Furono 40 mila gli ebrei libici espulsi nel 1970, assieme agli italiani. Come gli ebrei di Djerba, di fronte alla città tunisina di Gabès, dove una comunità ebraica fu creata nel 586 a.C. da profughi di Gerusalemme in fuga dopo la distruzione del primo Tempio da parte del babilonese Nabucodonosor. Come gli ebrei della bellissima Casablanca, dove c’è la seconda sinagoga più grande del mondo e dove al Qaeda ha colpito tre anni fa. Come gli ebrei d’Algeria, che erano 200 mila ebrei nel 1962 e si sono ridotti a un centinaio scarso. Come gli ebrei di Siria, che dai 45 mila del 1948 sono passati ai 5.000 del 1987 e ai 63 del 2001.
Come gli ebrei dell’Iraq, discendenti dai deportati di Babilonia, 125 mila nel 1948 e ridotti a 300 nel 1987 e a 34 alla vigilia della caduta di Saddam. Come gli ebrei di Giordania, senza possibilità di cittadinanza, per legge, come nel 1935 a Berlino. Come gli ebrei dell’Arabia Saudita, a cui per di principio è negato addirittura l’ingresso, e dell’Iran. Quarant’anni fa arrivarono a Roma 5.000 ebrei profughi dalla Libia. Quella storia di fuga e persecuzione è stata raccontata il 6 marzo in una festa di musica e cultura organizzata dalla Comunità ebraica romana, l’associazione “Bnei Sheva” e il museo “Or Shalom” di Bat Yam. La tragedia degli ebrei libici iniziò una domenica di novembre del 1945, quando si scatenò il primo pogrom contro la storica comunità sefardita.
“Entravano in casa e massacravano famiglie intere, bruciavano le case, saccheggiavano i negozi, persone aggredite per la strada, sgozzate” ricorda un sopravvissuto al massacro. Il bilancio del pogrom fu gravissimo: 140 ebrei morti, uccisi nelle maniere più atroci, trucidati, sgozzati, arsi vivi; i negozi devastati dalla furia araba e le sinagoghe della città vecchia profanate e date alle fiamme. Un mese dopo la nascita dello Stato di Israele riesplose l’odio. I morti furono 14, i feriti 130. Il 1° gennaio del 1952 avvenne il passaggio di potere dall’amministrazione inglese a quella libica. La Libia divenne indipendente. Dei 36 mila ebrei presenti sul territorio fino a solo quattro anni prima, molti erano fuggiti in Israele, ne rimasero poco meno di 6 mila, tutti concentrati a Tripoli. Gli ebrei rappresentavano una “minoranza nativa”, con diritti politici diversi rispetto a italiani, greci e maltesi che erano una “minoranza residente”, allo stesso tempo cittadini di altri stati. In questo clima di relativa calma e prosperità, si giunse fino al giugno del 1967, alla vigilia della Guerra dei Sei Giorni. Ma già verso l’inizio del mese erano iniziati gli incitamenti, alla radio e nelle moschee, alla guerra santa contro Israele e contro gli ebrei. Incendi e devastazioni dei negozi e delle abitazioni degli ebrei, uccisione di ebrei che incautamente uscivano dai loro rifugi in cerca di cibo. Verso la metà del mese di giugno, su iniziativa del presidente della comunità ebraica, fu inviato un appello al primo ministro in cui si chiedeva per gli ebrei il permesso di partire. Il re Idris appoggiò subito la decisione.
E fu così che iniziò l’esodo dell’antichissima comunità ebraica tripolitana. Quel che resta della comunità ebraica libica è ora divisa tra Israele, l’Italia e in misura minore gli Stati Uniti. Una storia iniziata molto prima di re Idris e Gheddafi, il 30 marzo 1492, con la diaspora degli ebrei sefarditi, con la cacciata dalla Spagna decretata dai sovrani Isabella e Ferdinando. Da allora la sorte degli ebrei sefarditi è stata amara, levantinizzati nella più grande famiglia mediorientale o romanticizzati per aver difeso la propria autonomia culturale nei canti e nella lingua, la celebre “haketia”. La Shoah distrusse definitivamente la presenza ebraico-spagnola nei Balcani e cancellò per sempre Salonicco, la “Gerusalemme dei Balcani”. Più di centomila sefarditi provenienti da Bulgaria e Grecia, Turchia e Iugoslavia, perseguitati anche nei paesi arabi, troveranno rifugio in Israele tra il 1923 e il 1949 e l’area culturale sefardita verrà trapiantata a Gerusalemme.
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