“Non fece passare Israele nel suo territorio”, è detto due volte nella Torah (Bemidbar 20:21 e 21:23) su due popoli, Edomei e Emoriti che rifiutarono il transito agli ebrei che dovevano entrare nella terra promessa; “non vi sono venuti incontro con pane e acqua” (Devarim 23:5) è il brutto ricordo che ci hanno lasciato nelle stesse circostanze Moabiti e Ammoniti.
Non possiamo affrontare queste giornate senza un riferimento alle nostre esperienze antiche e sacre e di incredibile attualità che ci dettano umanità e solidarietà, ma non possiamo neppure, come ha sottolineato rav Laras nel suo messaggio, astenerci dall’esprimere preoccupazioni per la sorte dei luoghi dove viviamo, attraversati da un flusso migratorio imponente che mette in discussione tutti gli equilibri su cui si basa la nostra pacifica esistenza.
È un inizio di anno che dobbiamo affrontare come sempre serenamente ma nel quale non si può essere indifferenti agli scenari che ci circondano e alle implicazioni per il futuro. Più delle altre feste sarà forse Sukkòt, alla fine, a rappresentarci il senso della nostra fragilità e precarietà, ma affinché si possa risolvere il problema con gioia, perché la festa è comunque occasione di gioia, dovremo prima far pace con noi stessi, con chi ci circonda e con Chi ci ha creato e ci vuole a Lui vicini. In questi giorni Israele è stata coperta, in un eccezionale fenomeno metereologico, da una enorme nube di sabbia. Sabbia in ebraico si dice chol ed è la stessa parola che indica il materiale e il profano. La nube si dissolverà presto ma è da intendere anche come una grande metafora, la separazione tra qodesh e chol, tra sacro e profano. L’augurio per tutti è che le feste del nuovo anno portino una crescita in qedushà, in responsabilità, in gioia autentica, che ci possano dare la forza e gli strumenti giusti per affrontare le difficoltà. Che finisca l’anno con tutte le sue cose cattive, e cominci un anno veramente dolce.
Riccardo Di Segni, rabbino capo di Roma
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