In un’unica holding i rami inglese e francese dopo duecento anni
Marcello Sorgi
Appartengo alla quinta generazione dei Rothschild. Siamo passati attraverso due guerre mondiali, rivoluzioni, grandi recessioni. Il fatto che siamo ancora qui rappresenta già un grosso risultato». Il sorriso complice sul viso, l’eleganza abituale nei gesti, la voce senza alcuna incrinatura d’emozione, Sir Evelyn Robert Adrian de Rothschild ha salutato così, martedì, l’uscita dal vertice del suo gruppo, una famiglia di grandi banchieri ebrei tra le più ricche e più note del mondo, che dopo due secoli, quasi, di divisione tra il ramo francese e quello inglese, ha ritrovato la sua unità sotto la guida del cugino parigino David.
Cominciata nel 2003, la riunificazione familiare e la concentrazione globale del potere bancario dei Rothschild ha un significato economico e insieme storico: è un messaggio al mercato, e soprattutto a quella parte del mercato internazionale che contesta il capitalismo familiare, al quale i Rothschild hanno inteso dire che non hanno intenzione di mollare. Ed è un ritorno alle origini, alla metà del Settecento, in cui le attività di famiglia, sotto la forte guida unitaria del fondatore tedesco Mayer Amschel Rothschild e senza contese interne, dominavano l’Europa. Si può dire che i Rothschild fanno i conti con la globalizzazione, di cui i loro avi, un po’ meno di trecento anni fa, erano stati antesignani. Consapevoli che oggi, per stare al mondo e fare affari, non basta essere grandi. Bisogna crescere senza soste.
Mayer Amschel, il capostipite nato nel 1744 nello Judengasse (vicolo dell’ebreo) di Francoforte sul Meno, lo aveva capito già ai suoi tempi. Per questo spedì subito i suoi figli a creare tante banche collegate in Europa: Salomon a Vienna, Nathan a Londra, James a Parigi e Calmann a Napoli, dove l’Unità d’Italia e il confuso tramonto dei Borbone di lì a poco avrebbero avuto il sopravvento. «Concordia, Integritas, Industria» diventò lo slogan della ditta, il cui nome di famiglia, in tedesco, vuol dire «schermo rosso». Le guerre napoleoniche di inizio Ottocento, il sostegno finanziario alla vocazione bellica britannica, le spedizioni navali d’oro in lingotti, divennero presto la rete attraverso cui la fortuna dei Rothschild cresceva a ritmo smisurato, sostenuta da una vocazione indiscussa e da una ragnatela di alleanze e di intelligence che consentì a Nathan, tra l’altro, di ricevere in anticipo a Londra la notizia della vittoria di Wellington nella battaglia di Waterloo e poterla comunicare per primo al re. Nel 1818, Nathan aveva già concesso un prestito di cinque milioni di sterline al governo prussiano e nel 1825 aveva una posizione di tale solidità da poter supportare la Banca d’Inghilterra.
Per i meriti di quegli anni i quattro fratelli Rothschild (il quinto era rimasto a Francoforte con il padre) dovevano essere elevati dall’Imperatore d’Austria, e poco dopo dalla monarchia inglese, al titolo di baronetti, di cui ancora ai giorni nostri Jacob ed Evelyn si continuano a fregiare. Banche, commerci, flotte, assicurazioni: lo sviluppo della «Rothschild company» è un classico delle grandi società del secolo della rivoluzione industriale e della Belle Epoque. Con un’espansione in America, e via via globale, difesa fino ad oggi. E una straordinaria passione per l’arte, le grandi case, il vivere bene e i vini più famosi del mondo, come il Mouton de Château o lo Château Lafite, che i Rothschild si sono divertiti a produrre e a trasformare in business molto redditizi. James, in Francia, svilupperà anche un ramo ferroviario, minerario e più specificamente industriale. Salomon, in Austria, si terrà più sulla tradizione bancaria, ma il suo erede Louis dovrà soccombere al nazismo.
Se poi uno chiede in giro qual è stato, e qual è, il tratto caratteristico dei Rothschild, la risposta che arriva a sorpresa è: il grigiore. Sì, a sentire chi li conosce e li ha frequentati, grigio è il colore tipico del loro potere familiare, e l’understatement, la classica riservatezza dei grandi banchieri, sono la loro corazza. Sotto la quale, tuttavia, un tenace interlocutore può scoprire e apprezzare il peso della tradizione, i secoli di storia a cui hanno preso parte, la cultura, il gusto dell’ospitalità, il senso dell’amicizia e una buona, buonissima, educazione.
A un imprinting composito come questo, anche i due cugini Jacob ed Evelyn Rothschild si sono adeguati, ma non senza concessioni a tendenze più inglesi. Jacob, il più giovane e il quarantaseiesimo nella classifica dei più ricchi inglesi stilata dal Sunday Times (con una fortuna stimata attorno a un miliardo e trecento milioni di sterline), anche negli anni, fino al 1980, in cui era più direttamente impegnato nella conduzione della banca, ha trovato il tempo di dedicarsi alla storia all’arte, alla filantropia, ai restauri, dall’impegno a favore della National Gallery o della Somerset House, alla cura della grande cantina familiare, con oltre quindicimila bottiglie di valore, a partire dal 1870, custodite nella Waddesdon Manor House. Ed Evelyn, considerato da ragazzo uno dei migliori partiti del Regno Unito, dopo una gioventù trascorsa tra viaggi, mondanità, corse di cavalli e partite di polo, s’è sposato tre volte, e accanto ai suoi doveri di banchiere ha sviluppato un amore per giornali ed editoria, che il matrimonio con l’ultima moglie, Lynn Forrester, proprietaria di un impero multimediale, non poteva che accrescere.
Come accade talvolta alla cerchia più ristretta dei business-men internazionali, sono stati amici di re, capi di stato e di governo. Nella tenuta di campagna di Jacob, Reagan, Bush e Kissinger sono di casa. Ed è Nathaniel, «Nath», suo figlio, ad essere considerato il più brillante e il più carico di aspettative della sesta generazione. Dopo una tradizionalissima laurea ad Oxford, una sbandata per una modella con cui è fuggito per un anno in Asia, un divorzio complicato e superpagato (l’ex moglie, secondo alcuni tabloids, minacciava rivelazioni intime sulla breve esperienza coniugale), il trentenne Nath vive adesso tra New York e la Svizzera, e lavora, manco a dirlo, nella finanza. La crescita inarrestabile dei suoi hedge fund garantisce il futuro della tradizione di famiglia.
http://www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni/cultura/200707articoli/23849girata.asp