Perché il governo israeliano potrebbe cadere sul chamètz a pochi giorni da Pèsach.
David Piazza
Inquadrare la mossa repentina del deputato Idit Silman solamente nelle strette categorie del rapporto tra stato e religione, non aiuta purtroppo a capire l’iceberg che si nasconde sotto la crisi di governo che si è forse aperta stamattina. Da anni infatti la Corte Suprema d’Israele, un paese senza una legge costituzionale, persegue senza alcun chiaro mandato istituzionale, obiettivi politici e sociali di ridefinizione dell’identità ebraica del paese, con sentenze che mirano a rafforzarne la componente democratica e universalista a danno di quella identitaria e particolarista.
A parole tutti concordano che lo stato d’Israele, l’unica democrazia al mondo che si fondi su una legge che riconosce l’immediata cittadinanza a membri di una sola religione che fino a un momento prima avevano vissuto all’estero (“Legge del ritorno”), sia “democratico” ed “ebraico”, ma nei fatti tutte le ultime sentenze della Corte Suprema arrivano nei fatti a limitarne il carattere ebraico. Vuoi per facilitare l’ingresso e poi la residenza stabile di immigrati non ebrei, vuoi per dare una propria precisa interpretazione delle leggi sulle conversioni, vuoi per minare la base legale degli insediamenti, vuoi per limitare le azioni di contenimento delle minacce terroristiche, vuoi infine per danneggiare il cosiddetto delicato “status quo”, quella serie di taciti accordi per la convivenza tra le componenti osservanti e meno osservanti della società israeliana.
E da quest’ultima categoria che parte l’attuale “crisi del chametz”. Negli ospedali israeliani infatti da molti anni vige il divieto d’ingresso per il cibo lievitato portato da visitatori all’interno delle strutture, che devono però garantire per tutti i pazienti il rispetto delle regole ebraiche alimentari, particolarmente rigorose per la durata della festa di Pesach, cioè sette giorni. Bisogna riconoscere che particolarmente fastidiose sono state le “perquisizioni” operate all’ingresso ai danni di cittadini che spesso hanno solo una vaga idea del particolare (e limitato nel tempo) rigore, ma il risultato permetteva sia a chi è religioso, sia anche a chi è solo tradizionalista (e sono moltissimi) una certo rispetto della norme religiose della festa.
Una recente sentenza della Corte Suprema, sollecitata sempre dallo stesso singolo minuscolo gruppetto di attivisti, ha decretato che, nel rispetto delle libertà individuali questo divieto del cibo lievitato, esercitato dagli ospedali in maniera assolutamente indipendente, andasse abolito.
Lo zelante ministro della salute, Nissan Horowitz del partito laicista e di sinistra Meretz, non si poteva perdere questa ghiotta occasione e in barba all’accordo di governo che tiene insieme una coalizione formata da molte e diverse anime, secondo il quale ogni legislazione in contrasto con lo “status quo” dovrebbe essere prima discussa tra i leader della coalizione stessa, ha ordinato l’applicazione della sentenza della Corte Suprema che “vieta il divieto” sul cibo lievitato.
Da fuori sembra il solito scontro tra osservanti e non, ma non è affatto così. Cerchiamo di capire perché.
Il rigore del consumo di cibo lievitato durante la festa di Pesach è innanzitutto tra i più gravi dell’intera legge ebraica, che ne prescrive non solo il divieto di consumo, ma anche il semplice possesso. Una sola briciola di cibo lievitato infine può “contaminare” nei giorni di festa, un’intera cucina preparata faticosamente per il rispetto delle regole da molti giorni prima. La pena stabilita inoltre per la trasgressione di questa regola è della stessa gravità del mangiare nel giorno di Kippur.
Certamente una follia rituale agli occhi di chi non la vive, che tuttavia dura solo pochi giorni l’anno. Molti in Israele si domandano perché mai nessuno obietta quando vengono rispettate le limitazioni alimentari dei celiaci o delle persone dalle mille allergie, mentre quando le restrizioni alimentari sono di carattere religioso possono essere tranquillamente ignorate nello spazio pubblico. Anche le prime possono a rigore limitare le libertà civili fondamentali, ma tutti le adottano perché sono alla base della convivenza civile, dove il rispetto delle diversità è visto come un fine superiore.
Esattamente come vaccini e mascherine nella pandemia che continua a fare vittime.
Per ritornare alla Corte Suprema e al suo “attivismo giudiziario” che la porta frequentemente ad annullare leggi della Kenesset o ad emanarne di nuove in assenza di legislazione, il vero pericolo di Israele non sono certo le bricioline di pane, ma un’istituzione che confonde pericolosamente le classiche distinzioni tra potere politico e potere giudiziario.
Questa Corte interviene infatti sempre di più su questioni identitarie delicate per le quali i politici si debbono sottoporre ogni volta al giudizio degli elettori, e successivamente al dibattito democratico parlamentare, mentre il corpus giudiziario, in nome di un’autonomia che nessuno può minacciare, sta diventando un organismo chiuso, autoreferenziale e politico a tutti gli effetti, con una chiara e marcata agenda di parte, capace di fare e disfare.