Nereo Musante, 100 anni, e sua figlia ricordano l’attentato del 9 ottobre, che cambiò anche la vita di una famiglia non ebraica
La voce di Nereo Musante arriva da lontano. La ascolto dal messaggio vocale che mi ha inviato sua figlia, Maria Luisa, e immagino quest’uomo di 100 anni che con il candore che gli conferisce l’età ricorda sprazzi del suo passato, così come affiora a distanza di tanti anni.
Papà, cosa ricordi di quel giorno dell’attentato?
Mah…ricordo dell’attentato perché se ne parla, ma, personalmente, io, nella mia coscienza, non ricordo più.
Ma ricordi perché quella mattina eri andato al Tempio?
Ci andavo di consueto…mi piaceva molto andare.
Ti eri già avvicinato alla religione ebraica?
Sì. Volevo convertirmi.
Perché rav Toaff ritardava la tua conversione?
Forse perché mi vedeva che vivevo in una famiglia esageratamente religiosa….
Se ti chiedessi perché hai voluto fare questa scelta, cosa risponderesti?
Perché io in genere amo le origini di una cosa. Uno che arriva dopo…dimostra magari meno entusiasmo di quelli che c’erano prima.
A distanza di tanti anni, che ricordi delle persone di quel giorno?
Veramente, le ricordo solo se qualcuno me le rammenta. Ho bisogno di un aiuto, per ricordare.
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Signora Maria Luisa, le parole di suo padre sono molto toccanti. Lei ricorda il periodo successivo all’attentato, quado finalmente suo padre realizzò il desiderio di convertirsi?
Sì. Come ha detto mio padre, la sua famiglia di origine era cattolica e molto religiosa. Tuttavia mio padre, nato a Livorno, ebbe contatti con l’ebraismo già da giovane, perché per un caso fortuito i genitori abitavano in una casa di proprietà della comunità ebraica locale, nello stesso palazzo in cui abitavano anche i Toaff, prima che il rav diventasse rabbino di Roma. È più o meno da allora che nasce il suo interessamento, che poi, col tempo, divenne vero amore per Israele e la religione ebraica.
Come si visse la sua conversione in famiglia?
Nei primi tempi della conversione è vero che in qualche momento l’eccessivo rigore di mio padre portò a qualche discussione con mia madre, benché lei non fosse una cattolica osservante. Però la sua scelta ha fatto sì che noi tre figli, e specialmente io, conoscessimo la realtà della comunità romana. Per cui anch’io oggi conosco tante persone, ed è stato certo un’esperienza positiva, perché ho arricchito le mie conoscenze. Mio padre è sempre rimasto colpito dall’affetto che ha sentito da parte della comunità ebraica, specie dopo l’attentato. E così ha sempre sottolineato la solidarietà all’interno della comunità; credo che in questo – lui che è stato un funzionario di banca – abbia trovato un aspetto di cui aveva bisogno. Quanto alla sua scelta, noi tre figli siamo laici, non frequentando né il tempio né la chiesa.
Cosa si ricorda del giorno dell’attentato?
A quel tempo ero un’insegnante. Mia madre e mi sorella, quella mattina, erano fuori per delle analisi mediche, poi tornarono a casa e sentirono alla radio la notizia. Mia madre mi chiamò a scuola, io mi precipitai in piazza chiedendo di mio padre.
Cosa trovò in piazza?
Come è stato detto dagli altri testimoni che avete già intervistato, c’era un’atmosfera di grande confusione e rabbia; confesso che fu per me una cosa abbastanza scioccante, non avendo mai vissuto situazione di questo genere.
Cosa fece?
Trovai uno dei suoi amici che mi indirizzò a viale Trastevere, all’ospedale Regina Margherita. Quando arrivai mio padre era in sala operatoria. Poi, in ospedale, conobbi Rav Carucci Viterbi e Max e Changar, che erano stati messi in stanza con lui, e tutte le altre persone che venivano in visita. Con Max Changar poi strinse un’amicizia forte, aiutandolo per anni anche nella raccolta di fondi per il KKL.
Che ferite riportò suo padre?
Soprattutto alla mano e al piede, per cui vene operato dal prof. Lamberto Perugia. Ancora oggi, come molti altri feriti, convive con le schegge più piccole, che non è stato possibile rimuovere.
Come ricordava suo padre l’attentato, con voi in famiglia?
Mio padre non ha mai letto l’attentato sotto il profilo politico, sebbene si fosse poi molto interessato alla ricostruzione storica e mi parlasse di quello che è stato definito il Lodo Moro. Per lui comunque ha sempre contato difendere Israele a spada tratta. Non ha mai avuto dubbi su Israele! Ha sposato in pieno la causa. Quanto all’attentato, invece, l’ha letto come un segno personale: come gli disse rav Toaff, fu a causa di quello che accadde che lui riuscì a ottenere la conversione.
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