La Mizwàh di domandare (M. Levi)
Il qiddùsh (R. Di Segni)
La vera libertà a cura di (J. Zegdun)
La Tefillah e l’uomo moderno (S. Bahbout)
La Mizwàh di domandare
Il seder di Pesach si fonda sulle domande con cui ha in pratica inizio l’haggadah. Senza quelle domande, che spetta al più giovane porre, il seder perde quasi di significato. La narrazione di quella che è stata la storia dei nostri padri non ha un vero valore se non si ricollega saldamente ad un’esigenza immediata nostra.
Il bambino che “fabbrica” quelle domande, non interroga infatti sugli avvenimenti passati, che non conosce, ma sulle realtà presenti, che vede. Solo dopo la sua elementare, ma insostituibile, richiesta di dare un senso alla “sua” situazione nuova e diversa si può aprire il discorso sulla situazione diversa e nuova della storia di Pesach.
Se si legge a mente fresca, come il din chiede, la Tora ci si rende conto che anche nel momento in cui gli ebrei stanno per uscire dall’Egitto l’attenzione è già rivolta a quete domande delle generazioni che non sono ancora nate.
Sembra quasi che la Torah ci voglia dire, con un paradosso, che tutta la storia di Pesach è avvenuta ed è raccontata soltanto per stimolare ogni anno ed ogni generazione a quelle semplici domande.
Cos’è questo lavoro per noi? Perché questo lavoro (le mizwot), dopo la schiavitù? Perché questo lavoro contro la schiavitù?
Le domande sulle mizwot sono frequenti sempre; ai nostri giorni forse come non mai. In genere però, accettando il modo di ragionare degli “altri”, siamo portati a chiederci il significato ed i motivi delle mizwot. Poniamo cioè noi delle domande alle mizwot ed alla Torah.
La logica dell’haggadah sembra invece essere l’esatto contrario di quella a cui siamo abituati. È la mizwah che diventa da sola una domanda.
È la mizwah che, da sola, per partire, per svolgersi e per completarsi ha bisogno, ogni volta, di una domanda totalmente nuova.
È la mizwah che per il fatto di esistere pretende una crisi dall’ebreo che l’accetta, senza affrontarla, come da quello che la rifiuta senza conoscerla.
La mizwah di Pesach può dunque essere concretamente l’occasione della nostra liberazione (zeman herutenu) solo se le domande, con cui ogni anno la inauguriamo, diventano in noi delle domande vere e sentite.
E per noi, che siamo forse come il bambino che non sa neppure cosa e come chiedere, è l’haggadah stessa che ci insegna prima di tutto a domandare.
Michele Levi