Questa derashàh è dedicata alla memoria di Rav Gustavo Calò, di cui ricorrono in questi giorni 60 anni dalla scomparsa. Rav Gustavo Calò, nasce a Firenze il 29.8.1879. Riceve il titolo Rabbinico “Semikhà” al Collegio Rabbinico Italiano di Firenze. Consegue prima il titolo di “Maskil” nel 1902-1903 e poi quello di ”Chakham ha-Shalem”. È Rabbino di Verona nel 1907, di Corfù fino al 1918, di Bengasi, di Pitigliano fino al 1924, di Mantova dal marzo 1927 al 1943 e di Vercelli dal 1946 al 1956. Muore a Vercelli il 1.5.1956[1].
Come è risaputo, Shabbat e Yom tov rappresentano due tipi differenti di Qedushàh. Anche se di Shabbat siamo tenuti a recitare il Qiddush per santificare lo Shabbat, l’essenza della giornata è tale da non avere bisogno del nostro intervento per essere consacrata. Ciò risulta evidente dalla berakhàh che chiude il Qiddush: H. è meqaddesh ha-Shabbat, D. santifica il Sabato. Noi non c’entriamo. Yom tov costituisce una declinazione differente della santità nel tempo: la sua venuta, in alcune date specifiche, è determinata dal Sinedrio e dalla collettività ebraica che fissano il Capo-mese. Ciò si riflette nella berakhàh che chiude il qiddush di Yom tov: D. è meqaddesh Ysrael wehazemannim, Colui che consacra Israele e questo a sua volta santifica dei tempi specifici.
Il Meshekh Chokhmàh ritrova gli stessi concetti nella distinzione fra shemittàh e Yovel, oggetto della parashàh di Behar Sinai. Il midrash (Torat Kohanim) nota che per la shemittàh la Toràh utilizza i medesimi termini usati per lo Shabbat: entrambi sono Shabbat laH. Un aspetto evidente che li accomuna è quello del riposo; come noi, i nostri servi e i nostri animali riposiamo di Shabbat, così ogni sette anni la terra riposa, secondo il Kuzarì per ricordarci che la terra appartiene ad H., e per questo è vietato vendere terreni in Israele in modo definitivo. Rambam intende l’anno sabbatico come un sistema per far riposare la terra, per accrescere il prodotto negli anni successivi. Il Siftè Chakhamim ritiene anzi che chi mette in pratica tali regole debba escludere il beneficio per la terra, ma debba farlo esclusivamente per H. Altri commentatori dissentono dalla visione del Rambam, in quanto riduttiva, perché non spiegherebbe vari aspetti della mitzwàh. Ad esempio il Kelì Yaqar crede che lo scopo sia quello di infondere fiducia in H., raffrontandosi alla terra di Israele in maniera completamente differente rispetto alle altre terre. Il Ramban scrive che dietro le parole Shabbat laH. è nascosto uno dei grandi misteri della Toràh. Nella sua visione dietro questa mitzwàh è celata una delle manifestazioni più eccelse nella nostra vita religiosa. Nello Shabbat riconosciamo intuitivamente i sette giorni della creazione, mentre l’anno sabbatico richiama l’architettura della storia del mondo, che secondo la tradizione consta di seimila anni. Per questo, prosegue il Ramban, il mancato rispetto di queste regole porta la terra a rigettarci da essa, come leggiamo nella parashàh di Bechuqqotai, che, dopo che la Toràh ci ha illustrato una condizione ideale, quella dell’anno sabbatico e del giubileo, ci riporta alla dura realtà. Il Ramban tuttavia, essendo nato nella golàh nel sesto millennio, corrispondente al sesto giorno della creazione in cui fu creato l’uomo, che è quello che stiamo vivendo anche noi, sa bene che sarà quello che sarà caratterizzato dalla venuta del Mashiach, e che non tutto è perduto.
Shabbat e anno sabbatico, rappresentando il medesimo concetto, nella parashàh di Mishpatim, sono accostati. La qedushàh dell’anno sabbatico è indipendente da noi. Anche in assenza di un nostro intervento, con l’arrivo del settimo anno l’agricoltore deve interrompere le attività agricole nel suo campo. Anche se il creditore non è riuscito ad annullare il credito che vanta nei confronti di un altro, il debito è comunque estinto. Il Meshekh Chokhmàh individua un ulteriore accenno interessante: il ciclo dell’anno sabbatico determina l’elargizione alternativa della seconda decima, che riguarda il primo, il secondo, il quarto e il quinto anno del ciclo, o della decima da destinare ai poveri, propria del terzo e del sesto anno. Confrontando questo ciclo con la narrazione della creazione del mondo, il terzo ed il sesto giorno hanno una particolarità, poiché sono gli unici giorni in cui è detto “wa-yar Eloqim ki tov – e il Signore vide che era cosa buona”, e negli anni corrispondenti dobbiamo beneficare il nostro prossimo.
Lo Yovel invece è paragonabile allo Yom tov. La Toràh infatti dice “consacrerete il cinquantesimo anno”. Come per la fissazione del capo-mese, dove il termine “lakhem – per voi” era centrale per determinare la natura del nostro calendario, anche per lo Yovel troviamo lo stesso termine – “santo sarà per voi”. R. Tzaddoq ha-kohen di Lublino scrive che noi non abbiamo la capacità di fissare uno shabbat, ma solo yamim tovim, chiamati shabbaton, un piccolo Shabbat. L’unico giorno di mo’ed ad essere in un certo senso shabbat è Kippur, che è Shabbat shabaton e corona un ciclo di sei giorni nell’anno costituito da due giorni di Pesach, Shavuot, Rosh ha-shanàh, Sukkot e Sheminì ‘Atzeret. L’aspetto centrale dello Yovel è la liberazione degli schiavi, allo stesso modo in cui i nostri mo’adim sono “zekher litzyiat Mitzraym – ricordo dell’uscita dell’Egitto”.
In questo modo la terra di Israele riunisce entrambi i tipi di Qedushàh, quella propria dello Shabbat e quella di Yom tov. Ha una sua qedushàh intrinseca, ma affinché questa sia completa, è necessaria una partecipazione attiva.
[1] Informazioni tratte dal sito rabbini.it