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- La Birkath ha-chamma’h (E. S. Artom)
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Il Magghid di Padova
Nei periodi di severa restaurazione dopo torbide ventate di disordine, è triste regola delle società umane che molto spesso, insieme ai veri colpevoli, anche degli innocenti si trovino a pagare per colpe mai commesse. In mancanza di colpe vere e documentabili con prove, viene fatto un processo alle intenzioni di questi innocenti che, non avendo mai peccano neppure col pensiero, trovano tanto più difficile difendersi. La società ebraica non fa purtroppo eccezione a questa regola e ne fornisce anzi un doloroso esempio nel caso di Rabbi Moshé Chaim Luzzatto.
Quando egli nasce a Padova nel 1707, l’ebraismo è ancora scosso dalle convulsioni provocate dall’allucinata e allucinante predicazione del falso messia Shabbataj Zwi. Shabbataj è morto nel 1676 dopo essersi convertito all’Islamismo, ma le idee da lui propugnate sono state obnubilanti a tal punto, che molti di quelli che hanno creduto in lui non riescono ancora a dimenticarlo e, quel che è peggio, sulla sua scia altri falsi profeti salgono alla ribalta suscitando pericolose speranze.
Il bisogno di sperare in una prossima redenzione è per gli ebrei fortissimo in tutto il mondo, e basta da solo a spiegare come intere comunità cedano al fascino di questi impostori e restino attaccate al loro ricordo anche dopo che essi sono scomparsi vergognosamente dalla scena. Le delusioni che essi provocano sempre sono però tanto più amare quanto più forte è stata la speranza, ed è per evitarle e per pore un freno alle discordie che il loro passaggio suscita in seno alle varie comunità, che le autorità rabbiniche sono costrette a prendere drastici provvedimenti.
Tutti i falsi messia, a cominciare da Shabbataj Zwi, hanno basato la loro predicazione su interpretazioni distorte degli scritti mistici e in particolar modo di quelli di Ari Luria, di conseguenza i rabbini guardano ormai con sospetto chiunque si dedichi con eccessivo ardore Kabbalà e faccia del misticismo il centro dei propri interessi. Se la persona inquisita per tali attività è anche dotata di fascino personale, come è il caso di Moshé Chaim Luzzatto, il sospetto diventa una certezza difficilissima da rimuovere.
Nel caso di Moshé Chaim, tutto sembra concorrere a fare di lui un pericoloso capo carismatico, e quindi a renderlo sospettabile. È nato da una delle migliori famiglie di Padova e fino da giovane ha rivelato talenti eccezionali. Profondo conoscitore della Bibbia e del Talmud come di tutti gli altri scritti considerati sacri, non ignora o disdegna per questo la cultura dei gentili, e giovanissimo, già compone alla loro maniera drammi in poesia di argomento ebraico.
Padova essendo un centro universitario di p rima importanza, molti giovani ebrei vi accorrono per studiare, e i più illuminati fra questi si stringono intorno a Moshé Chaim, loro coetaneo, eleggendolo a loro maestro. Moshé Chaim forma con essi un gruppo di studio che ben presto diventa un gruppo di ricerca mistica tendente non solo alla redenzione personale dei singoli membri, ma, soprattutto, alla redenzione della Shechinà e di tutto Israele.
Un intento tanto simile a quello dichiarato dai sabbatiani basterebbe da solo a destare i sospetti dei rabbini, se non che, nel 1727, mentre è immerso nello studio della Kabbalà, Moshé Chaim comincia a sentire la voce di un magghid (1) che gli fa delle rivelazioni. Egli le annota tutte per alcuni anni e ne fa la base del suo insegnamento al gruppo degli allievi, che diventa un gruppo segreto e dedito esclusivamente a speculazioni e attività messianiche.
Ce n’è più che a sufficienza per provocare un’indagine da parte dei rabbini, che non esitano a incolpare Moshé Chaim di eresia sabbatiana. Molte voci autorevoli si levano in sua difesa e ne nasce un’infuocata controversia. I difensori asseriscono che un magghid si rivela solo a Kabbalisti autentici e puri nei loro intenti, ma gli accusatori ribattono che Moshé è troppo giovane per essere arrivato a un così alto livello di conoscenza e, inoltre, non è sposato e non si trova quindi in regola con l’usanza ebraica.
Pensando di placare il tumulto e di dimostrare così la propria innocenza, Moshé Chaim consegna alle autorità rabbiniche i suoi iscritti, promette del suo magghid e, nel 1873, si sposa, ma queste dimostrazioni di buona volontà sono inutili. I suoi iscritti vengono bruciati e, nel 1735 egli è costretto a trasferirsi ad Amsterdam, dove deve rinunciare all’insegnamento della Kabbalà.
Ad Amsterdam continua a scrivere, di argomenti vari, ma non potendo esprimere quel che più gli preme, nel 1743 si reca in Erez Israel, dove l’insegnamento mistico è permesso. Si stabilisce ad Acco insieme alla famiglia, ma non ha il tempo di riformare un gruppo di studio: nel 1746 muore in seguito a un’epidemia. Con lui si spegne una dolce voce che avrebbe potuto far rivivere fra gli ebrei l’amore per un misticismo capace di sollevare lo spirito di chi soffre, senza risvegliare in lui ingannevoli speranze.
Di Moshé Chaim Luzzatto ci restano alcuni scritti mistici e un’operetta morale, “Il sentiero dei giusti”, che basta da sola a dimostrare in quale errore siano caduti i suoi accusatori. Ma neppure questi è possibile condannare senza attenuanti, perché nel momento in cui vivevano un’estrema severità e diffidenza era indispensabile per evitare un pericoloso collasso dell’ebraismo. Più dai rabbini ufficiali, Moshé Chaim Luzzatto, il dolce visionario di Padova, è quindi vittima della sua epoca e dei falsi visionari che lo hanno preceduto.
Giacoma Limentani
NOTE
(1) Voce di origine divina che rivela secreti celesti agli esseri umani.