Tempio di via Eupili – MIlano
Nella Parashà di Lech Lechà è scritto che quando i re della Mesopotamia invasero Sodoma e Gomorra, (Bereshit 14:13) “il rifugiato venne e riferì ad Avram” che suo nipote Lot e la sua famiglia erano stati fatti prigionieri. Avram radunò rapidamente le sue forze, diede la caccia ai re della Mesopotamia e liberò i prigionieri. Chi era questo misterioso fuggitivo che riferì questo importante messaggio?
I nostri Maestri identificano il fuggitivo come Og, re dei Bashan, famoso perchè sfuggì alla morte durante il Diluvio universale aggrappandosi all’arca di Noach. Il suo tempestivo rapporto dal campo di battaglia ha permesso ad Avram di salvare suo nipote prigioniero dei re della Mesopotamia. Molti anni dopo, quando il popolo ebraico si preparò a lanciare la conquista di Eretz Canaan, il regno di Og si mise in mezzo per impedire la conquista. La Torà ci dice (Bereshit 21:34): “E D-o disse a Moshe: ‘Non temerlo, perché Io l’ho consegnato nelle tue mani.'” Da questo versetto, possiamo dedurre che Moshe aveva paura di Og. Perché aveva paura?
Il Talmud spiega (Niddah 61a) che Moshe temeva che il merito di aver salvato la vita di Lot riferendo ad Avram che era stato fatto prigioniero nella guerra dei re della Mesopotamia avrebbe protetto Og e il suo regno dall’invasione del popolo ebraico. Ma scavando un po’ più a fondo scopriamo qualcosa di questo personaggio che ci era sconosciuto. Perché davvero Og ha portato il rapporto dal campo di battaglia ad Avram? Quali erano le sue vere motivazioni? Era preoccupato per la sicurezza e il benessere di Lot? In realtà nessuna di queste ipotesi rappresenta la verità, la motivazione che spinse Og a fare reapporto era totalmente diversa. Rashi spiega che Og sperava che Avram si precipitasse in battaglia contro i re della Mesopotamia, come ha effettivamente fatto, e che sarebbe morto sul campo di battaglia. Questo avrebbe lasciato Sara vedova e lui, Og, l’avrebbe potuta sposare. Og non stava certo pensando al chesed, a compiere un atto di gentilezza. Eppure, nonostante l’evidente mancanza di altruismo e nonsostante una motivazione così tremenda, l’atto stesso era considerato un merito così potente per Og che Moshe aveva paura di ingaggiarlo in battaglia così tanti anni dopo senza una specifica rassicurazione divina. Rav Leib Chasman, esponente del pensiero del Mussar, sottolinea che questo ci mostra l’incredibile potere e la grande ricompensa di una mitzva, non importa quanto piccola e imperfetta questa mitzva possa essere.
Cosa faremmo noi quando ci viene chiesto di fare l’impossibile? La maggior parte delle persone semplicemente alzerebbe le spalle e se ne dimenticherebbe. Dopotutto, fare l’impossibile è impossibile. In realtà non è necessariamente così, e la prova ce la porta la storia di Avraham.
La Torà ci dice che Hashem promise ad Avram che avrebbe avuto dei figli e una ricca discendenza (Bereshit 15:3-5). “E Avram disse: ‘O mio Maestro, Signore, cosa puoi darmi se non ho figli?’ … E lo portò fuori, e disse: ‘Guarda il cielo e conta le stelle, puoi contarle?’ E gli disse: ‘Così saranno i tuoi discenenti'”. Quando Hashem gli disse di “guardare il cielo e contare le stelle”, questo è esattamente quello che Avram ha fatto. Cominciò a contare le stelle anche se farlo sembrava impossibile. “Ko yihyeh zarecha”, ha risposto Hashem. “Così saranno i tuoi discendenti.” Lo straordinario tratto di eterno ottimismo di Avram, il suo rifiuto di riconoscere l’impossibilità di qualsiasi compito, caratterizzerà i suoi discendenti. Questo sarà il segno distintivo del popolo ebraico. Non importa quanto difficile possa sembrare un compito, il nostro dovere è di non disperare, anche se sembra difficile per non dire a volte impossibile, provare e riprovare ancora. E quando ci proviamo, spesso accadono cose incredibili.
Di fronte a sfide enormi che alle volte capitano nella nostra vita, anche se pensiamo che qualcosa sia completamente al di là delle nostre scarse capacità, quando ci proviamo con insistenza scopriamo punti di forza e abilità che non sapevamo di possedere. Troviamo in noi stessi nuovi serbatoi di forza, nuove capacità e potenzialità che non sapevamo di possedere. Impariamo che possiamo andare oltre tutti i limiti e le restrizioni che avevamo considerato confini impenetrabili. L’importante è iniziare a camminare, a fare, a credere che abbiamo le capacità per farcela con le nostre forze, che il compito che ci è stato assegnato non è al di là delle nostre possibilità perchè semplicemente se così fosse, quel compito non ci sarebbe stato asssegnato.
La storia di Avraham, le durissime prove che ha dovuto superare, sono un esempio di come la costanza e il credere in D-o siano insieme gli ingredienti del suo successo. La Torà tramite Avraham, tramite i suoi figli, i suoi nipoti, i Patriarchi, tramite Moshe, ci indica la via per superare le difficoltà, attraverso la shemirat mitzvot e attraverso quelle capacità uniche che ci contraddistinguono. Usando queste capacità saremo in grado non solo di superare le difficiltà che possono presentarsi durante la nostra vita, ma saremo anche in grado di aiutare il prossimo, di contribuire alla nostra crescita e alla crescita degli altri, siano essi i nostri famigliari o la nostra comunità, liberando nuove energie positive e contribuendo a creare una società più giusta ed equa.