Rabbì ‘Azriel Diena, nato probabilmente nel 1470 e morto nel 1536, fu allievo, non sappiamo se diretto, del Mahariq e rabbino a Sabbioneta. Intrattenne rapporti epistolari con le maggiori autorità rabbiniche italiane dell’epoca, fra cui Meir Katzenboghen, il Maharam Padova, che lo menziona con rispetto, e il famoso commentatore ‘Ovadiàh Sforno. Gli storici discutono sulla sua reale influenza sull’ebraismo italiano, se fosse considerato dai suoi contemporanei un importante rabbino, o se piuttosto avesse influenza solamente sui francesi che si trovavano in Monferrato e in Lombardia. Le sue teshuvot sono state stampate in Israele alcuni decenni fa, ed è ricordato varie volte nell’opera halakica ‘Iqqarè ha-dat di Daniel Terni di Firenze.
Ostiano, oggi in provincia di Cremona, ospitava un gruppo di ebrei. R. Azriel Diena nelle sue Teshuvot (cap. 23) viene interpellato su una discussione sorta sul Minhag del Bet ha-kneset locale negli Yamim noraim, se seguire il minhag degli Italiani o quello degli ashkenaziti, arrivati nel luogo in un secondo momento. Descrivendo il caso il Rav parafrasa l’inizio della meghillat Ester, dicendo che ciascuno di loro voleva “sorer/shorer cheminhagò umitpallel kilshon ‘ammò – dominare/cantare secondo il proprio minhag e pregare nella lingua del proprio popolo”. R. Azriel Diena narra di aver cercato anzitutto di ricomporre la divisione, dividendo la tefillàh pregando in parte secondo il rito italiano ed in parte secondo quello ashkenazita. Il rappresentante ashkenazita avrebbe anche accettato questa ipotesi, ma l’italiano non fu d’accordo, e pretese che il rabbino prendesse una decisione, e qualsiasi successiva controversia in merito sarebbe stata nuovamente sottoposta a lui. Il rabbino, pur non comprendendo, si adeguò, e fornì pertanto la sua risposta. Il criterio determinante secondo il Rav è quello della maggioranza numerica, come emerge dal primo capitolo del trattato di Chullin (11a e ss.), che stabilisce che si va secondo la maggioranza.
Questo principio si impara dall’espressione in parashat Mishpatim (Shemot 23,2) “acharè rabbim leattot- propendere dietro la maggioranza”, e questo si applica sia rispetto al rov deita qaman sia rispetto al rov deleta qaman. Spiegamo brevemente questi concetti: quello della maggioranza è un criterio ampiamente utilizzato nel diritto ebraico, e in alcuni casi è un elemento sufficiente per determinare come comportarsi, altre volte è un elemento determinante ma non sufficiente, mentre in alcuni casi non viene preso in considerazione. Esistono vari tipi di maggioranza. Il primo è rov deita qaman, vale a dire che è davanti a noi. L’esempio classico di questo rov è della carne trovata vicino ad un negozio, quando in città ci sono nove negozi che vendono carne kasher e uno no. Il rov deleta qaman, concetto abbastanza vicino a quello della chazaqàh, determina quei casi in cui abbiamo un abitudine o una consuetudine su un certo fenomeno in base ad un criterio statistico, che non chiarisce però la realtà che è di fronte a noi, ad esempio “la maggior parte delle donne porta a compimento la gravidanza”, o come vedremo poi “la maggior parte delle persone acquista i tori per arare”, o “la maggior parte degli shochatim sono esperti”. Una fonte importante in merito è quella di chi uccide i genitori, che è punito dalla Toràh con la morte. In questo caso non abbiamo alcuna certezza che il padre sia effettivamente il padre biologico, e ci appoggiamo semplicemente sul fatto che la maggior parte dei rapporti sessuali delle madri normalmente sono con il marito. Gli acharonim discutono sulla validità dei criteri, e la maggior parte di loro ritengono che il rov deita qaman ha maggiore forza. Un altro concetto collegato che il Rav ricorderà nella sua teshuvàh è “kol qavua chemechza ‘al mechza dame – ciò che è fisso, è da considerarsi come se fosse la metà ” che in alcuni casi particolari predomina sul concetto di rov, e si oppone al concetto “kol deparish merubba parish- ciò che si stacca si stacca dalla maggioranza”.
Ad esempio, sempre parlando di carne, se una persona ha comprato della carne in un negozio, e ci sono nove negozi kasher ed uno no, non ci si potrà appoggiare sulla maggioranza, perché il negozio ha una sua fissità, tale da applicare il principio kol qavua chemechza ‘al mechza dame. Altro esempio classico è quello di un uomo che manda un inviato per fare qiddushin con una donna, l’inviato lo ha fatto, ma poi è scomparso, e non sappiamo pertanto quale sia la donna. In questo caso la donna è da considerarsi qavua, e il mandante pertanto non potrà sposare altre donne, perché si teme che possa sposare una donna imparentata con quella consacrata dal suo inviato, che esiste concretamente e si trova in un luogo determinato. R. Azriel Diena riporta numerosi altri esempi di rov, ma trattandosi di brani della ghemarà abbastanza complicati non sarà possibile affrontarli in questa sede. In ossequio a questo principio per esempio dopo la shechitàh non si controlla l’animale per tutti i 18 tipi di terefot previsti dalla halakhàh, ma si verifica solamente l’assenza di buchi nei polmoni, in quanto si tratta di un difetto frequente, come scrive Rashì (Chullin 12a). Non ci preoccupiamo inoltre dell’opinione di R. Meir, secondo la quale ci si preoccupa della minoranza. Anche le Tosafot (Chullin 12b) escludono che ci si debba preoccupare di quanto sostiene R. Meir. Questo principio si applica rispetto ai divieti. Nel diritto civile non si applica, e predomina il principio “ha-motzì mechaverò ‘alav hareiàh”, “chi vuole togliere qualcosa dal suo compagno, deve fornire la prova”.
Questo infatti si deduce da quanto il Rif decide su un caso in cui c’è stata la compravendita di un toro, e si è scoperto che il toro in questione in precedenza aveva mostrato la propria abitudine ad incornare. Secondo Rav si tratta di un meqach ta’ut, perché la maggior parte delle persone acquistano i tori per lavorare la terra, mentre secondo Shemuel il venditore potrebbe sostenere che l’acquirente intendesse comprarlo per la sua carne, e pertanto l’acquirente per farsi restituire il denaro deve fornire una prova, perché non ci si preoccupa della maggioranza, e così stabilisce il Rif. Anche il Mordechay sostiene che, quando le Tosafot non si esprimono diversamente, si segue il Rif. Nel nostro caso, che non è una questione collegata ad un divieto, né una questione di diritto civile, si applica la regola della Toràh, si considera la maggioranza che è davanti a noi, in base al verso “acharè rabbim leattot”. R. Azriel Diena poi esamina le possibili obiezioni rispetto alla sua decisione.
a) si potrebbe infatti sostenere che visto che durante gli yamim noraim sinora avevano pregato secondo il rito italiano, avrebbero dovuto continuare. Questa non è una prova, perché sino ad ora non c’erano ashkenaziti, e nessuno chiedeva di seguire un rito differente. Ora però si deve seguire la maggioranza, ed i pochi devono seguire i molti. Veramente, se ci fosse stato tutti i giorni un minian di italiani, anche se fossero arrivati numerosi ashkenaziti, ben più numerosi degli italiani, questi non avrebbero avuto certamente la forza di sradicare il minhag sino ad allora adottato, perché gli italiani avevano già minian senza di loro. Ma visto che ad Ostiano vivono stabilmente due o tre ebrei, e gli altri si uniscono dai dintorni per gli yamim noraim, non è possibile dire che c’è un minian già fissato.
b) Ma gli italiani potrebbero invocare il principio “kol qavua chemechza ‘al mechza dame”, ma in questo caso non sarebbe utilizzabile. Difatti viene usato solamente quando vi è un caso di dubbio, mentre questa volta sappiamo perfettamente quanti sono gli italiani e quanti sono gli ashkenaziti.
c) Se il rappresentante degli italiani dicesse che il tempio è suo, in quanto è l’amministratore del luogo, anche questo non è da considerarsi un motivo per comportarsi secondo il suo rito. R. Azriel fa riferimento ad un fatto al quale non aveva accennato precedentemente, che il rappresentante italiano aveva affittato il luogo, e di conseguenza la chazaqàh agli ashkenaziti, e l’affitto è da considerarsi per questi aspetti in tutto e per tutto come una vendita. Per questo la pretesa del rappresentante degli italiani non ha alcun fondamento.