Su Pagine Ebraiche di agosto leggo in calce al mio articolo su “Studi talmudici e studi secolari” la stimolante reazione dell’amico Alberto Cavaglion che ringrazio per l’interesse manifestato sul tema. Parafrasando Maimonide egli si professa “perplesso in cerca di guida” e pone due interrogativi. Anzitutto, “può un giovane studiare la Torah e il Talmud prescindendo dalla filosofia classica?” La risposta è: sì, certamente, è possibile. Così è stato fatto in molti ambienti per generazioni e le eccezioni alla Salomon Maimon sono state relativamente poche.
La giustificazione sta nel fatto che lo studio della Torah e del Talmud non è un’esperienza meramente intellettuale, ma spirituale: è una ricerca della Sapienza superiore espressa nella Parola del D. Vivente. La Verità della Torah emerge dal confronto all’interno del Testo e non dal confronto con altri testi, che non hanno a che fare con la Rivelazione. La filosofia classica non può essere posta sullo stesso piano: “Là c’era Platone, sommo dei pensatori… (che) considerò le sue parole come parole di profeta” (Immanuello Romano, Inferno, 95), eppure non lo era! La sapienza umana esiste certamente, svolge il proprio ruolo, è accattivante, attraente, ma ha tutti i limiti di qualsiasi prodotto dell’umanità: fra questi la limitatezza, la mutevolezza e l’instabilità. Essa si presta senz’altro a esser messa a confronto con la Sapienza Divina, ma la cosa non è indispensabile. Ciò che si richiede è mettere l’intelletto umano al servizio della Volontà Divina. Un esercizio del tutto differente.
E qui vengo al secondo interrogativo. Egli in sostanza si domanda se l’allontanamento di molti ebrei moderni dalla Torah non sia una conseguenza del fatto che la Torah stessa non ha saputo stare al passo con i tempi. È una lettura possibile, ma rischiosa. Mi ricorda il Midrash che racconta di quel viaggiatore che si trovò di fronte a un bivio. Domandò guida a un residente del luogo il quale gli disse: “Entrambe le vie portano a destinazione, ma per di qua la strada è corta eppure lunga, mentre per di là la strada è lunga, ma corta”. Il viaggiatore scelse la prima opzione. Il percorso era agevole, il paesaggio interessante. Giunse rapidamente in vista della meta: ma proprio in quel punto comprese che una forra invalicabile l’avrebbe tenuto separato per sempre dal raggiungerla. Tornò sui suoi passi. Dal bivio prese l’altra strada, lunga e faticosa, che tuttavia lo portò a conclusione del suo viaggio. L’uomo occidentale, erede di Platone e Aristotele, ha scelto di percorrere la prima via. La Torah di Israele è per lui insormontabile, incomprensibile. Molto più facile avviarsi per i pascoli ameni di un cammino che stuzzica il nostro intelletto, parla il nostro linguaggio, ci fa sentire importanti e realizzati senza tuttavia impegnarci troppo seriamente. Alla fine l’abbiamo pagata.
L’Occidente è oggi, per consenso comune, privo di valori. L’intellettuale si appaga forse con le domande, ma l’Uomo ha certamente bisogno di risposte. Abbiamo collezionato domande, ma non abbiamo più risposte. L’esperienza insegna che queste difficilmente possono arrivare dal basso. Nondum duratura est. Esse possono giungere solo dall’Alto. La crisi dell’ebraismo italiano rispecchia un dato universale. I nostri Maestri spiegano il comandamento biblico di onorare i genitori come una ruota che gira nel mondo: solo onorando papà e mamma potremo contare un giorno di essere onorati dai nostri figli. Oggi non abbiamo più neppure questa certezza. Le Comunità riflettono la situazione delle nostre famiglie!
Non è mai troppo tardi per incominciare a studiare Torah. Particolarmente in questo periodo dell’anno dedicato alla Teshuvah e all’introspezione l’invito è a intraprendere un percorso di Studio.
Rav Alberto Moshe Somekh