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Messilat Yesharim, Rabbi Moshe Chaim Luzzatto, traduz.e note di Ralph Anzarouth – Commento di Rav Di Porto
Dice l’autore: non ho redatto questo libro[1] per insegnare alle persone qualcosa che non sanno, bensì per ricordare loro ciò che già sanno e di cui hanno una vasta conoscenza[2]. Infatti, il lettore vedrà che la maggior parte delle mie affermazioni contengono solamente idee già note alla maggioranza delle persone e sulle quali esse non nutrono alcun dubbio. Tuttavia, così come sono risapute e vengono considerate veritiere, allo stesso modo vengono ignorate e spesso dimenticate[3].
Perciò, l’utilità di questo libro non è di leggerlo una volta, poiché è possibile che alla prima lettura il lettore attento trovi poche novità rispetto a quanto già sapeva. Invece, il beneficio principale deriva dal ripasso costante[4], che riporterà alla sua memoria quelle nozioni che la gente ha una tendenza naturale a dimenticare e ciò inculcherà nel suo cuore il dovere da lui negletto[5].
E se rifletti alla realtà odierna nella maggior parte del mondo, ti accorgi che la maggioranza delle persone dal ragionamento più svelto e intellettualmente argute dedicano la maggior parte delle loro riflessioni e osservazioni alle finezze della saggezza e alle profondità della riflessione, ognuno secondo il suo talento intellettuale e la sua inclinazione naturale. Infatti, alcuni si dedicano con grande impegno alle ricerche nel campo del creato e delle scienze naturali, altri unicamente all’astronomia e all’ingegneria, altri ai mestieri artigianali, altri ancora preferiscono concentrarsi sulle cose sacre, cioè lo studio della Santa Torà. Di questi ultimi, alcuni si soffermano sui ragionamenti di Halakhà 1, altri sul Midrash, altri sulle decisioni legali, ma pochi di loro si trovano nel gruppo di chi dedica le sue osservazioni e i suoi studi ad argomenti che riguardano il perfezionamento del servizio divino [da parte dell’uomo], l’amore di D-o, il timore di D-o, l’attaccamento a Lui e tutti gli elementi propri della devozione.
Questo non avviene perché queste cose non siano importanti per loro: infatti, se li interrogassimo al riguardo, ognuno di loro ci direbbe che si tratta di un principio fondamentale e che non si può nemmeno immaginare un vero saggio che non abbia questi concetti chiari in mente, e che il motivo per il quale non si occupano molto di questo argomento è che si tratta di cose molto note e a loro evidenti. Perciò non vedono la necessità di spendere molto tempo nell’esplorazione di quei concetti. Così solo le menti non particolarmente fini e anzi quasi grezze sono quelle che continuano lo studio di questi argomenti e la lettura dei libri che li trattano; sono loro che vediamo applicarsi su tutto ciò senza scostarsene, al punto che di solito quando si vede qualcuno compiere un atto di devozione, non ci si può trattenere dal sospettarlo di essere uno stupido[6].
Eppure gli effetti di questa abitudine sono deleteri sia per chi è saggio sia per chi saggio non è, perché a tutti loro farà difetto la vera devozione e sarà difficile trovarla altrove: per i saggi, a causa della scarsa attenzione che le hanno dedicato; per i meno saggi, a causa della scarsa comprensione che ne hanno, al punto che molti pensano che la devozione richieda la recitazione di numerosi salmi, lunghissime confessioni, digiuni estenuanti e immersioni nel ghiaccio e nella neve, tutte cose che sfuggono alla ragione e che la mente non accetta. Invece la vera devozione, gradita e apprezzata, è lontana dalla nostra immaginazione, come è ovvio (Talmud Bavli, trattato Shevuot, 41b): “Ciò che non si trova davanti all’uomo è lontano dalla sua mente”. E sebbene le premesse e le basi della devozione siano già ancorate nel cuore dell’uomo retto, qualora egli non se ne occupasse vedrebbe i loro dettagli senza riconoscerli, passerebbe davanti a loro senza accorgersene.
Guarda, gli elementi che riguardano la devozione e i concetti di timore di D-o, amore di D-o[7] e purezza del cuore non sono radicati nell’uomo, perché se lo fossero non ci sarebbe bisogno di strumenti per acquisirli: ognuno li troverebbe dentro di sé, così come si trovano i riflessi naturali quali il sonno, il risveglio, la fame, la sazietà e tutti gli altri riflessi radicati nella nostra natura. Invece, è certo che tutti hanno bisogno di strumenti e di stratagemmi per acquisirli; e non mancano nemmeno gli ostacoli che li allontanano dall’uomo né mancano le soluzioni per evitare quegli ostacoli. Se dunque così stanno le cose, come può non essere necessario dedicare del tempo a questo studio approfondito per verificare questi elementi e per capire il modo di acquisirli e di conservarli[8]? Da dove verrà questa saggezza nel cuore dell’uomo, se egli non va a cercarsela?
E poiché ogni saggio è perfettamente conscio della necessità di servire D-o in modo perfetto e dell’obbligo essere puri e integri, perché altrimenti [il servizio divino] non viene accettato e anzi è disprezzato e detestato, come è detto (Primo Libro delle Cronache 28, 9): “Perché Hashem sonda tutti i cuori e capisce la tendenza di tutti i pensieri”, cosa risponderemo allora nel giorno del rimprovero 2, se avremo negletto questa introspezione e trascurato un nostro dovere così essenziale, la base di ciò che Hashem nostro Signore ci richiede? Com’è possibile che dedichiamo le nostre fatiche e i nostri sforzi intellettuali a studi che non abbiamo nessun obbligo di compiere, a ragionamenti che non producono nessun beneficio e a leggi che non ci riguardano[9], mentre invece abbandoniamo i nostri immensi doveri verso il nostro Creatore alle abitudini e al compimento istintivo dei precetti 3? Se non osserviamo e non esaminiamo quale sia il vero timore di D-o e quali siano le sue derivazioni, come potremo scampare alle vanità di questo mondo che lo cancellano dai nostri cuori? Esso verrà dimenticato e smarrito, anche se siamo coscienti della sua necessità! E come si arriva all’amore di D-o, se non ci si sforza di radicarlo nel proprio cuore attraverso tutti gli strumenti che a esso conducono? Da dove arriveranno nel nostro spirito l’attaccamento e l’ardore per il Signore benedetto e per la Sua Torà, se non ci soffermiamo sulla Sua grandezza e sulla Sua immensità, che susciteranno questo attaccamento nei nostri cuori? Come potrà il nostro pensiero diventare puro se non cercheremo di ripulirlo dalle menomazioni che la nostra natura corporea gli infligge? Chi raddrizzerà, chi riparerà i tratti del nostro carattere, se non presteremo loro attenzione e non li esamineremo nei minimi particolari? Se invece osservassimo attentamente questo argomento, lo capiremmo veramente traendone un grande beneficio; potremmo anche insegnarlo agli altri e procurare gli stessi vantaggi anche a loro. È questo ciò che disse [il re] Salomone (Proverbi 2, 4): “Se lo rincorrerai come si rincorrono i soldi e lo cercherai come si cercano tesori nascosti, allora capirai il timore di D-o”. Non dice “allora capirai la filosofia”, “allora capirai l’astrologia”, “allora capirai la medicina”, “allora capirai le leggi”, “allora capirai le regole di Halakhà”; dice invece “allora capirai il timore di D-o”.4 Quindi, per capire il timore di D-o bisogna cercarlo come si cercano i soldi e i tesori nascosti. Ecco ciò che ci è stato insegnato dai nostri padri insieme a ciò che è generalmente noto a ogni persona munita di senno 5. Ma forse troveremo il tempo [per studiare] tutte le altre materie e proprio per questo studio non avremo tempo? Perché mai l’uomo non fissa un tempo almeno per questa ricerca, se nel resto del tempo è proprio obbligato a dedicarsi ad altri studi o ad altre faccende?
Ed ecco, la Torà dice (Giobbe 28, 28): “Hen, il timore di Hashem è la saggezza” e i nostri Maestri di benedetta memoria dissero a questo proposito (Talmud Bavli, trattato Shabbat 31b): “Hen significa uno”, quindi il timore di D-o è saggezza, e solo questa è saggezza 6, ed è ovvio che ciò che non richiede un’analisi approfondita non viene definito “saggezza”. Ma la verità è che lo studio approfondito di queste cose è necessario per capirle veramente, anziché immaginarsele o seguire ragionamenti fallaci; e a maggior ragione per ottenerle e per acquisirle. E chi ci riflette, si accorgerà che la devozione non dipende da ciò che pensano gli stolti che si fingono devoti, bensì da elementi di autentica perfezione e da una grande saggezza.
Questo è ciò che ci insegna Mosè il nostro maestro, quando dice (Deut. 10, 12-13): “E adesso, Israele, cosa richiede da te il Signore tuo D-o, se non di temere il Signore tuo D-o, di seguire tutte le Sue vie, di amarLo e di servire il Signore tuo D-o con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima osservando le Mitzvot di Hashem e le Sue leggi ecc.”. Qui ha incluso tutti gli elementi che costituiscono la perfezione del servizio divino come è gradito a Hashem benedetto. Essi sono: il timore di D-o, il perseguimento delle Sue vie, l’amore di D-o, il cuore integro e il rispetto di tutte le Mitzvot:
- Il timore di D-o: è il timore dell’immensità del Signore benedetto, cioè il provare timore davanti a Lui come si teme un re potente e temibile e provare vergogna di ogni azione che ci si accinge a fare; e a maggior ragione quando si parla davanti a Lui, durante la preghiera e lo studio della Torà.
- Il perseguimento delle Sue vie: include tutto l’argomento della rettitudine e del perfezionamento delle virtù personali ed è ciò che i Maestri di benedetta memoria hanno spiegato dicendo (Talmud Bavli, trattato Shabbat 133Bb: “Così come Egli è clemente e misericordioso, sii tu clemente e misericordioso ecc.[10]“. La regola in tutto questo è che l’uomo deve adeguare tutti i tratti del suo carattere e tutte le sue azioni secondo i criteri della rettitudine e della morale. Ciò che i nostri Maestri hanno così riassunto, nelle Massime dei Padri (Avot 2, 1): “Tutto ciò che onora chi lo fa e gli procura il rispetto degli altri” che significa: tutto ciò il cui risultato è il vero bene, cioè il rinforzamento della Torà e il perfezionamento della fratellanza nella società umana[11].
- L’amore di D-o: bisogna che L’amore di Hashem benedetto sia radicato nel cuore dell’uomo, a tal punto che il suo animo deciderà di procurarGli soddisfazioni allo stesso modo in cui il suo cuore si desta per procurare soddisfazioni a suo padre e a sua madre; egli si rattrista se questa virtù è carente in lui o negli altri, ne è geloso ed è felicissimo di compiere un atto a essa correlato.
- Il cuore integro: consiste nel servire il Signore benedetto con purezza di intenti, cioè avendo unicamente il fine di servirLo e assolutamente senza secondi fini. Ciò include che questo servizio sia compiuto con cuore sincero: non con duplicità o come qualcuno che compie le Mitzvot in modo automatico, bensì con il cuore interamente dedicato a servire il Signore.
- Il rispetto di tutte le Mitzvot è chiaramente il compimento della totalità delle Mitzvot in tutti i loro dettagli e onorando tutte le loro condizioni.
Tutti i princìpi esposti qui sopra richiedono una spiegazione approfondita e ho trovato che i nostri Maestri di benedetta memoria ne hanno disposto le varie parti seguendo un ordine diverso, più dettagliato e classificato secondo la gradualità necessaria per acquisirli correttamente. Ed è questo ciò che hanno detto nella Beraita7 riportata in più passaggi del Talmud, uno dei quali si trova nel capitolo “Prima delle loro celebrazioni” (Talmud Bavli, trattato Avodà Zarà, foglio 20b) e dice8: “Disse Rabbi Pinchas ben Yair: ‘La Torà conduce alla prudenza, la prudenza conduce allo zelo, lo zelo conduce all’integrità, l’integrità conduce all’astinenza, l’astinenza conduce alla purezza, la purezza conduce alla devozione, la devozione conduce all’umiltà, l’umiltà conduce al timore del peccato, il timore del peccato conduce alla santità, la santità conduce allo spirito di santità, lo spirito di santità conduce alla resurrezione dei morti”.
E quindi ho deciso di scrivere questo libro basandomi su questa Beraita, per insegnare a me stesso e per ricordare agli altri le condizioni del perfetto servizio di Hashem, in ognuno dei suoi livelli. E di ogni livello spiegherò le caratteristiche, le distinzioni o i dettagli, il modo per acquisirlo e quali siano i suoi ostacoli e come evitarli, cosicché io e chiunque ne tragga soddisfazione lo leggeremo, con lo scopo di imparare a temere il Signore nostro D-o[12] e di non dimenticare i nostri doveri verso di Lui. La lettura e la riflessione riporteranno alla nostra memoria ciò che la materialità della natura prova a cancellare dai nostri cuori e ci stimoleranno a eseguire ciò che ci è stato ordinato. Riponiamo in Hashem la nostra speranza 9, Egli farà sì che i nostri piedi non inciampino e la richiesta del salmista amato da Hashem10 si realizzerà su di noi (Salmi 86, 11): “Hashem, insegnami la Tua strada[13], camminerò nella Tua verità; disponi il mio cuore a temere il Tuo Nome”. Amen, che questa sia la [Sua] volontà.
Note del traduttore:
[1] La Halakhà è il codice legale ebraico. Le decisioni legali vengono prese in funzione della Legge che è stilata in base a ragionamenti approfonditi. Sono attività associate ma diverse e quindi il Ramchal le cita separatamente.
[2] Nel giorno del giudizio (Rav Eliahu Rot, si veda il Midrash Bereshit Raba, Parashà di Vayigash).
[3] Questo concetto merita forse una breve spiegazione. Un noto pericolo in cui si incorre compiendo gli stessi precetti regolarmente è quello di eseguirli in modo istintivo e meccanico, con la sola guida dell’abitudine (quella che chiamiamo a volte il “pilota automatico”). L’ebreo deve evitare questa trappola e compiere invece ogni precetto con devozione, concentrazione e dedizione al servizio di Hashem.
[4] Con questo l’autore non afferma che non sia necessaria la ricerca approfondita anche per giungere alla la conoscenza delle leggi e delle Halakhot, ma che questa viene con l’apporto indispensabile del timore di Hashem, che la fissa nel cuore dell’uomo (dal libro di morale ‘Daliut Yechezkel’ di Rabbi Yechezkel Sarna, Rosh Yeshivat Hevron).
[5] Questa frase è riportata in varie versioni nelle numerose edizioni che abbiamo consultato. Abbiamo scelto la versione che ci pare la più coerente. E che valga anche per noi il salmo (19, 13): “Chi può premunirsi contro i [propri] errori?”.
[6] Cioè senza di lei non c’è saggezza, come dicono le Massime dei Padri (Pirké Avot 3, 17).
[7] La Beraita è un detto rabbinico che fa parte della Torà orale: pur non essendo stata inserita nella Mishnà, la Beraita può avere una validità Halakhika importante.
[8] Ritroveremo gli elementi della Beraita lungo tutto il Messilat Yesharim: infatti questo breve testo ne è il filo conduttore, dal primo capitolo fino al capitolo 26 che conclude l’opera.
[9] Citazione da Proverbi (3, 26).
[10] Si parla ovviamente del re David, l’autore dei Salmi di Davide, appunto.
Commenti
[1] Sebbene l’argomento principale del libro sia la chasidut, il titolo del libro non è Mesilat chasidim, ma “Mesilat yesharim”, perché lo scopo non è quello di raggiungere la chasidut, che è solamente uno degli stadi descritti nella baraità da R. Pinechas ben Yair, bensì quello di essere retti, perché così il Signore creò gli uomini, e yesharim furono i patriarchi, che sono il nostro termine di paragone. Nell’opera il Ramchal polemizza con la maggior parte degli uomini, che scambiano una serie di comportamenti con la chassidut, mentre si tratta di deformità della chassidut. Nessun altro fra gli stadi della baraità soffre di così tanti errori come questa caratteristica.
[2] Secondo l’Avi ha-‘Ezrì questa è la più grande innovazione del Ramchal all’interno di quest’opera, perché per uno scrittore non è semplice dichiarare che il contenuto di uno scritto non contiene novità, perché ciò diminuisce il valore dell’opera agli occhi di chi la legge.
[3] Questi concetti, che sono evidenti a tutti come veritieri, vengono spesso dimenticati. Per questo ci è stato comandato di recitare lo Shemà due volte al giorno come scrive il Sefer ha-Chinukh (mitzwàh 420): l’essere umano è portato a seguire le vanità di questo mondo ed i propri desideri, e per questo deve ricordare continuamente il regno divino per preservarsi dal peccato, sebbene sia evidente a tutti che il Signore sia unico Lo stesso genere di ragionamento è applicabile al ricordo dell’uscita dall’Egitto: anche se fossimo tutti sapienti, comunque abbiamo l’obbligo di ricordarla. L’uomo spesso è portato a pensare che le azioni più grandi siano quelle che determinano un cambiamento nella nostra anima, ma non è così. Le grandi azioni infatti hanno un impatto esteriore, ma le azioni più piccole si insinuano nelle pieghe dell’anima, allo stesso modo in cui la roccia non viene perforata da grosse quantità d’acqua, ma da una goccia che la colpisce incessantemente. Anche le guide di Israele vengono scelte in base a questo criterio. Per esempio Moshèh viene scelto per via della sua misericordia nei confronti di un capretto che era scappato e si era stancato per evitare che Moshèh lo raggiungesse, e ciò nonostante Moshèh, anch’egli stanco per via della corsa, lo prese sulle spalle. Parimenti David fu scelto perché divise il suo gregge in modo che anche gli animali più piccoli e deboli potessero pascolare, senza che gli animali più forti gli negassero il cibo. Allo stesso modo i chakhamim quando hanno stabilito un certo tipo di mitzwot, come il Seder di Pesach ed i lumi di Chanukkàh hanno privilegiato la sfera domestica rispetto a grandi manifestazioni pubbliche, che avrebbero lasciato il segno per qualche tempo, ma non avrebbero influenzato l’animo dei singoli individui. Ma proprio dietro a questo si nasconde il pericolo, perché gli uomini sono alla ricerca di idee rivoluzionarie, e quando sentono che è necessario perseverare in tante piccole cose, rinunciano.
[4] Nella visione del Ramchal lo studio continuo ha due effetti: uno naturale, di impedire che quanto si è studiato venga dimenticato, e uno spiirituale, attraverso il quale, per mezzo dello studio, si giunge all’illuminazione, che segue il “voltare e rivoltare la Toràh” ed è in grado di contrastare l’istinto malvagio ed indirizzare l’uomo al servizio divino.
[5] Tutti riconoscono la verità di certi principi, ma proprio per questo li dimenticano: il rimedio è quello di rendere questi principi parte della propria natura,di modo tale da non riconoscerli solo quando si ragiona su di essi, e questo è possibile solamente reiterando certi comportamenti.
[6] Quanto è detto nel Pirkè Avot (1,6), di giudicare ogni persona in modo benevolo, non è applicabile quando siamo quasi certi del contrario, ed anzi potremmo addirittura testimoniarlo. R. Yonàh è del parere che questo si riferisce a chi conosciamo come Tzaddiq, e nel tal caso, anche qualora fossimo quasi certi che non è così, dobbiamo giudicare in bene.
[7] Il Ramchal sceglie proprio queste parti della Chassidut perché sono precetti affermativi della Toràh, e per questo ciascuno è obbligato ad affrontarli nello studio e stabilirne le regole, e nonostante ciò pochi se ne occupano.
[8] Come per ogni questione affrontata nel Talmud i Chakhamim ne affrontano con serietà ogni aspetto, sino ad arrivare a una decisione corretta e chiara, lo stesso deve avvenire per le proprie predisposizioni, che ciascuno deve conoscere e investigare in profondità, sino ad arrivare alla perfezione in ogni predisposizione. Questo tipo di attività deve essere anzitutto effettuata sull’individuo stesso, come hanno detto i chakhamim (Bavà Metzià 120a) “abbellisciti e poi abbellisci gli altri”. Solo chi sarà in grado di lavorare sulle proprie predisposizioni potrà successivamente essere degno di ascolto presso gli altri.
[9] Ramchal crede che non esista alcun obbligo di fondare le nostre credenze sul ragionamento filosofico, come affermerà esplicitamente nel seguito dell’introduzione. Sulle leggi invece Ramchal ritiene che dobbiamo sì dedicarci ad esse, ma dobbiamo concentrarci principalmente sulle regole che mettiamo in pratica.
[10] In massekhet Shabbat 133b Abà Shaul dice weanwehu -sarò simile a lui, come lui è clemente e misericordioso, così sarò clemente e misericordioso. Rashì spiega weanwehu= anì wahù,, sarò come Lui nel seguire le Sue strade .
[11] L’amore nei confronti del prossimo è il principio fondamentale della Toràh, e comprende al suo interno anche l’amore per il Signore, come scrive Rashì commentando TB Shabbat 31a.
[12] Il timore del Signore è il concetto che attraversa tutti i capitoli dell’opera.
[13] Questa citazione chiuderà anche il cap. 25, il penultimo dell’opera, con il quale arriva a compimento il cammino dell’uomo, poiché la qedushàh, oggetto dell’ultimo capitolo, dipende unicamente dall’aiuto del cielo, come verrà spiegato successivamente.