. Il leit motiv che le accomuna tutte, a partire da Pessach, è il ricordo della schiavitù d’Egitto. La Torah è un codice di istruzioni su come resistere al male.
Analizzando il problema del male nel mondo, Maimonide lo descrive essenzialmente non come una realtà a se stante, bensì come mancanza di bene, privazione. “Si riconoscerà con certezza –scrive- che non si può affermare a proposito di D. che Egli sia la causa diretta del Male, cioè che D. si proponga esplicitamente di fare il Male. Ciò non può essere! Al contrario, tutte le Sue azioni costituiscono il bene assoluto, giacché Egli non crea che l’essere e tutto l’essere è il bene. Tutti i mali sono privazioni, cui non si collega alcuna azione, se non nel senso… che D. produce la materia con la natura che le è propria, perennemente associata alla corruzione: il che la rende causa di ogni corruzione e di ogni male” (trad. Rav Laras). Maimonide individua tre specie di mali nel mondo, due delle quali sono sotto la diretta responsabilità dell’uomo: i mali che gli uomini si infliggono vicendevolmente come la tirannia e le malattie, che in gran parte sarebbero la conseguenza dei nostri vizi ed eccessi. Ma c’è un’ulteriore categoria di mali che, come Maimonide ammette, sopravvengono all’uomo per la natura stessa della materia, che è soggetta a nascita e corruzione: un esempio di questa categoria che non dipende dal nostro comportamento sono, nelle sue parole, proprio gli sprofondamenti del suolo (Moreh Nevukhim 3, 10-12).
C’è modo di intervenire in tutto ciò? Certamente. Lo spunto viene ancora una volta dalla nostra Parashah, nel capitolo che precede quello sulle feste. Si parla delle decime, un tema che aveva applicazione pratica solo ai tempi del Bet ha-Miqdash. La prima decima (ma’asser rishon) andava annualmente destinata ai Leviti, che non avevano un territorio dal quale derivare benefici materiali ma erano legati per il loro sostentamento alle donazioni altrui. La seconda decima (ma’asser shenì) era dovuta in alcuni anni al mantenimento economico della città di Yerushalaim. Gli agricoltori erano tenuti a portare un decimo dei loro frutti a Yerushalaim e consumarli entro le mura. Salvo il caso in cui la loro residenza fosse molto distante dalla città, in base a criteri stabiliti dalla Tradizione Orale: in tal caso avevano il permesso di “riscattare la decima” trasferendo la qedushah dalla frutta a una somma di denaro corrispondente. Si sarebbero impegnati a spendere quest’ultima a Yerushalaim.
La Torah scrive testualmente: “Se il cammino sarà troppo lungo per te così che tu non possa trasportare quella decima e perché il luogo dove l’Eterno tuo D. avrà scelto di far risiedere il Suo Nome sarà molto distante da te, anche in considerazione del fatto che il S. tuo D. ti avrà benedetto (con prodotto troppo abbondante per essere trasportato), allora la riscatterai in cambio di denaro coniato e stringendolo in mano andrai al luogo che l’Eterno tuo D. avrà scelto. Impiegherai il denaro per comprare tutto ciò che il tuo animo desidera…” (Devarim 14,25 sgg.).
Il No’am Elimelekh dà di questo brano un’interpretazione parzialmente allegorica. Se il Bet ha-Miqdash è stato distrutto e non hai pertanto la possibilità di raggiungerlo portando là le tue decime e pur tuttavia il tuo prodotto è abbondante, sappi che forse proprio questo deve spingerti a riflettere: non pensare solo al denaro che stringi in mano! Dàgli un conio, dàgli una forma sacra, dàgli una qedushah! Dedica quel denaro a investimenti che lo vedano impiegato non al servizio di ciò che il corpo desidera, bensì di “ciò che l’anima desidera”. Risparmia cifre ai piaceri della vita e destinale in tzedaqah, al servizio del prossimo che soffre; al servizio, nel nostro caso, delle vittime del terremoto.
Le grandi catastrofi naturali non hanno forse una spiegazione causale ma hanno certamente una spiegazione finale: ci vogliono insegnare i valori dell’umana solidarietà intesa, in termini ebraici, come tzedaqah e ghemilut chassadim, che è ancora più grande. La tzedaqah, insegnano i nostri Maestri, si pratica con il denaro, mentre la ghemilut chassadim con il denaro e con l’aiuto di tutta la persona. La tzedaqah è verso i vivi, mentre la ghemilut chassadim è indirizzata tanto verso i vivi che verso i morti. Quando il Bet ha-Miqdash fu distrutto e non fummo più in grado di portarvi né decime, né sacrifici, Rabbì Yehoshua’ piangeva amaramente strappandosi le vesti in segno di lutto ed esclamava: “Maledizione a noi, perché ecco è in rovina il luogo dove i peccati di Israel sarebbero stati perdonati”. Rabban Yochanan ben Zakkay lo consolava: “Non essere troppo triste. Ora abbiamo un altro modo per farci perdonare i nostri peccati: la ghemilut chassadim”. D’ora innanzi nelle nostre donazioni il nostro prossimo avrebbe in un certo senso preso il posto del S.B.: il nostro prossimo in quanto creato a immagine Divina.
Ora comprendiamo anche la relazione esistente fra la prescrizione delle decime e quella delle feste annuali, fra il tempo e il denaro nella Parashah odierna. Il tempo è denaro, sentenzia un proverbio: mettiamo le nostre fortune economiche al servizio di chi resiste al Male. E che il S.B. ci benedica e ci protegga tutti.