Nella vita di ciascuno ci sono dei compleanni che hanno dei significati particolari: il Bar mitzwàh è un compleanno, sicuramente quello maggiormente rilevante per la nostra tradizione, e certamente il compimento dei 18 anni per qualsiasi ragazzo costituisce un momento importante. Il festeggiare il compleanno in determinati anni dalle cifre tonde provoca sentimenti contrastanti. Alcuni creano un determinato simbolismo attraverso il proprio compleanno; è risaputo ad esempio che Shay Agnon, premio nobel per la letteratura nel ’66, pur essendo nato il 18 di Av, in alcune occasioni sosteneva di essere nato il 9 di Av, per legare in qualche modo la sua esistenza alla sua data di nascita, come d’altra parte è famoso l’insegnamento secondo il quale il Mashiach nasce anch’esso il 9 di Av, e per questo motivo il Bet Yosef scrive che Tish’àh beAv viene chiamato mo’ed.
Alla fine della parashàh di questa settimana, per la prima ed unica volta nella Toràh, troviamo un compleanno, quello del Faraone: “Nel terzo giorno, giorno del suo compleanno, il Faraone fece un banchetto a tutti i suoi servi, nel numero dei quali dovevano essere annoverati il capo dei coppieri ed il capo dei panettieri. Ripristinò nel suo ufficio il capo dei coppieri sì che tornò a porgere la coppa al Faraone; e impiccò il capo dei panettieri” (Bereshit 40,20-22). Da qui possiamo ricavare che già anticamente si usava festeggiare i compleanni, quantomeno quello dei regnanti, e che si trattava di un uso almeno originariamente non ebraico, visto che non incontriamo mai degli ebrei che festeggiano. Non è da escludere che la Toràh voglia ricordarci della nascita del Faraone perché questi si considerava una divinità, e nel Midrash troviamo numerosi comportamenti del Faraone volti ad alimentare tale leggenda. Ci potremmo poi chiedere più in generale se possiamo imparare qualcosa dal Faraone, in quanto malvagio.
Alcuni, proprio perché la Toràh lo ha scritto, pensano di sì. In fondo impariamo i sette giorni di gioia che seguono il matrimonio da Lavan! Possiamo avere ulteriori indicazioni su tale uso dalla Mishnàh di ‘Avodàh Zaràh, nel primo capitolo, che fra le feste degli idolatri indica “Yom Ghenusià e Yom ha-lidàh”, il giorno di incoronazione e di nascita del re, in cui vigevano per noi vari divieti. Il Talmud Yerushalmì (Rosh ha-shanàh 3,8) attribuisce ad ‘Amaleq una strana usanza collegata al compleanno: difatti, quando andava in guerra, ‘Amaleq schierava in prima fila combattenti che festeggiavano il loro compleanno, perché è difficile che qualcuno possa cadere in guerra in quel giorno. I commentatori allo Yerushalmi non considerano questa singolare usanza una semplice superstizione, ma la domanda è se questo pronunciamento possa essere valido per noi, perché è risaputo che il popolo d’Israele non è sottoposto alle influenze astrali – en mazal leIsrael, e potremmo anche chiederci perché, se non siamo sottoposti a tutto questo, quando dobbiamo fare degli auguri diciamo proprio “Mazal tov”. Il Chidàh per esempio (Chomat Anakh a Yov, cap. 3) ritiene che l’influenza astrale si manifesti anche per noi, e pure il Ben Ish Chay (Ben Yehoyadàh su Berakhot 28) sostiene che sia giusto festeggiare per questo motivo.
Sempre dal trattato di Rosh ha-shanàh, ma questa volta nel Talmud Bavlì, apprendiamo che H. completa gli anni dei giusti: Moshèh Rabbenu e David ha-melekh muoiono nel giorno in cui erano nati, rispettivamente il 7 di Adar ed il 6 di Sivan, e ciò ispira vari minhaghim, fra cui la lettura del libro di Ruth a Shavu’ot. R. Tzadoq ha-Kohen di Lublino spiega che per gli tzadiqim la morte è da considerarsi un bene, perché attraverso di essa possono accedere ai mondi superiori che sino ad allora erano loro preclusi. I Chakhamim, discutendo se il mondo sia stato creato in Nissan o in Tishrì, legano le proprie opinioni alla nascita dei patriarchi. Secondo altre tradizioni Ytzchaq nacque il 15 di Nissan, anticipando la liberazione dalla schiavitù egiziana, o il primo di Nissan, e per questo i figli di Israele attesero il primo di Nissan per inaugurare il Mishkan, sebbene lo avessero completato il 25 di Kislew. In quell’occasione H. secondo il Midrash mescolò la gioia per l’inaugurazione del Mishkan con quella della nascita dei patriarchi. In massekhet Mo’ed Qatan (28a) troviamo persino un chakham, Rav Yosef, che festeggia un compleanno, il sessantesimo; infatti secondo una tradizione si muore di karet a 56 anni, o tra i 50 ed i 60, e a 60 il pericolo è scongiurato. Il Chawwot Yair (Teshuvà 70) scrive di recitare she-echeyanu quando si compiono 70 anni, considerata dai Salmi la lunghezza della vita dell’uomo. Molti, fra cui il Chidà (Shiurè Berakhàh 223), lo contestano, e dicono di recitare la benedizione senza pronunciare il Nome Divino, poiché non troviamo alcuna attestazione di ciò nel Talmud e nei Midrashim.
Ma quanto c’è di ebraico nel festeggiare il compleanno? Rav Shmuel Mohileber nota anzitutto che c’è una grossa differenza fra l’approccio ebraico e quello dei goyim su questo punto: gli ebrei tuttalpiù dedicano quella giornata all’esame di coscienza, il Faraone passa invece il suo compleanno a decidere il destino altrui. Potremmo dire anche di più: il Faraone gioca a fare la divinità, molti di noi, presi da sentimenti di pietà, per far fuori il capo dei panettieri avrebbe aspettato quantomeno il giorno dopo! Alcuni effettivamente la considerano un usanza propria dei goyim, e ritengono che non vada festeggiato in alcun modo.
R. Chayim David ha-Levì, l’autore del Meqor Chayim, si confronta con la questione (Shu”t ‘Asèh lekhà rav 4,26), riportando le fonti dalla Toràh e dalla Mishnàh che identificano il compleanno con un uso idolatra. D’altra parte però individua nei sacrifici destinati alla divinità la ragione della condanna dell’uso, e non il fatto in sé e per sé. Si chiede infatti: dal momento che negli altri culti è invalso l’uso di pregare le loro divinità, noi dovremo astenerci dal pregare? Anche il Ben Ish Chay di Baghdad (parashat Reèh, 17)) ricorda con favore, sebbene scriva di non praticarlo in famiglia, l’uso di festeggiare l’anniversario del berit milàh, ed altri applicano il medesimo ragionamento al Bar mitzwàh, momento in cui entra nel patto delle mitzwot. In ogni caso, qualunque sia la nostra considerazione dei compleanni, questa circostanza ha provocato un mutamento significativo nel nostro destino: in massekhet Shabbat (89b) è scritto che Ya’aqov sarebbe dovuto scendere in Egitto in catene, se non fosse stato per Yosef, che divenne vice re in Egitto, e se non fosse stato per il compleanno del Faraone, la storia avrebbe forse seguito un corso completamente diverso.