David Di Segni
Religione e sport professionistico possono coesistere. Di esempi ne abbiamo diversi, come il campione del Baseball Sandy Koufax, che nel 1965 rinunciò alla prima partita delle Word Series di Baseball perché cadeva lo stesso giorno di Yom Kippur. Scelta che non gli ha impedito di diventare una leggenda dello sport, alzando al cielo per quattro volte il trofeo più ambito della categoria. Un altro di questi casi, portato alle cronache dal Times of Israel, è quello del diciottenne americano ed ebreo osservante Elie Kligman, studente della Cimarron-Memorial High School di Las Vegas e giovane promessa del Baseball. Alla domanda su come, in futuro, possa conciliare entrambe le cose, lui ha risposto: “La maggior parte dei ragazzi non gioca 162 partite all’anno. Se fossi un ricevitore, non giocare due giorni alla settimana sarebbe abbastanza normale, quindi non credo che sia così diverso da ciò che fanno gli altri. Mancherei solamente in giorni diversi”.
Serietà, impegno e dedizione, qualità che il ragazzo ha dimostrato più volte presentandosi agli allenamenti subito dopo la fine dello Shabbat per correttezza nei confronti della squadra. Un esempio per tutti, che ha spinto numerose scuole a contattarlo per organizzare incontri educativi, ispirati dal fatto che vi fosse un ebreo in grado di dare importanza tanto alla religione quanto sport, senza che l’una compromettesse l’altra. “Per il grande numero di ebrei religiosi è molto stimolante – riferisce il padre – specialmente per i bambini piccoli”. La Comunità ebraica di Las Vegas lo ha supportato fortemente, riempiendo le tribune alle sue partite. Sebbene alcuni membri si siano opposti, dicendo che bisognerebbe studiare per diventare rabbini ed insegnare nelle Yeshivot, molti Chabad, invece, si sono resi conto di come Elie, attraverso il suo operato, riesca ad avvicinare alla Torah più persone di quante ne potessero immaginare. Raro nel suo genere, ma c’è ancora tempo per una decisione definitiva: il suo ruolo nel grande sport si evolverà solo una volta uscito dal liceo, quando dovrà scegliere tra la carriera universitaria o quella sportiva, iniziando la scalata dai campionati minori. Quest’ultima sembra essere la via più gettonata, parola d’ordine: giocare a Baseball. Il ruolo in campo non importa, purché lo porti a confrontarsi nelle grandi competizioni. Per il giovane talento si apre anche l’enorme possibilità di potersi allenare con i giocatori del Team Israel già nei prossimi mesi. Un giorno gli piacerebbe giocare per la squadra israeliana.
Come affronta una famiglia ebraica americana una scelta di questo genere? Lo abbiamo chiesto al padre di Elie, Marc Kligman, agente MLB (Major League Baseball) ed allenatore dilettante.
Signor Kligman, come avete affrontato la scelta di vostro figlio di conciliare la religione allo sport professionistico?
Non ci siamo mai opposti alla decisione del ragazzo, nulla cambierà se Elie dovesse diventare un professionista. Lui continuerà a fare ciò che ama, ma lo Shabbat, le festività e la sua dedizione ad Hashem vengono prima di tutto. La maggior parte degli sportivi non è osservante, sono pochissimi quelli che mantengono le proprie convinzioni nel mondo dello sport e che dicono di voler giocare senza porre la religione in secondo piano. Dopo tutto, perché farlo se si crede in D-o?
Com’è stato il rapporto con le diverse società in cui Elie ha giocato?
Tutte le squadre in cui ha giocato lo hanno compreso e si sono adattate. Come allenatore, ho diretto le sue squadre fino a quando Elie ha compiuto i 14 anni, e poco dopo ancora. Questo ci ha permesso di avere un po’ di controllo sul programma.
Crede sia difficile per un ragazzo religioso approcciarsi al mondo dello sport professionistico? Quali sono le difficoltà e qual è stato il vostro contributo?
Io lo aiuterò finché posso, ma Elie deve giocare e mantenere la convinzione di rimanere forte. Ho diversi contatti come agente MLB ed allenatore dilettante, ed ho dato ai miei ragazzi molti vantaggi, ma senza un duro lavoro ed alcune benedizioni, niente di tutto ciò può accadere. Sono molto orgoglioso del ragazzo che è diventato. È molto maturo.