L’ ‘omer è una unità di misura che, nella toràh e nel talmùd, viene utilizzata per quantità alimentari. Come primo significato indica un manipolo di spighe; come secondo significato indica una quantità di grano o cereali e, indirettamente, la farina che se ne può derivare. In ogni caso è una misura di volume e non di peso. Tra queste diverse definizioni esiste una certa incoerenza: non tutte le spighe hanno lo stesso numero di chicchi; non tutti i chicchi hanno la stessa grandezza; la stessa quantità di farina può derivare da un diverso numero di spighe e di chicchi (cfr. M.Peàh 6:6).Vale a dire: l’ ‘omer è una unità di misura discontinua; inevitabilmente dalle spighe al grano, dal grano alla farina e dalla farina al pane esistono dei salti qualitativi e quantitativi, tanto sicuri quanto imprevedibili. In altri termini: i passaggi e le trasformazioni da frutto della terra a prodotto agricolo ed a manufatto alimentare contrappongono la qualità e la quantità; il lavoro umano modifica la sostanza e le misure del prodotto naturale; molte spighe immangiabili diventano poco pane mangiabile.
Nel pensiero dei maestri, l’indeterminatezza e la responsabilità della catena alimentare non sono soltanto un limite del lavoro umano ma anche una caratteristica della creazione divina: da una parte, un ‘omer (manipolo) di spighe non può corrispondere ad un ‘omer (volume misurabile) di grano; dall’altra parte ‘D-o fa uscire il pane (sic!) dalla terra, così come fa uscire gli ebrei dall’Egitto’ (TB Ber: 38a sul verso di Shemòth 6:7).
Nonostante il suo primo significato corrente sia collegato con un manipolo di spighe, l’ ‘omer viene nominato per la prima volta nella toràh con riferimento alla manna (Shemòth cap. 16 vv 16,18,22,32,33,36).
Il paradosso è notevole: la misura oscillatoria del grano che condiziona la capacità alimentare del pane di terra viene subordinata, nel racconto della toràh, alla misura miracolosa del pane di cielo (cfr.Tehillìm 105:40.).
E’ interessante verificare la profondità e le ramificazioni di questo paradosso. Nel testo biblico, la miracolosità specifica della manna non consiste tanto nell’essere un frutto di cielo, ma nelle particolari modalità con cui poteva essere raccolta: a) la manna poteva essere raccolta soltanto per la razione alimentare di un giorno; se veniva raccolta con l’intenzione di essere cumulata per un altro giorno, verminava ; b) il sesto giorno la manna doveva essere raccolta con l’intenzione di essere preparata e mantenuta anche per lo shabbàth; chi l’avesse voluta raccogliere durante lo shabbàth non la trovava, c) la manna aveva, per la raccolta, la misura precisa di un ‘omer a testa; l’ ‘omer è la decima parte di un’efàh; ogni individuo poteva consumare la manna riferendo la sua porzione concreta alla quantità pensabile e necessaria per una comunità di dieci individui; d) nonostante la raccolta e la misura della manna fossero rigorosamente determinate dai criteri appena elencati, l’ ‘omer della manna era individualizzato, perché bastava per chi ne voleva e poteva mangiare moltissima e non lasciava scorie per chi ne voleva e poteva mangiare pochissima; e) i maestri riassumono, con il sorriso della provocazione, il miracolo della manna, affermando che la manna si distribuisce integralmente in tutto il corpo e non produce feci.
Il contrasto tra l’ ‘omer come misura di cereali e l’ ‘omer come misura della manna è straordinario: da un’ ‘omer (manipolo di spighe) non si può mai sapere quanto pane avremo, anche perché la farina può essere setacciata più volte, aumentando le scorie; ad un precisissimo ‘omer ( volume intenzionale) di manna non sapremo quale quantità corrisponde; sappiamo invece che ogni consumatore ne mangiava quello che gli serviva per quel giorno. In ambedue i casi l’ ‘omer è una misura dell’imprecisione o della indeterminatezza con cui D-o si pone, secondo la toràh, in un rapporto responsabile con gli uomini.
Come noto, l’ ‘omer indica anche il manipolo di spighe d’orzo che veniva raccolto ed offerto al Tempio, all’indomani del primo giorno della festa delle Mazzòth e cioè il 16 di Nissàn ( cfr.VaIqrà 29:9-21 e Midrash Sifrà relativo). L’offerta e la scuotitura dell’ ‘omer erano necessarie perché fosse permesso mangiare, fuori del Tempio, i prodotti del nuovo anno; dall’offerta dell’ ‘omer iniziava un conteggio di sette settimane/ cinquanta giorni, per cui il cinquantesimo giorno ( non conteggiato) era la festa di Shavu’oth; in questa festa veniva offerto al Tempio un doppio pane di grano lievitato, che permetteva la nuova offerta al Tempio dei prodotti del nuovo anno.
In questa situazione, il concetto di ‘omer acquista una nuova serie di significati : l’offerta dell’ ‘omer di orzo marca un giorno molto particolare che apre un conteggio di giorni molto particolari, che si chiama conteggio dell’ ‘omer .
Con estrema sintesi: attraverso queste specifiche mizvòth, l’ ‘omer si trasforma da una misura di volume ( e solo virtualmente di peso) ad una doppia misura di tempo; l’intervallo di tempo tra Pesàch e Shavu’oth deve essere conteggiato ( con un vuoto di due giorni) o rispetto ai giorni o rispetto alle settimane o rispetto a giorni e settimane.
Quale senso ha che una misura piuttosto aleatoria di cereali e/o di manna si trasformi in una misura piuttosto incalzante di un tempo rituale? (e cioè dal giorno dell’orzo che permette a tutti i privati individui di mangiare il prodotto della terra al giorno del pane lievitato che permette ed obbliga l’offerta nuova della collettività, nel Tempio).
I collegamenti anche con altre mitzvoth (per es. la shikhchàh e la challàh) consentirebbero un approfondimento più completo di questo midràsh segretò ;in questa occasione mi sembra utile mantenere, e solo con qualche accenno, soltanto il collegamento con la sequenza mazzàh- manna- pane.
Secondo la tradizione dei maestri, gli ebrei dopo l’uscita dall’Egitto hanno mangiato le mazzòth derivate dall’impasto con cui erano fuggiti, per trenta giorni, fino al 15 di Iiàr. Dal 16 di Iiàr (cfr. Shemoth 16:1-14) avrebbero mangiato la manna per tutta la permanenza del deserto. La manna sarebbe caduta sino alla morte di Moshè, il mese di Adàr del quarantesimo anno nel deserto. Anche in questo caso, gli ebrei avrebbero avuto provviste (ora, di manna) per trenta giorni. Il passaggio del Giordano e l’ingresso in Erez Israèl sarebbe avvenuto il 10 di Nissàn; il 14 di Nissàn sarebbe stato celebrato il primo Pesàch in Erez Israèl, il giorno dopo gli ebrei avrebbero mangiato dei prodotti di Erez Israèl; il 16 di Nissan gli ebrei avrebbero smesso definitivamente di mangiare la manna (cfr.Iehoshu’a 5:12)
Così ricostruito, il discorso risulta abbastanza semplice: gli ebrei offrono l’ ‘omer di orzo lo stesso giorno in cui hanno smesso di mangiare la manna.
Questa ipotesi ci consentirebbe di comprendere meglio alcuni collegamenti tra le misure ed i tempi della manna e le misure ed i tempi del pane.
La prima festa che gli ebrei celebrano, entrati in Erez Israèl, è Pesàch. Dopo il sacrificio del Pesàch ( il salto) gli ebrei mangiano, con le mazzòth, il prodotto della terra. Subito dopo, gli ebrei smettono di mangiare la manna e, probabilmente, iniziano il conteggio verso una festa di Shavu’oth che il testo biblico non ricorda esplicitamente.
Molto spesso il conteggio dell’ ‘omer viene messo in relazione all’intervallo tra il primo Pesach (l’uscita reale dall’Egitto) ed il primo Shavu’oth ( il dono della toràh sul Sinai): il conteggio marcherebbe il passaggio dalla liberazione fisica alla liberazione morale ed anche dalla rottura della della schiavitù all’assunzione della responsabilità individuale e collettiva.
Ma nei giorni dopo l’uscita dall’Egitto non fu offerto nessun ‘omer di orzo: perché non c’era l’orzo e perché non c’era il Tempio.
Per la verità non è chiaro neppure se dopo il primo Pesàch in Erez Israèl, furono fatte l’offerta e la scuotitura dell’ ‘omer . Sappiamo tuttavia che nel primo giorno dell’ ‘omer , gli ebrei sentirono la perdita della manna ma non la vissero come una perdita, perché avevano mangiato dei prodotti della terra d’Israele, per la prima volta da quando avevano la toràh.
Il punto è questo: il conteggio dell’ ‘omer è, forse, anche il conteggio di una sequenza temporale che scatta dalla perdita di un pane di cielo e dalla conquista di un pane di terra. E se il conteggio dell’ ‘omer viaggia verso il giorno in cui la toràh viene donata, come tutte le misure dell’ ‘omer , quanto più il conteggio e la misura sono precisi tanto più essi sono indeterminati. Gli ebrei contano con impossibile esattezza il tempo infinitesimale in cui la toràh continua ad essere data, perché continuano a cercarla ed a consumarla, come la manna, secondo il bisogno di ognuno, giorno per giorno.
Al ricordo di mia madre Wanda Rachel Levi Schmidt che la sera di Shavu’oth cucinava di latte, perché in qualche modo latte e toràh si equivalgono.
Febbraio 1999 – Shalom